Gli ufo prima degli esami

La storia di Umberto Daniel e Jacopo: il trapianto di midollo, le sere a guardare gli ufo in terrazza, e in questi giorni a fare gli esami di terza media al Bambino Gesù di Roma. Una grande amicizia da continuare “sulle montagne russe”. La professoressa: «Ho scelto di insegnare in ospedale, con i ragazzi si crea un rapporto molto stretto»

di Ilaria Dioguardi

Umberto Daniel è euforico mentre mi parla al telefono, finalmente è nella sua casa di Nocera Inferiore (Salerno). Ha finito da due giorni le cure all’ospedale pediatrico Bambino Gesù dopo otto mesi, tra ricovero e day hospital. Ha 13 anni, sta aspettando gli esiti dell’esame di terza media, che ha sostenuto in ospedale. Ha voglia di raccontarmi soprattutto della sua amicizia con Jacopo, il bellissimo dono che gli ha portato questa brutta esperienza.
Umberto Daniel è stato ricoverato all’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma dal 20 ottobre fino a gennaio, quando ha subito il trapianto di midollo. La sua diagnosi è di citopenia refrattaria, la più frequente delle sindromi mielodisplastiche pediatriche, che spesso si verificano nel contesto di sindromi geneticamente determinate, che si caratterizzano per un quadro di insufficienza midollare.

Dopo 4 mesi di ricovero, Umberto Daniel è stato ospite insieme alla mamma, per cento giorni, nella struttura messa a disposizione a Roma dall’associazione Peter Pan. «Qui ho conosciuto bene Jacopo. In ospedale eravamo nello stesso reparto, abbiamo studiato entrambi per prepararci all’esame di terza media, con gli stessi professori, che prima facevano lezione a me e poi a lui. Nell’alloggio di Peter Pan siamo diventati amici per la pelle», dice Umberto Daniel, pieno di gioia. «Io e Jacopo ci siamo dati man forte nella preparazione dell’esame, studiando insieme tutte le materie. Quando ci hanno dimesso, per continuare le cure in day hospital, siamo stati ospitati nella casa di Peter Pan, entrambi viviamo lontano da Roma: io in Campania, lui in Calabria. Ci siamo ritrovati nella stanza dei giochi della casa, dedicata a ragazzi dai 12 anni in su. Ci siamo tanto divertiti con i videogiochi e i mesi sono passati più in fretta. Abbiamo così tanta voglia di rivederci che sono riuscito a far spostare il mio prossimo controllo, fissato per il 4 luglio, al giorno successivo, per poter incontrare Jacopo che il 5 luglio dovrebbe essere dimesso. Vogliamo vederci finalmente fuori dall’ospedale e festeggiare insieme», continua Umberto Daniel. «Due giorni fa, quando sono tornato finalmente nel mio paese, quando ho riabbracciato a casa i miei fratelli e la mia cagnolina Luna, ho provato una gioia così grande che non riesco a spiegarla. Con Jacopo mi sento tutti i giorni. Lui ha fatto il trapianto un mese dopo di me, è in attesa di terminare tutte le visite e le cure».

L'esame di Umby

La sorella maggiore di Umberto Daniel, di 21 anni, compatibile con lui al 100%, gli ha donato il suo midollo lo scorso gennaio. «Umby è il più piccolo di casa, il più coccolato. Oltre a Francesca, ha una sorella di 18 e un fratello di 17 anni», dice la mamma, Camilla. «In tutto il percorso che ha fatto in ospedale mio figlio è stato “distratto” dalla scuola, ha seguito la maggior parte dei giorni le lezioni, tranne quando aveva la febbre alta o quando i farmaci gli davano problemi e non riusciva a concentrarsi. Per il resto, è stato molto attivo con i professori. Agli esami di terza media, il tema centrale della sua tesina esposta è stata la malattia. Quando ha suonato con la pianola la Nona Sinfonia di Beethoven, è scattato l’applauso di tutti», continua la signora. «Durante l’esame Umberto Daniel, parlando del medico santo Giuseppe Moscati, ha detto che “curava con tanto amore i bambini come i medici del Bambino Gesù hanno fatto con me”. Ho provato la mia più grande emozione di questi mesi».
«Ogni sera andavamo sul terrazzo della casa di Peter Pan a parlare degli esami e a guardare gli ufo, non so se erano veri, ma noi li vedevamo. E ci divertivamo a fare delle battute», racconta Umberto Daniel. «Io e Jacopo abbiamo tante cose in comune, ci piace il salame e amiamo le montagne russe. Appena stiamo entrambi bene, andiamo ad Etnaland, in Sicilia. Il giorno dopo la fine degli esami, il Bambino Gesù ha organizzato per noi pazienti e i nostri genitori, insieme ai volontari, una giornata a Zoomarine, un parco di divertimenti di Roma. Jacopo ha ancora il catetere, non ha potuto andare su alcune giostre, per questo abbiamo deciso presto di rimediare».

Quest’anno sono stati dodici i ragazzi che hanno sostenuto le prove scritte e orali di terza media nell’ospedale romano. Nell’anno scolastico che si conclude sono stati oltre 4mila i ragazzi seguiti dalla scuola del Bambino Gesù. L’esperienza della Scuola in Ospedale è nata nella sede del Gianicolo quasi 50 anni fa, nell’anno scolastico 1975/76. Oggi nelle sedi del Gianicolo, di Palidoro e Santa Marinella i ragazzi possono frequentare le lezioni della loro classe d’età, dalle elementari fino al liceo grazie ai docenti provenienti dagli Istituti Comprensivi Virgilio (Roma), Fregene-Passoscuro e Pietro Maffi (Palidoro) e dai licei Virgilio di Roma e Vittorio Colonna di Palidoro. Nell'anno scolastico appena concluso, i ragazzi delle scuole superiori seguiti al Bambino Gesù, in vario modo, per periodi differenziati più o meno lunghi, sono stati 251. L'anno scorso erano stati 173.

Non interrompere la scuola

La possibilità di continuare il percorso scolastico anche quando si è ricoverati è parte integrante della cura di bambini e ragazzi. «Il nostro principio è che tutti hanno diritto alla scuola, noi facciamo lezione ai ragazzi, nella sala delle lezioni o vicino ai loro letti nei reparti, anche per ricoveri di pochi giorni. Seguiamo soprattutto i pazienti con patologie gravi, nei reparti di Oncoematologia e nei day hospital oncologici, alcuni per mesi e anche per anni. Facciamo sempre lezioni individuali, si crea un rapporto diverso rispetto alla scuola tradizionale, molto più stretto, in un rapporto uno a uno», dice la professoressa Rossana Auletta, 63 anni, referente del Liceo Virgilio per la Scuola in Ospedale. «I ragazzi in ospedale non hanno l’ansia dell’interrogazione, non sono sotto pressione. Proprio per questo ce la mettono tutta, la vivono come una loro scelta, non come un obbligo. Lavoro nella sezione ospedaliera dal 2016, sono referente dall’anno scolastico 2019-20 e insegno inglese. Dopo aver iniziato il mio lavoro al Bambino Gesù, mi sono detta “questo è il posto che fa per me”. Questi ragazzi mi danno tanto, più di quanto io possa dare a loro. La vedo come una missione, nel mio lavoro non mi stanco mai. Ci sono momenti in cui mi commuovo, è impossibile rimanere indifferenti di fronte a storie difficili, ma non mi abbatto. Sono disponibile per i ragazzi e per le loro famiglie sempre. La mattina sono in ospedale, il pomeriggio seguo i rapporti con le scuole di appartenenza e interagisco con i ragazzi, che mi mandano i compiti o altro», continua Auletta. «I ragazzi ricoverati hanno bisogno di contatto con l’esterno. La cosa che mi fa più soffrire è vedere che spesso rimangono soli, isolati dalla classe; succede spesso che i compagni e i professori non abbiano contatti con loro e ne soffrono».

Quelli della maturità

I ragazzi che stanno sostenendo l'esame di maturità sono quattro. A causa della loro situazione clinica, gli esami si svolgeranno in reparto, tranne per un ragazzo. «Ad ogni esame di maturità, vedo nei miei studenti tanta dignità e onestà, rifiutano qualsiasi forma di aiuto. La Scuola in Ospedale è molto amata dai pazienti, è il loro momento di svago e, nello stesso tempo, li fa sentire utili. La parte più facile del mio lavoro è l’insegnamento, vederli soffrire dispiace moltissimo. In sette anni i miei studenti mi sono rimasti tutti nel cuore: quelli che sono tornati a casa, quelli che tornano in ospedale e quelli che non ci sono più».

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