Non profit

Gli auguri di VITA

«C’è un lavoro comune e un impiego per tutti», dice Eliot. Un invito da raccogliere

di Riccardo Bonacina

«In luoghi abbandonati / Noi costruiremo con mattoni nuovi / Vi sono mani e macchine / E argilla per nuovi mattoni / E calce per nuova calcina / Dove i mattoni sono caduti / Costruiremo con pietra nuova / Dove le travi sono marcite / Costruiremo con nuovo legname / Dove parole non sono pronunciate / Costruiremo con nuovo linguaggio /     C’è un lavoro comune / E un impiego per ciascuno»
(T. S. Eliot, Cori da La Rocca).

La qualità della convivenza civile riflette la qualità delle relazioni che ne formano lo spessore. E la qualità delle relazioni è anche il fondamento dell’imprescindibile ruolo del capitale umano e sociale in uno Stato e nelle imprese. Le qualità di Stato e mercato dipendono, infatti, dalla qualità delle relazioni che li costituiscono. Stato, mercato, imprese sono istituzioni che emergono dal farsi concreto della società: nessuno può chiamarsi fuori da questo compito se non chiamandosi fuori dalla storia. Ecco la grande sfida per il 2009, ricostruire un legame sociale laddove è lacerato, un capitale sociale laddove è depauperato, relazioni di fiducia senza le quali non si danno istituzioni “buone”. Una sfida per noi che raccontiamo la società civile e una sfida per i nostri lettori che in tale tessuto esercitano delle leadership. Occorre rimettersi al lavoro con più energia, intelligenza e passione di quelle che sino ad oggi pur abbiamo messo. «C’è un lavoro comune e un impiego per tutti», dice Eliot. Non possiamo, come cronisti, non vedere le gravi conseguenze umane e morali della crisi: molte persone stanno perdendo, insieme al lavoro, speranza e sicurezza. Perciò, pensiamo sia importante oggi, nella crisi che attraversiamo, ricordare che “Stato” e “mercato” sono alla fine l’espressione dello spessore della società, della sua tradizione e della qualità presente delle relazioni sociali. Non ci tiriamo fuori, vogliamo metterci, dentro – se così possiamo dire – con ancor più passione, con rinnovato entuasiamo.
La crisi finanziaria segnala, in modo vistoso, l’esistenza di una certa involuzione antropologica ed etica: un appiattimento dell’orizzonte dell’umana convivenza sul presente a scapito del futuro (futuro che abbiamo già depredato, in termini ambientali e finanziari, a discapito dei più giovani e dei più poveri), dell’effimero sul durevole, dell’anonimo sul personalizzato, dell’individualistico sul comunitario. Sono questi gli ambiti che dovrebbero diventare oggetto di riflessione da parte di quanti sono personalmente impegnati a costruire un mondo più umano e un po’ più giusto. Bisogna rimmetrsi all’opera per riguadagnare fiducia e futuro. La storia del nostro Paese ci insegna come ogni possibilità di costruzione imprenditoriale, finanziaria e sociale non può prescindere da quella preziosa dote che sintetizziamo nella formula “capitale umano”. Generare capitale umano attraverso l’impegno educativo e un di più di responsabilità e solidarietà è la più grande opera pubblica che possiamo fare. Occorre un di più di società per avere sia un “mercato” più aperto e partecipato, sia uno “Stato” degno della sua funzione di servizio al bene della comune convivenza. Solo così la crisi potrà trasformarsi in un’occasione per un soprassalto virtuoso di ciascuno accompagnato da una maggior passione per una comune edificazione della vita buona e del buon governo. È questa la vera e grande questione morale. Al lavoro quindi, comunque la pensiate. Non diciamo i tempi sono cattivi, viviamo bene e cambieremo i tempi.


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