Scenari

Gli Usa fuori dall’Oms? Sarebbe una catastrofe per la salute globale

Uscire dall'Organizzazione mondiale della Sanità nel primo giorno da presidente. Questa la minaccia di Donald Trump in vista del 20 gennaio. Mario Raviglione, trent'anni all'Oms, oggi ordinario di salute globale alla Statale di Milano: «Un danno enorme in termini di budget e leadership»

di Nicla Panciera

Ritirare gli Stati Uniti d’America dall’Organizzazione mondiale della sanità è una mossa che Donald Trump, secondo quanto riporta il Financial Times, intende compiere fin dal primo giorno della sua presidenza. Un gesto dalla forte valenza simbolica ma anche dalle notevoli conseguenze per gli Usa e tutti gli altri paesi. Al momento, gli unici dubbi sembrano riguardare la tempistica, dal momento che l’intenzione era già stata resa nota nel 2020, quando durante la pandemia di Covid aveva accusato l’Oms di essere sotto il controllo cinese.

Le conseguenze di questo ritiro sarebbero «molto serie», ci spiega Mario Raviglione, ordinario di salute globale presso l’Università di Milano dove è co-direttore del Multidisciplinary research in health science centre. Fino al 2017 ha lavorato presso l’Oms, dove è stato direttore del programma Global Tuberculosis (TB). Raviglione cita il suo collega e conoscente Lawrence Gostin, professore di salute globale alla Georgetown Law, che al Finantial Times ha dichiarato: «Gli Usa lasceranno un vuoto enorme nel finanziamento e nella leadership della salute globale. Non vedo nessuno che colmerà il buco», aggiungendo che il piano di ritirarsi il primo giorno sarebbe «catastrofico» per la salute globale.

Il meccanismo di finanziamento

L’Oms è l’agenzia delle Nazioni Uniti con funzione normativa che coordina e dirige gli sforzi di salute globale. Ogni stato membro deve versare finanziamenti obbligatori, stabiliti sulla base del Pil e della popolazione, i cosiddetti assessed contributions; ci sono poi i finanziamenti volontari, voluntary contributions, provenienti dai paesi membri, ma anche da varie organizzazioni delle Nazioni Unite, organizzazioni intergovernative, fondazioni filantropiche, settore privato e altre fonti. La maggior parte dei fondi volontari è stanziata su programmi specifici (earmarked funds) stabiliti dai donatori. I finanziamenti totali, la cui maggior quota essendo composta dai volontari, sono molto variabili di anno in anno.

Gli Usa i principali finanziatori

Sommando tutte queste fonti, gli Stati Uniti sono il principale finanziatore dell’agenzia, contribuendo per quasi un quarto dell’intero budget dell’Oms, che cambia molto di biennio in biennio. Nel biennio 2022-2023, gli Stati Uniti hanno contribuito con 1,284 milioni di dollari, il 16% del totale, al primo posto e seguiti da Germania, Bill & Melinda Gates Foundation, Gavi e Commissione europea. Annualmente, «il contributo degli Usa è di circa 650 milioni di euro su un totale di 4 miliardi e, di questi, circa i due terzi sono volontari, quindi destinati a progetti specifici prestabiliti» spiega Mario Raviglione. Se Trump decidesse anche solo di ridurre la quota volontaria, che è oggi di circa 400 milioni, adducendo ad esempio una crisi economica interna, «molti progetti soffrirebbero in maniera drastica» spiega lo specialista.

Un esempio per tutti. «Il mio budget al Programma globale tubercolosi era di 20 milioni l’anno, di cui 14 milioni erano finanziamenti americani, provenienti dall’agenzia governativa per lo sviluppo internazionale Usaid, dal progetto governativo Us president’s emergency plan for Aids relief Pepfair e dai Centers for Disease Control and Prevention Cdc americani». Se questi finanziamenti venissero a mancare, «lo staff, che allora era di una settantina di persone, si ridurrebbe di un terzo e, con esso, le cose che si riuscirebbero a fare. È chiaro perché l’arrivo di Trump è molto temuto».

Mario Raviglione

Un balzo all’indietro di almeno un secolo

Gli Stati Uniti d’America, che tanto hanno contribuito alla creazione del sistema multilaterale dopo la Seconda guerra mondiale, durante la passata amministrazione Trump avevano già preso le distanze da una serie di organizzazioni appartenenti al sistema delle Nazioni Unite, dai processi multilaterali e dagli accordi internazionali. La scarsa sensibilità ai temi di salute globale e di sicurezza sanitaria globale di quella parte politica è, tuttavia, atteggiamento considerato dagli esperti perdente su tutti i fronti e per tutti. Oggi, non è più possibile preoccuparsi di tutelare i vantaggi del proprio paese a discapito degli altri, a maggior ragione in un ambito come la salute. Ma il vento del nazionalismo e del sovranismo, che mettono in discussione la necessità di cooperazione e multilateralismo, minando profondamente la salute globale, non soffia solo oltreoceano: «La sfiducia verso il multilateralismo, alimentata da nazionalismi e sovranismi, è un atteggiamento molto diffuso anche in paesi che conosciamo molto bene. È una visione reazionaria, conservatrice e, direi, del passato; il multilaterialismo nasce dopo la Seconda Guerra Mondiale da un’idea di coordinamento globale in un villaggio globale. Contrastarlo e svalutare le Nazioni Unite, tanto criticate ma altrettanto essenziali, significa andare verso il caos. In un mondo globalizzato, appoggiare separatismi nazionalistici e contrastare i meccanismi di coordinamento globale, significa tornare indietro di almeno un secolo. Siamo in un villaggio globale, soprattutto nel campo salute».

Le ricadute sugli Usa

Stiamo molto meglio per conto nostro, pensano i sostenitori di Trump. Le conseguenze di un’uscita dall’Oms si farebbero sentire anche negli Usa: «Non partecipando alle riunioni internazionali, non avrebbero alcuna influenza sulle politiche internazionali su scala mondiale. Decisioni di qualsiasi tipo, da quelle sul vaccino per il Covid a questioni legalmente importanti come il framework sul tabacco o le regolamentazioni internazionali, le famose international health regulations, strumenti giuridici rilevanti per i paesi» spiega Raviglione. Oltre alla perdita di potere decisionale, «non usufruirebbero più di collaborazioni con gli altri paesi, non avrebbero più accesso ai dati di sorveglianza globale e sarebbero esclusi da quel meccanismo di coordinamento globale fornito dall’agenzia».

La ricerca ne soffrirebbe

Ci sarebbero poi conseguenze indirette: «Ci sono degli ambiti, come le epidemie e la salute globale, su cui gli Stati Uniti investono molto e sono tecnicamente forti e competenti» dice Raviglione, che ricorda tutta la ricerca genetica sul batterio responsabile della tubercolosi e di mappatura delle mutazioni genetiche all’origine della farmaco-resistenza, che gli permettono cioè di sopravvivere nonostante il trattamento con farmaci antibiotici. Un lavoro notevole del Programma globale tubercolosi reso possibile dalla Gates Foundation. «Anche le fondazioni risentiranno della nuova politica e così gli atenei americani: potrebbero esserci indicazioni a minori collaborazioni e meno cooperazioni tra centri di ricerca del mondo».

Compensare è possibile?

Come compensare la riduzione del budget? Il team della Resource Mobilization dell’Oms sarà già al lavoro su questo scenario. Nel 2020, nonostante la chiusura di Trump, c’erano promesse contrattuali di finanziare per un altro paio d’anni. Probabilmente, potrebbe essere lo stesso anche questa volta. «Il ritiro degli Usa difficilmente sarà compensato da un impegno più massiccio nelle donazioni volontarie da parte degli altri paesi o dei finanziatori privati come le fondazioni filantropiche» spiega lo specialista. C’è chi ipotizza un corrispondente aumento dello sforzo dell’Europa o di un aggiornamento dell’impegno di Cina, Giappone e Sud Corea. Paesi spinti anche da ben altri motivi.

La salute come soft power per economia e politica

«Potrà succedere che si avvantaggeranno alcuni paesi, come la Cina, che da tempo vogliono avere più influenza nel campo della salute» riflette Raviglione. Venendo sempre più spesso a mancare quella maggioranza solida e relativamente omogenea del Nord globale e occidentalizzato, con il ritiro degli Usa «nelle trattative, l’Italia vedrà la sua posizione indebolirsi. Inoltre, usando un termine geopolitico, il blocco non occidentale avrà più influenza, non solo in ambito di salute. Pensiamo alla costante opposizione su certi argomenti, come la proprietà intellettuale dei farmaci (sostenuta invece dal blocco cosiddetto occidentale) da parte dei grandi paesi del mondo, i BRICS che stanno costruendo forti alleanze. E che affermeranno sempre più la propria influenza, anche al di fuori delle questioni sanitarie, usando la salute come soft power che si esercita nelle altre aree di intervento economica e politica dove si punta al massimo a promuovere gli obiettivi del proprio paese. Bisogna vedere chi ha coraggio, voglia e risorse per prendere in mano questo potere e usarlo per scopi che vanno oltre la salute».

Un ritorno al bilateralismo

Nel frattempo, se gli Usa intendono continuare le attività internazionali indipendentemente dall’Oms, i fondi saranno usati con meccanismi bilaterali, che «toglieranno tutele ai paesi poveri, costretti a trattare da soli con un paese come gli Usa» riflette Raviglione che spiega: «L’Oms ha sempre sostenuto questi paesi, incoraggiandoli ad alzare la voce per chiedere di ricevere i finanziamenti su un fondo comune. Ciò al fine di prendere in mano la propria situazione, diventando autonomi nella scelta di cosa finanziare, per rispondere ai veri bisogni del paese e promuovere lo sviluppo delle risorse interne, in contrapposizione alla tendenza dei finanziatori di stabilire quali progetti sostenere, spesso su singole malattie e con personale proprio inviato in loco». Questi approcci cosiddetti verticali vengono accusati da tempo di non favorire il raggiungimento da parte dei paesi di importanti obiettivi sistemici come la copertura sanitaria universale o il miglioramento delle capacità di preparazione (preparedness) e risposta alle crisi sanitarie.

Il futuro dell’Oms

Sono molte le difficoltà incontrate dal sistema multilaterale nell’ultimo decennio. Le sfide affrontate dalla diplomazia della salute globale durante il Covid ne sono un esempio. Da una parte, l’Oms deve fare i conti con una crescente frammentazione del panorama dei negoziati, tra organizzazioni, ong, associazioni economiche internazionali, fondazioni filantropiche e privati, attori con interessi spesso nascosti e in conflitto. Dall’altra, ci sono le grandi sfide globali, sempre più interconnesse, dalla geopolitica all’ambiente, e il sistema è in continua evoluzione. «Come insegna quel proverbio africano» conclude Raviglione «se vuoi andare veloce, vai da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme ad altre persone».

Foto Associated Press/LaPresse (Il presidente eletto Donald Trump parla durante un incontro con i governatori repubblicani a Mar-a-Lago, 9/01/2025 (AP Photo/Evan Vucci)

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