Nonviolenza

Gli europei entrino a Kiev in sandali

Se milioni di europei, invece di prepararsi gli stivali da guerra, calzassero i sandali e si mettessero in cammino verso la terra sacra di una nazione violentata cosa accadrebbe? Sarebbe la prima volta (nel nostro Continente) di una azione di nonviolenza di massa contro un aggressore. Un gesto rivoluzionario e pieno di speranza

di Angelo Moretti

Nel documento approvato dai movimenti popolari per la pace a Verona, c’è un passaggio (punto 12) molto chiaro sull’attesa che si ha rispetto all’istituzione dei Corpi Civili di Pace ed alla difesa nonviolenta. Questa idea semplice di una alternativa al conflitto armato non è affatto semplicistica e si fa strada nell’opinione pubblica europea dal 1995.  In particolare fu lanciata incessantemente, quasi come una preghiera, da Alex Langer, che supplicava le grandi potenze perché intervenissero a fermare gli eccidi in Bosnia Erzegovina a cui aveva assistito con i suoi occhi. Oggi l’avanzata concreta, e non meramente idealistica, di milioni di civili a difesa dell’Ucraina fa i conti con uno scenario globale  di gran lunga peggiore a quello che conseguì alla caduta del muro di Berlino. Non siamo più nella fine della guerra fredda e si ragiona apertamente di guerra calda tra potenze nucleari.

È di pochi giorni fa la riflessione del presidente francese Macron sulla eventuale necessità di inviare truppe europee sul suolo ucraino per fermare l’invasione russa. Una ipotesi che non andrebbe letta come una boutade provocatoria, ma come una ragionevole conseguenza della attuale posizione europea. Quaranta milioni di persone sono oggetto di una violenza indicibile da più di 800 giorni e, mentre l’aggressore continua imperterrito a produrre armamenti, a reclutare militari e mercenari spingendosi fino in Nepal ed in Africa per la sua “campagna acquisti”, la coalizione occidentale in sostegno all’Ucraina è sottoposta alla ragionevole lentezza delle regole democratiche (ascolto dell’opinione pubblica, dibattitti parlamentari e finanziamenti militari solo se autorizzati dagli organismi competenti). Si vive così l’apparente paradosso: la difesa militare dell’Ucraina è “vittima” dei meccanismi di quello stesso sogno democratico per cui gli ucraini stanno morendo a migliaia. Da un lato c’è un’organizzazione statale autoritaria che non deve fare trattative con un dissenso interno, dall’altro c’è un coacervo di voci plurali, in campagna elettorale da Washington a Bruxelles. Di fronte alle dichiarate difficoltà dell’esercito di Kiev, la “giustizia” formale, e cioè la riconsegna dei territori illegittimamente occupati, pare essere saltata come opzione finale. E dunque, cosa dovremmo fare per evitare che vinca la legge del più forte? Macron ha rotto il silenzio, è uscito dall’angolo, ed ha rilanciato il protagonismo europeo mentre, contemporaneamente, oltreoceano, il candidato repubblicano annuncia il disimpegno americano nel suo programma elettorale. Se per Trump gli Usa dovrebbero disinteressarsi al destino degli ucraini, e degli europei, per il leader francese la solidarietà dovrebbe essere spinta fino alla condivisione fisica del campo di battaglia. La nazione che ha forgiato il mondo libero con il motto “libertè, egalitè, fraternitè” si dichiara disponibile all’ipotesi di indossare gli scarponi. La terza via tra Trump e Macron appare altresì una scelta ipocrita: aiutiamo militarmente gli ucraini, ma non troppo, con inevitabile lentezza; chiediamo alla nazione aggredita di difendersi “con le mani legate dietro la schiena”, non potendo distruggere le stazioni missilistiche nemiche che sono stanziate dentro il confine territoriale dell’aggressore.


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I “moderati” di Europa si dispongono più o meno unanimemente lungo questa terza via a cui aggiungono una richiesta incessante di negoziati e cessate il fuoco che, però, ha il sapore di una formula auto-rassicurante più che di un programma di sostanza. L’ascesa delle dittature novecentesche ci hanno insegnato che i regimi autoritari non si fermano con la forza della ragione, mentre un posizione sembra un incubo in un mondo che ha abbandonato la comfort zone della deterrenza.

Esiste anche una quarta via, mai praticata in Europa, ma altrove sì e con successo: una nonviolenza di massa europea contro un aggressore. In Europa si è tutti pronipoti della Rivoluzione Francese e si è nipoti della liberazione dal nazifascismo. Il nostro continente politico ha compiuto i suoi progressi più importanti con la forza e l’astuzia di chi ha ribaltato i troni dei potenti con la ghigliottina,  le imboscate partigiane e gli eserciti atlantici, non certo con la moral suasion e non solo con le idee. Dopo i trattati di Roma, l’Unione Europea è divenuta, nel corso della pace garantita dalla guerra fredda, un continente capace di far progredire la sua pacificazione interna, di essere baluardo del welfare e dei diritti civili, senza avvertire il bisogno di una difesa comune militare. Ma quale è il dovere dei popoli europei di fronte alla forza espansionista di un nuovo aggressore? Per scrivere pagine nuove non basterà agitare la parola “pace” e delegarne l’attuazione ai governi di turno, affidandoci a ciò che Amartya Sen chiama “trascendentismo istituzionale”. 

Per la quarta via ci toccherà agire in prima persona, come fecero i partigiani, come fecero i contadini contro il clero e gli aristocratici, come hanno fatto i nonviolenti costretti ad agire per difendersi da un pericolo reale, da una violenza brutale. 

Cosa accadrebbe sul terreno di guerra di Karkhiv se un milione di europei disarmati si riversassero sul campo? Probabilmente non fermeranno il nemico, ma affermeranno un valore supremo sulla menzogna della forza: gli ucraini hanno ragione, hanno quella ragione profonda che la forza della violenza non conosce e non può mai raggiungere. Gli ucraini potrebbero anche decidere di ritirarsi da una resistenza militare attiva, perché non più conveniente continuarla, ma non avrebbero comunque perso, ed avranno forgiato una classe politica migliore, come accaduto a quella generazione di partigiani che ha scritto la costituzione italiana. Se milioni di europei, invece di prepararsi gli stivali, calzassero i sandali e si mettessero in cammino verso la terra sacra di una nazione violentata, cosa accadrebbe?
Il Mean, il Movimento Europeo di Azione Nonviolenta, si è dato appuntamento l’11 luglio, memoria di San Benedetto, patrono di Europa, in piazza Santa Sophia a Kiev con gli ucraini. Quanti saremo a praticare una quarta via?

Abbiamo dedicato il numero di VITA magazine “L’Europa da rifare” ai più rilevanti temi sociali da approfondire in vista delle elezioni europee del prossimo giugno. Uno dei capitoli è dedicato ai più giovani, con le sei sfide perché “Next Gen” non sia solo uno slogan. Se sei abbonata o abbonato a VITA puoi leggerlo subito da qui. E grazie per il supporto che ci dai. Se vuoi leggere il magazine, ricevere i prossimi numeri e accedere a contenuti e funzionalità dedicate, abbonati qui.

Foto: Pexels

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