Welfare

Gli interdetti: “Il voto in carcere”

Oltre 20mila aventi diritto. Ma poi, di fatto, la croce sulla scheda la mette soltanto uno “zero virgola” dei detenuti. Sfiducia nelle istituzioni, certo.Ma anche pastoie burocratiche...

di Stefano Arduini

Votanti de jure, interdetti de facto. Sono i detenuti rinchiusi nelle 207 carceri italiane che malgrado non abbiano perso il diritto di voto, nell?ultima tornata elettorale ancora una volta non esprimeranno la loro preferenza. Dati ufficiali, non ne esistono. Né al ministero dell?Interno, tanto meno presso quello della Giustizia. E questo a ben vedere è già un segnale di quanto la questione stia a cuore nei piani alti del Palazzo. Una stima la abbozza Franco Corleone, garante dei detenuti a Firenze, che insieme al diessino Luigi Manconi ha il merito di aver sollevato il problema. «Togliendo gli immigrati clandestini e i condannati a una pena definitiva con interdizione ai pubblici uffici, si può calcolare in circa 20/22mila la quota di aventi diritto che risiedono dietro le sbarre». Sulla carta, perché nella realtà il carcere ancora una volta si dimostra una cittadella chiusa al resto del mondo. In quale altra circostanza infatti un?affluenza alle urne di pochi centesimi superiore allo 0% lascerebbe l?opinione pubblica così indifferente? «Nelle ultime elezioni regionali negli istituti toscani ha votato meno dell?1% degli aventi diritto», rivela Massimo De Pascalis, attuale provveditore regionale a Firenze ed ex direttore a Rebibbia. Che aggiunge: «Anche a Roma i numeri non si discostavano da questa soglia». Due casi isolati? Niente affatto. Dodici mesi fa in occasione delle Regionali i carcerati che si presentarono al seggio volante predisposto all?interno del Due Palazzi di Padova furono appena 20 su 800. Fra gli esclusi, «malgrado ne avessi fatta richiesta», Stefano Bentivogli, della redazione di Ristretti Orizzonti. La sua è una vicenda paradigmatica. «Purtroppo mentre ero dentro c?è stato il censimento. Non mi hanno trovato in casa e quindi sono stato annoverato fra i ?senza fissa dimora?». Niente residenza. Niente certificato elettorale. Niente voto: «Per avviare le pratiche ci sarebbero voluti almeno tre mesi». Fuori tempo massimo. Ma è tutto il meccanismo che sembra fatto apposta per frenare le (fievoli) esigenze civiche dei detenuti. «In carcere si applica l?inversione del diritto elettorale. Per partecipare alla vita democratica del paese infatti è necessario chiedere l?autorizzazione alla direzione attraverso la cosiddetta domandina», denuncia Corleone. Ma la via crucis non è finita qui. Ottenuto il via libera dall?amministrazione, infatti, spetta al detenuto l?onere di procurarsi la cartella elettorale. Una procedura che a seconda degli istituti e delle amministrazioni locali può durare qualche giorno o diverse settimane, sempre che fuori ci sia qualcuno, un parente o un amico, disponibile a dare una mano. «Ma ormai dentro arrivano sempre di più persone sole e senza residenza», chiosa Bentivogli. Il ministero della Giustizia, da una parte, e i candidati politici, dall?altra, da parte loro fanno davvero poco per promuovere il voto in «un bacino elettorale di una certa vastità, ma spesso sopraffatto da un sentimento di sfiducia nei confronti delle istituzioni», osserva Patrizio Gonnella, presidente dell?associazione Antigone. Qualche giorno prima della consultazione, via Arenula infatti si limita, attraverso i provveditorati regionali, a inviare una circolare in cui si invitano i dirigenti «a promuovere tutte le necessarie iniziative tese a garantire il libero esercizio del diritto», al fine «di garantire il pieno rispetto di tale diritto costituzionale». Che cosa significhi nella realtà questo impegno, lo spiega Bentivogli: «Un avviso nell?area ricreazione, che spesso i detenuti nemmeno vedono». Lo stesso De Pascalis ammette: «Campagna elettorale dentro? Zero. Zero assoluto. Mai visto un politico in carcere nei mesi precedenti la consultazione». In realtà qualche attivista c?è. «Capita che gli agenti penitenziari promuovano il loro referente politico anche fra i detenuti», osserva Gonnella. A leggere i numeri, però, senza grandi risultati.


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