Politica

Gli italiani voltano le spalle alle urne. Revelli: «La politica è dentro una crisi cronica»

«Non ci sono molti sindaci o candidati tali che parlano alla propria cittadinanza in modo trasversale. Tutto si riduce alla scelta tra degli incompetenti, poco dotati anche dal punto di vista comunicativo, e dei competenti frigidi». Intervista al politologo Marco Revelli

di Lorenzo Maria Alvaro

Il tam tam è martellante. Sin di prima mattina, nel secondo giorno di urne aperte, i cellulari sono invasi da appelli al voto. Su Whatsapp si susseguono catene di sant'Antonio in cui, più o meno con le stesse parole, i candidati di ogni lista sollecitano i propri contatti ad andare alle urne. È questa la prima spia del vero dato di queste Amministrative 2021: l'astensione.

Rispetto a quattro anni fa infatti, nonostante il giorno in più di seggi aperti si registra un calo dell'affluenza dell'8% circa. Il dato parziale delle 15 di oggi infatti, stando al sito del Viminale, è pari al 54,64% per cento (1.111 Comuni su 1.153). Alle amministrative del 2016 era stata del 63,38%. Già nella giornata di ieri i numeri non sono stati incoraggianti: alle 23, infatti, solo il 41,6% degli italiani è andato a votare. Il calo si registrerà presumibilmente anche nelle grandi città chiamate al voto.

«Un elemento che ci dice molto più di tanti altri della crisi della politica», sottolinea laconico il politologo, sociologo e storico Marco Revelli. In molti stiano mettendo le mani avanti, sottolineando che il vero paragone debba essere fatto con il referendum costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari, anch'esso organizzato su due giorni. Ma per il professore «un'astensione alta alle amministrative è comunque un brutto segno. Dimostra più che altro una scarsa rappresentatività dei candidati»,

«Siamo di fronte ad una crisi sul versante dell'offerta», continua Revelli, «La politica offre un prodotto scadente. Per quanto riguarda il centrodestra, area che comprende larghe parti anche dei 5 Stelle, c'è un'evidente crisi di personale politico. Hanno un'abbondanza di figure scarsamente presentabili, credibili e qualificate. Potremmo dire che il populismo genera un quadro intermedio inesistente. A destra ormai ci sono partiti politici che vivono della visibilità del proprio leader, sotto il quale non c'è nulla», continua Revelli. E nel centrosinistra invece? «Abbiamo un professionismo politico che non scalda il cuore a nessuno. Professionisti delle procedure con idee generiche e banali e con una capacità di comunicazione, con il proprio “popolo”, inesistente».

Pochissimi anche i casi in contro tendenza. «Le figure che hanno sparigliato le carte sono davvero poche. Non ci sono molti sindaci o candidati tali che parlano alla propria cittadinanza in modo trasversale. Tutto si riduce alla scelta tra degli incompetenti, poco dotati anche dal punto di vista comunicativo, e dei competenti frigidi».

Una debacle che diventa plastica quando si guarda ai programmi. «Dicono tutti le stesse cose. Parlano di buche, di inclusione, di abbattimento delle barriere architettoniche, piuttosto che di immondizia o ascolto e periferie», continua Revelli, «totali banalità che scontano una pneumatica assenza di visione, cultura politica e valori di appartenenza. E la crisi dei partiti è proprio tutta qua: una politica commissariata dall'economia e dalla finanza che non riesce ad immaginare di incidere profondamente sui sistemi sociali e si limita al piccolo cabotaggio vicino alla riva».

«Se posso aggiungere una cosa», conclude Revelli, «in questa astensione leggo anche una quota dell'effetto Draghi: la verticalizzazione della politica che assorbe tutta la sfera delle decisioni nel punto più alto, in una cerchia sempre più stretta fino ad identificarsi con il “Migliore”. E sotto rimane inevasa la domanda che non si incontra con le decisioni che vengono prese, ristagna, non trova canali di comunicazione alla fine viene neutralizzata dalle risse da pollaio tra partiti».

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