Sostenibilità
Gli innovatori sociali? Cercateli nelle aree interne
A dispetto della narrazione che li considera animali da ecosistema metropolitano del Nord Italia, gli innovatori vivono ed operano anche in centri medio piccoli, ciò che li caratterizza, quindi, è la capacità di abilitare ed agire reti che superano la dimensione prettamente locale che costruiscono comunità trans-regionali o trans-nazionali
Nei primi anni ’70, Nuto Revelli, armato di magnetofono, attraversò in lungo ed in largo la provincia di Cuneo. Revelli cercava di leggere la contemporaneità provando a ricostruire una storia minuta, polifonica, che cercasse di far emergere il punto di vista dei “sopravvissuti” alle radicali trasformazioni del secolo breve. Il mondo dei vinti, frutto del lavoro di ricerca di Revelli, è una potente etnografia della modernità contadina, della grande fabbrica che eccede la pianura e si incunea dentro le campagne, si insinua nelle Langhe, per giungere su sino alle valli di montagna.
Revelli ci racconta della transustanziazione del contadino che si fa operaio, di territori riarticolati dall’illusione industriale del dopoguerra, del grande esodo verso la città-fabbrica, delle incomprensioni generazionali tra progetti di vita che diventano antitetici. Una storia, scrive Revelli, di un’agonia penosa sotto lo sguardo distratto degli “altri”. Compiendo un balzo in avanti, nell’epoca della fine del lavoro, dell’esaurimento dei distretti, dell’implosione della Terza Italia, della nuova normalità, cosa resta del mondo dei vinti? Frammenti identitari e sociali che sentono il fiato sul collo di cambiamenti repentini, territori dell’incertezza, disconnessi dalla produzione di valore, destinati all’esaurimento.
Le campagne e le montagne sono diventanti plug-in della grande metropoli post-fordista, amenities da consumare nel volgere di qualche giorno. Eppure, queste tensioni laceranti si sono date nel silenzio della politica e delle istituzioni che, come scrivono gli autori del Manifesto per Riabitare l’Italia, “hanno progressivamente rinunziato a leggere e promuovere il cambiamento, affidandosi piuttosto ai miti di una società non organizzabile, perché liquida, di una superiorità delle politiche avulse dai contesti, cieche ai luogo”. Ci troviamo dinnanzi al fallimento di policy estranee ai contesti, incapaci di cogliere la specificità delle istanze dei territori e di innescare processi di innovazione. Come ci ricorda Filippo Barbera, gli innovatori sociali, a dispetto della narrazione che li considera animali da ecosistema metropolitano del Nord Italia, vivono ed operano anche in centri medio piccoli, ciò che li caratterizza, quindi, è la capacità di abilitare ed agire reti che superano la dimensione prettamente locale che costruiscono comunità trans-regionali o trans-nazionali. Questi innovatori sono dei bricoleur comunitari, lavorano nell’intersezione tra tecnologia, identità, luoghi, asset naturali, proponendo nuovi servizi, esperienze di auto-organizzazione, nuove modalità di fruizione culturale, turismo esperienziale ecc. Si tratta di una geografia puntiforme che idealmente tiene insieme le cooperative di comunità, sulle quali Aiccon ha recentemente avviato una survey, i centri culturali, molti dei quali intercettati negli anni da Culturability, dal programma Attiv-aree di Fondazione Cariplo, dal bando volontariato di Fondazione Con il Sud, dal prezioso lavoro del gruppo di ricerca Riabitare l’Italia e da tante altre iniziative che coinvolgono gli innovatori delle aree interne. Per quanto concerne Ashoka ed il suo approccio sistemico, il tema delle aree interne diviene, quasi naturalmente, un tema centrale, per diverse ragioni. In primo luogo, perché siamo in grado di attingere allo straordinario repository di soluzioni innovative, frutto di 40 anni di lavoro, che possono essere messe a disposizione degli ecosistemi locali per animare le comunità dell’innovazione e generare connessioni con coloro che hanno già affrontato il medesimo problema in un territorio con caratteristiche simili. In secondo luogo, perché Ashoka interviene nei territori senza una visione specifica di cambiamento, ma lavora affinché gli attori locali possano convergere su una prospettiva condivisa di trasformazione, basata sugli asset e sulle competenze del territorio. Infine, lavoriamo per costruire coalizioni per il cambiamento che siano in grado di garantire coinvolgimento e scalabilità dell’intervento.
Nell’ambito di questo approccio, è nato il nostro programma “Sentieri Connessi” e di recente “SlowHack”, per tentare di uscire da una certa narrazione di comodo che ha trasferito la strumentazione dei percorsi di start-up ai processi di cambiamento sociale. Questi ultimi non possono essere standardizzati e codificati in fasi conseguenti, piuttosto necessitano di tempo, di un lavoro paziente ed incessante di tessitura di relazioni, di disponibilità all’ascolto, non esiste – aggiungo per fortuna – un foglio di calcolo che ci consenta di definire il business plan per questo tipo di iniziative. A fine agosto, vorremmo dare appuntamento a tutti coloro che stanno ricercando-lavorando nelle aree interne per riflettere insieme su come supportare questi sforzi. La “nuova normalità” ci obbliga a de-centrare certezze, superare dicotomie, provando a pensare alle aree interne non come i luoghi dei vinti, ma come spazi per il futuro.
direttore di Ashoka Italia
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