Welfare
Gli effetti dello smart working sull’economia delle città
Le stime Ismea dicono che a fine anno il canale Ho.Re.Ca potrebbe arrivare a perdere fino al 40% del proprio fatturato. Una vera e propria contrazione di mercato destinata a incidere pesantemente nel futuro di molte metropoli
di Redazione
Il lavoro in ciabatte, sul terrazzo o in salotto. L’epidemia di coronavirus ha cambiato certezze e consuetudini che sembravano granitiche nel mondo del lavoro e ha reso l’eccezione dello smart working una regola comune a tanti, forse a tutti. Lo dimostrano le parole del sindaco di Milano Giuseppe Sala che dice: «Quando vedo chiuse le torri che ospitavano fino a 3mila dipendenti, come sindaco mi preoccupo. I consumi sono in discesa e sarà così per un periodo abbastanza lungo. Così rischia di rimetterci Milano».
Un campanello d’allarme non isolato. La stessa preoccupazione si riscontra anche a Londra, dove il sindaco Sadiq Khan ha definito il futuro «preoccupante, se tutte le aziende opereranno in smart working. A rimetterci rischiano di essere tante piccole imprese che si sostengono con il viavai di lavoratori, come bar, tintorie e calzolai».
Un problema presente anche negli Stati Uniti dove si stima la perdita dell’”economia da ufficio” in miliardi di dollari. Grandi catene e piccoli negozi sono state già costrette ad affrontare un necessario e doloroso cambiamento delle loro aspettative, visto che quasi 100 milioni di lavoratori in smart working hanno bloccato un’economia fatta di acquisti prima e dopo l’orario di ufficio. Un’inevitabile fase di ridimensionamento rischia di riguardare tanto il settore dei viaggi, una voce di spesa importante per ogni azienda in passato, quanto quello degli affitti, che dovranno affrontare una fase di inevitabile calo a causa dello svuotamento delle città.
In questo modo si ribalta la stima che nel 2012 il professor Enrico Moretti dell’Università di Berkeley aveva riportato nel libro “La nuova geografia del lavoro”, quando prevedeva che un posto di lavoro qualificato in più si creavano fino a 5 posti di lavoro non qualificati. Oggi il barista, il cameriere, l’addetto alle pulizie, rischiano di perdere il proprio posto di lavoro a causa dell’assenza in ufficio di un ingegnere o di un programmatore, che invece continueranno il loro lavoro da casa.
Si ribalta “la geografia del lavoro” di Enrico Moretti: il barista e il cameriere rischiano di perdere il proprio posto di lavoro a causa dell’assenza in ufficio di un ingegnere o di un programmatore
La situazione in Italia non è molto diversa da quella del resto d’Europa. Da tempo molte imprese hanno annunciato che lo smart working sarà un elemento stabile del loro futuro. L’annuncio dell’amministratore delegato di Eni Claudio Granata lo conferma: «Anche dopo la scoperta del vaccino anti-Covid, il 35% dei dipendenti lavorerà in maniera fissa da casa».
Sulla scia del cane a sei zampe si muoveranno anche grandi colossi come Leonardo, Fujitsu e Unicredit, che hanno già annunciato la prosecuzione del lavoro da remoto. Secondo Cesare Avenia, presidente di Confindustria digitale, «a regime il 60% dei posti di lavoro sarà gestito solo da remoto e a guadagnarci saranno la produttività del settore e il benessere dei lavoratori»…
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