Formazione

Gli stage in Italia non servono a nulla

Educazione e Lavoro: un report dà all'Italia una bocciatura clamorosa. L'elevato tasso di disoccupazione giovanile non è colpa solo della crisi, visto che il 47% degli imprenditori che cercano nuovi dipendenti lamenta una mancanza di skill nei notri giovani. Mentre lo stage fa calare solo del 6% la probabilità di non essere disoccupati

di Sara De Carli

L’Italia è il Paese in Europa dove è maggiore lo scollamento fra la scuola e il mondo del lavoro: i nostri giovani non conoscono le cose che gli consentirebbero invece di trovare un lavoro. In Italia infatti ben il 47% degli imprenditori in cerca di nuovo personale lamenta il fatto di non trovare le persone giuste, con le competenze che servono. Ma è pure il paese dove gli stage non servono a nulla, se è vero che averne fatto uno fa scendere solo del 6% la probabilità di essere disoccupato a sei mesi dal termine degli studi, contro il 36% della Francia.

I dati emergono dal rapporto Education to Employment: Designing a System that Works, presentato ieri a Bruxelles e di cui parla anche il Corriere della Sera. Il rapporto di McKinsey (in allegato, in inglese) si basa sulle interviste fatte a 5.300 giovani, 2.600 datori di lavoro e 700 educatori in otto paesi europei: Francia, Germania, Grecia, Italia, Portogallo, Spagna, Svezia e Regno Unito. Da soli questi otto paesi rapresentano il 75% dei 5,6 milioni di giovani disoccupati d’Europa. Quattro le domande a cui il report vuole rispondere:

1/Il problema della disoccupazione in Europa è frutto della mancanza di lavoro, di mancanza di competenze o di mancanza di coordinamento?
2/ Quali ostacoli incontrano i giovani nel loro percorso dalla scuola al lavoro?
3/ Quali gruppi di giovani stanno combattendo maggiormente?
4/ Cosa può essere fatto per affrontare il problema?

Lo skill gap

La “worst performace” dell’Italia arriva subito a pagina 9 del report, nel grafico dedicato allo “skill gap”. I datori di lavoro che riscontrano questo gap di abilità fra quanto i ragazzi imparano a scuola e ciò che il mondo del lavoro chiederebbe loro, sono solo il 18% nel Regno Unito, il 26% in Germania, il 31% in Svezia e in Portogallo, mentre la Spagna viaggia sul 33%: fin qui siamo nella media europea, che si attesta appunto al 33%. Sopra la media europea sono Francia (35%) Grecia (45%) e Italia (47%). Il commento del report è netto: «Chiaramente la mancanza di lavori in Europa, legata alla crisi, è una parte del problema della disoccupazione giovanile, ma è ben lontano dall’essere tutto il problema». Impressionante anche la diversa valutazione che degli stessi giovani danno i loro educatori e i loro potenziali datori di lavoro: siamo a pagina 10 e leggiamo che mentre il 74% degli educatori ritiene che i giovani abbiano le competenze necessarie per entrare nel mondo del lavoro, solo la metà – il 35% – degli imprenditori pensa la stessa cosa. Due mondi che non sanno parlarsi. Più precisa l’autocoscienza dei giovani, che nel 38% dei casi non ritengono la loro formazione adeguata al lavoro, molto più vicini agli imprenditori che non agli educatori. In Italia infatti solo il 37% degli studenti è contento delle abilità che ha appreso durante la scuola secondaria, contro il 53% della Germania. Portogallo, Italia e Grecia hanno la percentuale più alta di giovani che ritengono di non trovare lavoro perché mancano di skills: sono gli stessi tre paesi in cui con il tasso più basso di graduati di post-secondary level.

La pagella

A pagina 66 del report arriva la scheda-paese, che riassume la pagella di McKinsey. Il problema tema prevalente in Italia «è che la comunicazione e l'informazione devono migliorare, per consentire i giovani di prendere le decisioni giuste e incoraggiare i “fornitori” di formazione a insegnare le competenze che i datori di lavoro richiedono». In Italia solo il 26% degli studenti di scuola superiore dichiara di avere sufficienti informazioni sulla formazione successiva e solo il 19% considera gli sbocchi lavorativi previsti. C’è poi un tema di costi: il 39% dei giovani che non si iscrivono alla formazione post-secondaria dice di non farlo perché non può permetterselo. La mancanza delle competenze richieste dal mondo del lavoro in Italia «è una questione molto seria»: in particolare il divario di percezione esistente fra formatori e imprenditori riflette una «fondamentale mancanza di comunicazione tra datori di lavoro e prestatori. Infatti solo il 41% dei datori di lavoro ha detto di comunicare regolarmente con fornitori di istruzione e, di questi, solo il 21% considera questa comunicazione efficace».

Infine gli stage: in Italia, diversamente che nel resto d’Europa, non servono a trovare lavoro. Meno della metà (46 per cento) dei giovani italiani ha completato uno stage, ben al di sotto della media dell'indagine (61 per cento). Equesti tirocini non hanno provato la loro utilità, se è vero che in Italia la probabilità per un giovane di essere disoccupato sei mesi dopo la fine  degli studi cala solo del 6% per chi ha fatto uno stage. In Francia la diminuzione è del 36%, sei volte tanto. «La nostra conclusione è che gli stage in Italia non stanno fornendo ai giovani le competenze di cui hanno bisogno», dice il rapporto.

 

 

 

 

 

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.