Famiglia

Gli intellettuali impegnati? Stanno tutti a destra.

Una volta ad Assisi marciavano Pasolini, Calvino, Moravia, Sciascia. Oggi invece i maestri del pensiero “pesante” approvano bombe e punizioni esemplari.

di Ettore Colombo

Uno legge Vita, l?unico giornale, oggi, in Italia, dove può leggere di certe storie (cioè, dico, Vita, mica l?Unità e Rinascita, nel senso del quotidiano e del settimanale fondati e diretti da Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, s?intende, oppure, chessò, Nuovi Argomenti, la rivista fondata e diretta da Alberto Moravia ed Enzo Siciliano… ) e gli viene un colpo, insomma, fa un balzo. Chi è che c?era alla Marcia della pace, anno del Signore 1961? Be?, Aldo Capitini, naturalmente, che della Marcia fu l?ideatore e il promotore. E poi, in ordine di apparizione, Italo Calvino che ci scrisse sopra persino una filastrocca, L?avvoltoio, Gianni Rodari che invece ci scrisse su un articolo, e Pier Paolo Pasolini, senza dire di Alberto Moravia, appunto, o di Leonardo Sciascia. Gente così, insomma, ?qualunque?. E oggi? Che fine avranno mai fatto questi benedetti ?intellettuali?, non più organici, forse disorganici un po? a tutto, dotati di troppi spalti dai quali parlare e di una voce troppo debole, sicuramente. Sfilacciati, isolati, di fatto silenti. Retorica spicciola Almeno sulle grandi questioni della guerra e della pace, che, invece, a chiedere conto loro di premi letterari e polemiche culturali da salotto, ah, per quello una parola, una frase, una mezz?intervista non la negano a nessuno. Trovarli, stanarli per fare questo servizio, invece, è stata dura, durissima: a parlare, dalle colonne dei giornali e in tv, sembra che ci siano soltanto impeccabili esperti di strategia militare e giornalisti, giornalisti, giornalisti. Nelle vesti di cronisti d?assalto, grandi reporter di guerra o veri e propri opinion makers come Angelo Panebianco, sembrano rimasti solo loro, a profetizzare sventure o salvezze al mondo. Oriana Fallaci, certo, ma anche Tiziano Terzani che dall?Asia le risponde e poi Michele Santoro e Bruno Vespa che litigano da una rete all?altra, Giulietto Chiesa ed Ettore Mo dal Panshir, la consueta folla di commentatori della prima ora che non offrono alternative: o con gli Usa o con Bin Laden. Se un tempo chi dettava i contenuti del confronto erano intellettuali più o meno scomodi nei confronti dello status quo, oggi sono le truppe degli apologeti di questo che è «il migliore dei mondi possibili», a tenere banco. E gli altri dietro, affanosamente a replicare e inseguire. Massimo Gramellini, brillantissima penna del quotidiano La Stampa, cita proprio il botta e risposta Fallaci-Terzani sul Corriere della Sera e non può fare a meno di sferzare la categoria, «tutta presa dalla retorica antiberlusconiana spicciola, che non ha più una fede né valori profondi e che applica ai fatti da un lato codici tradizionali, ideologici, e dall?altro è atea e arida, come dimostra l?approccio di Umberto Eco, che si limita a reclamare l?uso della ragione… Servirebbe, agli intellettuali, uno scatto di passione e di fede, di spiritualità che manca loro, purtroppo, del tutto». Giovanni Raboni, raffinato poeta e gran signore, si addolora sinceramente dell?attuale e continuo «sgretolamento del fronte intellettuale, abbastanza inevitabile, a dire la verità, dato il crollo dei principali sistemi di riferimento ideali, ma che una volta, almeno, agevolava il compito: era più facile, un tempo, anche per gente come noi protestare. Oggi è venuto meno ogni automatismo, ogni funzione aggregante della protesta e gli stessi luoghi di aggregazione degli intellettuali, all?interno della vita politica, sociale e culturale . A parlare, appunto, restano solo i giornalisti, come la polemica Fallaci-Terzani dimostra. Io non mi sento né filoamericano né antimericano, mi sento spaventato». Michele Serra, figura che definire scrittore sarebbe troppo poco e descrivere come un intellettuale lo infastidirebbe, di una cosa è certo: «Trovo curioso, piuttosto, che mentre la precedente ondata di ?impegnati? a sinistra fu conclamata, l?attuale tendenza, che è l?impegno a destra, sia spesso travestita da una falsa coscienza ?super partes?. Non c?è niente di male nell?essere di destra, niente di male nell?essere bellicisti. Credo che i neo intellettuali di destra avrebbero bisogno di un sano ?outing?…». L?intellettuale casalingo «Per un intellettuale», continua, «ha senso impegnarsi in politica tanto quanto per un idraulico o una casalinga. È una scelta individuale rispettabile e in parecchi casi persino coraggiosa. Trovo detestabile, invece, il diffuso vezzo di definirsi ?fuori dal coro? anche quando si dicono banalità ultra popolari». Eppure, conclude il suo ragionamento Serra, «personalmente, pur rispettando profondamente la cultura pacifista e trovando odioso il dileggio di cui la si fa oggetto in questi giorni, io ad Assisi non andrò. Credo che il pacifismo sia chiamato a rivedere almeno alcuni dei suoi presupposti, anche i più nobili, di fronte a una minaccia genocida che rimette in discussione il concetto stesso di inermità. Piuttosto, sempre a proposito di intellettuali, mi chiedo con sgomento quanti, in Italia, si siano battuti pubblicamente per Rushdie, per il popolo algerino o per le donne afghane. Temo che sia prevalso invece il concetto che ?finché si sgozzano tra loro, non è così grave?. Sono stato, temo, il solo ?intellettuale? italiano, insieme al grande cronista Ettore Mo, a dedicare parole di lutto e dolore per l?assassinio di Massud, partigiano afgano che lottava contro i Talebani. E ne sono maledettamente orgoglioso». E dunque, saranno in ben pochi, quest?anno, gli intellettuali italiani che parteciperanno alla Marcia della pace. Chissà se il nuovo popolo di pacifisti, obiettori di coscienza, volontari e solidali in marcia ne sentirà la mancanza.


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