Riuscire a sapere ciò che serve, raccoglierlo e farlo arrivare a chi ne ha bisogno: è questo il compito delle organizzazioni che inviano aiuti ai civili siriani martoriati dalla guerra. A livello internazionale ne esistono moltissime. Abdullah Al Atrash, trentatreenne italo-siriano residente a Dubai, è tra gli organizzatori del Coordinamento dei siriani all’estero (Sec – Syrian Expatriates Coordinating), una rete fondata sei mesi fa, finalizzata all’invio di medicinali, all’individuazione di alloggi per i profughi e al sostegno finanziario alle famiglie in difficoltà. Hanno una pagina Facebook e un canale su YouTube. Raccolgono donazioni e cercano chi può fornire farmaci e apparecchiature mediche. La parte più difficile è quella dell’invio di materiale medico. Devono passare clandestinamente il confine attraverso Turchia, Giordania o Libano. Il Coordinamento ha un canale in Giordania, da dove le azioni vengono coordinate da Abu Adnan, nome in codice. Adnan gestisce una rete di ragazzi di Homs, Hama, Salamya, Idlib, Al Tall e Iabrud che esegue le consegne nelle zone bombardate. Dà un appuntamento e una parola d’ordine a due di loro che si incontrano e si scambiano i medicinali. La loro identità è tutelata.
«Nascondiamo dei quantitativi di materiale in container misti a vestiti, generi alimentari, eccetera», racconta Al Atrash. «Poi corrompiamo le guardie di frontiera. La parte più pericolosa è dentro la Siria. Meno di due settimane fa due ragazzi sono stati uccisi da una pattuglia di miliziani. Erano le tre di notte e in motorino stavano portando dei medicinali ad Homs. Una settimana dopo l’esercito l’ha comunicato alle famiglie, attribuendo l’omicidio a un gruppo armato terrorista». I medicinali non finiscono negli ospedali: «La maggior parte non è sicura perché medici e infermieri, su ordine delle forze governative, torturano i feriti per farli parlare e spaventare gli altri civili». Così si spiegherebbe il motivo del pullulare, a centinaia, di ospedali clandestini. «Nei garage, nei sotterraei, dentro alle case private, medici volontari organizzano luoghi di soccorso con il materiale che noi e altre organizzazioni inviamo. Durano finché il governo, tramite suoi informatori, non li scopre. Allora li distrugge».
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