Non profit

Gli scout, più giovani che mai

Si terrà in quattro diverse località. Coinvolgerà 20mila giovani. L’ala cattolica del movimento nato da Baden Powell sta vivendo un momento di eccezionale vivacità.

di Ettore Colombo

Gli scout sono gente cortese e puntuale, ma a questo appuntamento mancano da 20 anni. Dal 1983 non tengono più un campo nazionale, momento clou della loro vita associativa. Ma quest?anno la tradizione riprende: per 20mila ragazzi e 3.500 adulti l?appuntamento è per la settimana tra il 28 luglio e il 7 agosto. Si raduneranno in quattro luoghi diversi. E non è un caso che la tradizione riprenda oggi, anno 2003. Gli scout infatti stanno vivendo una nuova giovinezza, e un nuovo protagonismo sociale. Li abbiamo visti in prima fila in tutti gli appuntamenti del popolo new global. Presenza entusiasta. Ma anche portatrice di ?normalità?. Euna signora dall?aspetto del tutto normale è Grazia Bellini, al suo secondo mandato come presidente dell?associazione (prima in coabitazione con Edo Patriarca, ora con Lino Lacagnina). Grazia Bellini in effetti è un?elegante signora di 56 anni, con due figli, fiorentina doc e professoressa in un centro interculturale del Comune di Firenze (dove insegna ai ragazzi extracomunitari). Dice: “è vero, gli scout fanno notizia quando prendono la testa dei cortei con le loro uniformi ben riconoscibili, ma io non vedo dove sia lo scandalo, quando si tratta di manifestare, una forma tra le altre, il proprio pensiero su temi come lo squilibrio Nord/Sud, la globalizzazione e la pace. Per esempio, la nostra adesione alla Marcia per la pace Perugia-Assisi è un fatto talmente consolidato che, all?interno della Tavola della pace, siamo tra i soci fondatori”. Insomma, difficile estorcere dichiarazioni bomba alla Bellini, ma certo è che i suoi scout sono un fenomeno difficilmente inquadrabile quanto positivo nella loro ?normalità?. “Vogliamo verificare, in questa occasione, linguaggi e modalità formative”, dice la Bellini, “non solo stare assieme, come fanno i nostri gruppi, in piccolo, ogni anno. Ragazzi ed educatori devono ogni volta trovare nuovi tipi di relazione e comunicazione. Ma per verificare meglio le ipotesi e i percorsi pedagogici che proponiamo agli scout abbiamo pensato che fosse più utile un?esperienza collettiva più grande e condivisa”. Far bene una cosa Ma cosa s?impara, a fare gli scout, a dividersi in lupetti e coccinelle, esploratori e guide, rover e scolte? “Innanzitutto a far bene una cosa e a saperla insegnare a qualcun altro. Noi scommettiamo su un?unità di base, la squadriglia, sette o otto ragazzi e un educatore, che vivono un?esperienza comune e dove tutti imparano a fare qualcosa e lo trasmettono agli altri. Poi la capacità di sperimentarsi e di fare esperienze concrete nelle quali, però, si misura anche la capacità di fare progetti e portare a termine esperienze ed avventure”. Curioso, che dei ragazzi oggi, apparentemente così sicuri di sé e già grandi, esperti, abbiano bisogno di ?guide?. “Certo, la società è cambiata, il mondo è molto diverso, ma i ragazzi fanno sempre meno esperienze legate al fare, paradossalmente navigano di più, ma vivono di meno. Noi gli offriamo la possibilità di farle, queste esperienze, ma sempre accompagnati da ?fratelli maggiori?, che stanno lì al loro fianco e li seguono. Una responsabilità grande, quella che le famiglie ci affidano, e che quindi ci obbliga a prepararci e ad affrontarle al meglio. E poi, tutta questa autonomia che hanno i giovani, spesso non sono capaci di gestirla, in famiglia e fuori. Stare fuori casa per dieci giorni, a 10 o 11 anni, in un campo, all?aria aperta, assieme ai loro coetanei, sembra una stupidaggine eppure molti adolescenti non l?hanno mai vissuta. Diventa un campo in cui misurarsi e capire che la vita è bella, è un dono, e va vissuta a pieni polmoni?”. Quasi quasi iniziamo ad affascinarci, alla “strada verso la felicità e la bellezza” che descrive la Bellini, non fosse altro perché ce la ricordiamo bene, la ?fatica? di diventare grandi. Resta da capire dove sta la politica di cui si parlava all?inizio, in tutto questo. “Quale migliore possibilità di avvicinarsi all?idea di bene collettivo e di cittadinanza attiva dello stare in un gruppo tutti assieme, dove devi occuparti del tuo vicino e fare la tua parte?”, replica la Bellini. “Essere responsabili di sé e del proprio gruppo vuol dire diventare cittadini pieni e consapevoli del proprio Paese, da grandi. Parlare di pace, tra scout, come di Europa e di Costituzione, a questo punto diventa naturale, consequenziale”. Giocare e riconoscersi Certo, si può provare a ribattere, ma le uniformi e la gerarchia non confondono un po?? “No, sono solo un modo per stare più comodi”, è la sua risposta, “un elemento in più per giocare e riconoscersi, non hanno certo un significato di separazione o prepotenza! Quello che conta sono i contenuti della proposta educativa. E poi, tutti i ragazzi diventano a loro volta capi, nella squadriglia scout, e si prendono la responsabilità di guidare e aiutare i più piccoli. L?anzianità fa il grado perché l?anzianità è figlia della competenza e dell?impegno, non certo di un criterio leaderistico o di sopraffazione. Ogni ragazzo sa che ha delle punte di eccellenza: gli scout lo aiutano a tirarle fuori, a misurarsi con se stesso e con gli altri, a non farsi male e a rispettare l?ambiente, ma soprattutto ad aiutare, oltre che ad aiutarsi”. Sarà per questo che l?intervento degli scout è così richiesto, in occasione dei grandi eventi e delle grandi emergenze, come i terremoti? “Sì, ora abbiamo anche dei gruppi che fanno corsi nella protezione civile. Ma il punto centrale è sempre l?attenzione verso le persone e l?esito finale del percorso scout è sempre l?educazione al servizio. Una felicità del donarsi e dell?esserci che ci fa incontrare, come dicevo all?inizio, tanti compagni di strada, apparentemente lontani, ma che per noi sono fratelli e sorelle con cui condividere emozioni e percorsi. Ecco perché fare volontariato, impegnarsi nella società e nella polis, per uno scout diventa poi un passaggio naturale, quasi obbligato”. Via dal ripiego Poi c?è la componente religiosa? “Certo, il nostro è anche un percorso di educazione alla fede, anche qui un cammino, ma anche qui ognuno poi dà le sue risposte e incontra Dio nei modi più diversi. Resta, come punto fermo la volontà di proporre ai ragazzi, che non sono affatto stupidi, cose limpide e diritte. Poi ognuno darà la sua risposta, singola e complessa”. “Bisogna però soprattutto insegnar loro la virtù del sogno, non quella del ripiego”, continua appassionata. “Il problema è se noi adulti ne siamo all?altezza: ecco perché siamo molto esigenti, nel percorso di formazione degli educatori. Non vogliamo elargire virtù, ma testimoniare la bellezza del mondo e conoscerlo. Dunque, esplorarlo. Essendo protagonisti attivi, sviluppando progettualità e mantenendo il senso del limite, il valore del fare e il senso della lealtà. Perché conoscere il mondo ed esplorarlo permette di godere appieno della sua bellezza. Ma soprattutto per lasciare il mondo sempre un po? migliore di come lo si è trovato”. Un ?riformismo dei piccoli passi?, del fare, quello messo in atto dagli scout, che di questi tempi è oro.


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