Quando nell’ottobre 2011, Vita, insieme alle organizzazioni non profit del suo Comitato editoriale, decise di lanciare la campagna “Ricominciamo da noi”, punteggiata di eventi e contenuti editoriali, intendeva sottolineare il grande valore espresso quotidianamente dalla società civile che ormai nulla più si aspetta da una politica muta e quasi silente. A fine 2011, pensavamo di aver già consumato il catalogo di tutte le peggiori notizie: l’aumento del 400% delle tariffe postali per il non profit; l’aggravio di imposta del 3% per la cooperazione; il ritardo ormai strutturale di tre anni nel saldo delle competenze del 5 per mille; la riduzione dei fondi per la cooperazione internazionale da 732 a 86 milioni; gli oltre 25 miliardi di euro di crediti della pubblica amministrazione verso il non profit; il taglio nei trasferimenti dallo Stato agli enti locali con il Fondo nazionale per le politiche sociali sceso in tre anni dai 939,3 milioni del 2008 ai 75,3 milioni di euro del 2011; il taglio del 63% dei fondi nazionali settoriali (infanzia, servizio civile, non autosufficienza etc.) per le politiche sociali; il taglio, in quattro anni, di oltre il 400% di risorse dedicate al Servizio civile nazionale.
Invece, anche l’inizio del 2012 non ci ha risparmiato cattive notizie. Il 29 gennaio, col suo proverbiale approccio impolitico, Elsa Fornero se n’è uscita con questa dichiarazione a proposito dell’Agenzia per il terzo settore che, nell’ultimo mese, aveva tra l’altro individuato 11 false onlus (compito fondamentale questo della vigilanza, oltre a quello della promozione): «Abbiamo deciso di chiudere questa agenzia, ci dispiace. Bisognava per forza fare questa operazione. Creare un’altra Authority non si può e tenerla in vita così com’è sarebbe stata la riprova che in Italia non si può chiudere niente». Uno schiaffone in faccia all’Italia che produce societas e risposte ai bisogni sempre più gravi e urgenti che va ad aggiungersi al nulla che il governo Monti ha prodotto in questi due mesi sul fronte delle politiche sociali. Come se non bastasse, si devono anche registrare le continue esternazione del sottosegretario al Welfare, Maria Cecilia Guerra che non cessa di esprimere la sua contrarietà al 5 per mille dimostrando così di non capire l’innovatività di una misura di vera sussidiarietà fiscale che ha mobilitato, attraverso scelte personali e attive, 16 milioni di italiani.
Avevo già avuto modo di sottolinearlo a commento dell’intervista che il ministro Fornero aveva rilasciato a Vita nel dicembre scorso: sembra che questo governo salti a piè pari il dato di realtà che rende unico il nostro tessuto sociale nel mondo, la sua vivacità e ricchezza, la sua capacità di autogenerare percorsi di solidarietà, gratuità e innovazione. In un frangente così critico e di scarsità di risorse pubbliche, è da folli non valorizzare e non liberare le energie dei 16 milioni di italiani che donano più di una volta l’anno, dei due milioni che adottano a distanza, etc. etc. La società è la prima opera pubblica, bisogna custodirla e nutrirla, ma per farlo bisogna riconoscerla, liberarla e favorirla. Ricordiamoci di ciò che dicevano i latini: «Ubi societas, ibi ius».
Senza questa coscienza non si va da nessuna parte, perché la coesione sociale (che non è prodotta né dallo Stato né dal mercato) non viene prima o dopo lo sviluppo, ma ne è il primo motore. Il mercato vive di presupposti che consuma e non è in grado di darsi: fiducia e reciprocità. E senza società civile lo Stato si riduce a procedura e a tecnocrazia. Lo capirà il governo Monti e lo capiranno i suoi ministri?
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