Economia

Gli istituti missionari e la finanza: buone pratiche

Gli istituti missionari, che hanno dato impulso alla nascita della finanza etica in Italia, stanno sperimentando delle pratiche per rendere sempre più responsabili i propri investimenti. Un’inchiesta dal numero di marzo del mensile Mondo e Missione.

di Emanuela Citterio

«Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura». L’enciclica “Laudato Si’” di Papa Francesco, pur essendo dedicata alla natura e alla cura del creato, tocca il tema della finanza per ben venti volte. Come a dire che le questioni ambientali e sociali sono collegate in modo stretto ai modelli che governano l’economia e la gestione dei capitali. Modelli che – l’enciclica lo sottolinea con forza – non sono dati una volta per tutte. Francesco invita a sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici. E lo fa non solo denunciando le grandi istituzioni finanziarie che resistono al cambiamento, ma anche sollecitando ognuno a fare la propria parte attraverso scelte responsabili.

Il numero di Marzo di Mondo e Missione apre con un’inchiesta sulle buone pratiche che gli istituti missionari in Italia stanno sperimentando per gestire in modo etico i propri investimenti. Ne anticipiamo alcuni stralci. «In modo graduale gli istituti religiosi e missionari si stanno accorgendo che questo aspetto che può sembrare più pratico può diventare coessenziale alla realizzazione della loro missione», suor Alessandra Smerilli (nella foto qui sotto), economista e religiosa salesiana. «A ridestare l’attenzione è stata anche la Laudato Si’ di Papa Francesco, che sta continuando a dare spunto di riflessione su modelli alternativi di economia». Di recente il Pime, dopo un percorso di diversi mesi che ha coinvolto anche laici competenti in ambito finanziario, ha prodotto un documento sulla gestione delle risorse economiche e, insieme a un gestore di fondi, sta creando un fondo etico su misura, che seleziona gli investimenti in base ai criteri etici che l’Istituto si è dato.

«Abbiamo creato un équipe di lavoro di cui fanno parte necessariamente laici esperti di finanza e abbiamo cominciato ad analizzare i nostri rapporti con le banche», racconta padre Natale Brambilla, 52 anni, già missionario del Pime in Brasile e dal 2013 economo del Pime per l’Italia. «Abbiamo individuato criteri etici sia in negativo – per esempio no alle banche che favoriscono le transizioni di armi, no alle azioni di aziende coinvolte nel gioco d’azzardo o nella pornografia – che positivi: sì all’impresa sociale, a obbligazioni “verdi”, alle aziende che supportano i giovani, la microimprenditoria. In base a queste linee guida abbiamo interrotto il rapporto con banche che non ci hanno dato risposte convincenti. Ora con un gestore di fondi etici con il quale ci troviamo in sintonia abbiamo deciso di aprire un fondo ad hoc che corrisponda ai criteri che abbiamo individuato. L’idea poi è di aprire questo fondo ad altri investitori – fra cui per esempio altri istituti missionari – che condividono i nostri principi. Il gestore stesso, dopo un periodo di sperimentazione, lo proporrà ai propri clienti».

Tra le esperienze più avanzate di investimento responsabile nel mondo missionario c’è quella degli Oblati di Maria Immacolata (Omi), grazie soprattutto all’impegno e alla visione di Marc Dessureault (nella foto), canadese e tesoriere a Roma dell’istituto. Padre Marc ha conseguito un Master in Business Administration in ambito finanziario all’Università di Ottawa e vent’anni fa ha cominciato a sviluppare un percorso sfociato nella creazione di un filtro etico. «Quando ci siamo accorti che i filtri disponibili per individuare prodotti finanziari in base ai nostri valori non erano modellabili in modo preciso, abbiamo chiesto a un’agenzia di rating etico, Sustainalytics, di sviluppare per noi un filtro etico su misura. Funziona come una sorta di semaforo: ogni tre mesi inviamo il filtro aggiornato ai nostri gestori, che lo applicano ai prodotti finanziari. Se c’è la luce verde possono procedere con l’investimento, se è rossa devono fermarsi, se è gialla devono consultarci prima di prendere una decisione».

Ma come mai un istituto missionario ha l’esigenza di fare degli investimenti? «I fondi che riceviamo dai donatori per la missione sono tutti inviati nei Paesi in cui operiamo», spiega padre Brambilla. «Ma il Pime riceve anche lasciti ed eredità, che spesso comprendono tra l’altro anche titoli, oppure arrivano donazioni per sostenere le attività dell’istituto in Italia. In questo caso è nostro dovere far fruttare queste risorse, come dice la parabola evangelica dei talenti, ed è anche una grande responsabilità, perché non si tratta di soldi nostri ma di chi ce li ha affidati e dei poveri ai quali sono destinati».

Secondo Suor Allesandra Smerilli non si sono affrontate prima alcune questioni per una sorta di “squalificazione” degli aspetti economici (“Il denaro è lo sterco del diavolo”, dicevano i padri della Chiesa). «Ora invece molti istituti religiosi si stanno accorgendo che anche con il modo con cui si gestisce il denaro si può “annunciare” il Vangelo, per esempio chiedendo alle aziende, alle banche e al mondo della finanza comportamenti più etici e responsabili».

da mondoemissione.it

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