Welfare

Gli Usa avevano ragione, accordo fiacco

Intervista esclusiva ad Antonio Cassese: «Washington ha accettato un compromesso in cambio del rinvio delle discussioni su Guantanamo e Abu Ghraib»

di Chiara Brusini

Isole Palau, Marshall, Israele e Usa. Sono gli unici quattro Stati che il 15 marzo hanno votato contro la creazione del Consiglio Onu per i diritti umani, nuovo organo sussidiario dell?Assemblea generale che sostituisce la criticata e screditata Commissione di Ginevra. Dopo cinque mesi di trattative sulla bozza presentata dallo svedese Jan Eliasson, 170 paesi si sono espressi a favore della proposta. Ma la bozza approvata segna davvero una svolta o serviva un cambiamento più radicale come chiedevano gli Usa? Lo abbiamo chiesto ad Antonio Cassese, docente di Diritto internazionale, autore del saggio I diritti umani oggi e già presidente del Tribunale penale internazionale dell?Aja e della Commissione d?inchiesta sul Darfur, secondo il quale, comunque, «le richieste Usa erano giuste». Vita: Professore, perché allora le loro proposte sono cadute nel vuoto? Antonio Cassese: Perché ormai gli Usa mancano di credibilità nel campo dei diritti umani: da una parte propugnano la diffusione della democrazia, dall?altra consentono Guantanamo e Abu Ghraib. Il loro peso politico e diplomatico all?interno dell?Onu è crollato, e non sono riusciti a imporre proposte ragionevoli come quella sulla drastica riduzione del numero di membri del nuovo Consiglio. Vita: È legittimo il dubbio che dietro la posizione Usa non ci sia solo l?obiettivo di un buon meccanismo pro diritti umani? Cassese: In effetti c?è da dire che la loro decisione contraddittoria nasconde un retroscena: una clausola della risoluzione, che suppongo abbiano negoziato a porte chiuse, prevede lo smantellamento immediato dell?attuale Commissione, il che significa che fino alla prima riunione del Consiglio, a giugno, non verrà discusso il durissimo e convincente rapporto su Guantanamo. Sino a giugno gli Usa avranno tutto il tempo per far qualcosa in proposito, e nel nuovo Consiglio – dove auspicabilmente non siederanno Sudan, Cuba, Iran e Birmania – il dibattito sarà meno esacerbato da motivi politici. Vita: Come giudica il nuovo Consiglio a 47 membri? Cassese: Un compromesso molto fiacco. Rimane un organismo pletorico e politico, mentre l?ideale sarebbe stato un gruppo di esperti governativi almeno parzialmente indipendenti. Rispetto alla Commissione ci sono solo sei membri in meno. E la possibilità di espellere a maggioranza dei due terzi uno Stato che abbia commesso gravi violazioni dei diritti umani difficilmente verrà sfruttata, visto che in Assemblea generale la maggioranza è in mano a paesi in via di sviluppo ed ex socialisti, spesso molto indietro sul tema dei diritti umani. Vita: Dieci ong statunitensi che si occupano di difesa dei diritti umani avevano però chiesto che gli Usa sostenessero la bozza. Cassese: L?hanno fatto perché temevano il mantenimento dello status quo, certamente peggiore di ciò che si prospetta ora. E probabilmente, sapendo con quanta asprezza alcune grandi potenze – penso alla Cina e alla Russia – si oppongono a progressi in questo campo, hanno ritenuto che un piccolo passo avanti fosse meglio di niente. Vita: Quali saranno le priorità da affrontare durante la prima riunione del Consiglio? Cassese: I temi più caldi mi sembrano i diritti economici e sociali, i diritti dei detenuti detenuti (e qui ritornano Guantanamo e Abu Ghraib), e quelli degli immigrati. Vita: Quali strumenti avrà a disposizione il nuovo organismo? Cassese: Studi, indagini, inchieste. Farà monitoraggio, sarà uno strumento di controllo. Purtroppo non ha alcun potere decisionale? Vita: E se invece si immaginasse una specie di ?Consiglio di sicurezza? per i diritti umani, con il potere di emanare decisioni vincolanti per gli Stati? Cassese: Magari! Quella sì che sarebbe la soluzione… irrealizzabile, perché gli Stati, in particolare le grandi potenze, difendono gelosamente la propria sovranità. Non c?è da farsi illusioni, il Consiglio rappresenta un passo avanti nella giusta direzione ma è un passo molto modesto. Il futuro non è roseo. Meno male che a lavorare in questo campo ci sono le ong? A Giugno il via ai lavori Centosettanta paesi (Bielorussia, Iran e Venezuela si sono astenuti) si sono espressi a favore del Consiglio Onu per i diritti umani. «Una risoluzione storica», è stato il giudizio del Segretario generale Kofi Annan. Ma l?ambasciatore Usa, John Bolton – per la prima volta sostenuto da organi di stampa liberal come il New York Times – ha insistito fino all?ultimo per regole più rigorose, chiedendo in particolare una clausola che impedisse l?ingresso ai paesi sotto sanzioni Onu. Le proposte Usa non sono state accolte. Il giorno prima del voto il segretario di Stato, Rice ha comunicato che gli Usa si sarebbero opposti formalmente, ma in seguito «avrebbero appoggiato missione e obiettivi del nuovo organismo». Il nuovo Consiglio dovrà essere materialmente eletto il prossimo 9 maggio e si riunirà per la prima volta, probabilmente non prima di giugno, a Ginevra. La sua creazione è stata appoggiata da 12 premi Nobel per la pace, incluso l?ex presidente Usa, Jimmy Carter.


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