«La dignità è di tutti gli uomini. Anche dei clochard, oppure no?». La domanda richiederebbe, per una volta, una risposta non formale o burocratica. A rivolgerla in una lettera al Sindaco di Milano, come riferisce il “Corriere della Sera” di ieri, è stata Katia, ex moglie di “Max lo chef”, per come veniva ormai chiamato Massimiliano Rovelli dai suoi compagni di sventura il senza dimora trovato ucciso dal freddo il 27 febbraio vicino alla Stazione centrale di Milano. «Un irriducibile della strada», lo avevano prontamente stigmatizzato, a suggerire che del suo assideramento era da considerarsi l’unico responsabile e a tacitare ogni possibile interrogativo sulle politiche rivolte ai poveri. Non tanto a livello cittadino, ché Milano da questo punto di vista ha perlomeno sempre cercato di fare bene, quanto sulle scelte sovrastanti, quelle che, a colpi di “decreti sicurezza” hanno trasformato il problema, peraltro vistosamente crescente, in questione di ordine pubblico e di “decoro urbano”. Arrivando al paradosso, che più che insensato occorrerebbe definire infame, per cui la polizia locale, con il servizio di nettezza urbana, si premura di battere i marciapiedi per rastrellare e buttare le coperte che le associazioni, i volontari e talvolta gli stessi servizi pubblici forniscono ai senza tetto per proteggersi dai rigori invernali. Secondo una testimonianza era successo anche a Massimiliano, ma è comunque prassi consueta e ripetuta, come proprio oggi ha di nuovo denunciato Maurizio Rotaris, responsabile di SOS Stazione Centrale, che da decenni aiuta e spesso salva i poveri costretti a vivere per strada.
Ero nudo e non mi avete rivestito
La scomoda domanda ora posta da Katia non è per nulla retorica: trae origine dal fatto che Massimiliano è stato tumulato in un sacco, come fosse spazzatura, anziché essere rivestito con gli abiti portati allo scopo il giorno dopo il decesso dai famigliari, i quali avevano peraltro anche pagato all’agenzia addetta il relativo compenso. Anche essere sepolti dignitosamente vestiti, infatti, non è normale gesto di pietà ma uno specifico servizio con un suo prezzario. In questo caso il servizio non è stato fornito. «Ero nudo, e non mi avete vestito»: anche le opere di misericordia subiscono l’onta di questi tempi.
Tempi in cui, abbiamo visto il mese scorso a Sesto San Giovanni, le autorità pubbliche arrivano a festeggiare in conferenza stampa, con tanto di torta, il bilancio conseguito dall’assessore alla Sicurezza e dalla polizia urbana: l’allontanamento coatto dal proprio territorio di ben 208 poveracci in soli sette mesi. Lo chiamano “Daspo urbano”, reso possibile dall’ultimo decreto Minniti. La cifra del brillante risultato era persino riportata sopra la torta, con l’enfasi del cattivo gusto che spesso si accompagna alle cattive politiche.
La provvidenza non sempre è divina
«I poveri li avrete sempre con voi», assicura e ammonisce il Vangelo. Anche a non sapere cogliere il senso delle parole di Gesù, si potrebbe almeno provare a comprendere l’inutilità di nasconderli questi poveri e l’ingiustizia di, sempre più spesso, criminalizzarli e perseguitarli.
Qualche problema interpretativo si è forse manifestato alla Piccola casa della Divina Provvidenza di Torino, storica e meritevole istituzione caritativa meglio conosciuta come Cottolengo, dal nome del suo fondatore non per niente divenuto santo.
Un paio di settimane fa la sua mensa per i poveri e per i senza dimora ha riaperto dopo cinque mesi di ristrutturazioni e ora, contestano alcuni dei volontari che vi operano, ««Non è più lo stile del Cottolengo di prima, prima si accoglieva chiunque ora tutti devono essere registrati»; adesso l’impatto non è di un luogo di accoglienza, dato che sono stati istituiti massicci tornelli metallici e addirittura lettori di impronte digitali per filtrare e controllare gli ingressi, richiedere i documenti e interrogare chi intende accedere sulle sue richieste e motivazioni.
Di questi tempi, l’abito non fa più neppure il monaco e qualcuno, travestito da povero, potrebbe infiltrarsi per scroccare un pasto.
Assicura uno dei frati responsabili della struttura che durante il periodo di chiusura della Piccola casa «delle circa 400 persone che ogni giorno la frequentavano, solo 250 hanno chiesto di poter andare nelle mense-sostitute. In realtà se ne sono poi presentati solo 140. Questo significa qualcosa, e comunque che a Torino il cibo non manca».
La fame, insomma, non esiste e il freddo non uccide nessuno, se non gli «irriducibili» che se la vanno a cercare.
Il problema vero è del decoro delle nostre strade, che i sedicenti poveri compromettono sfacciatamente.
Ora che lo sappiamo possiamo finalmente stare tutti più in pace con la nostra coscienza. Amen.
Foto Daiano Crisitni – Sintesi
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