Non profit

Gli amici di Communitas hanno fatto una scommessa

Dall'esperienza della rivista nasce una nuova associazione

di Sara De Carli

Via «città infinita», «geocomunità», «sapere sociale carsico». Matita rossa. «Non è che per essere nostri interlocutori è obbligatorio aver fatto le serali da Bonomi…», lamenta la classe in coro. Bonomi fa un cenno del capo e abbozza un sorriso sornione. Riccardo Bonacina, incaricato di abbozzare il manifesto programmatico, e di leggerlo all?assemblea, è paziente. Un delete sulla tastiera e via. L?assemblea, è quella dei soci fondatori dell?Associazione Communitas onlus. Si è costituita a Milano lunedì 30 ottobre, a poco più di un anno dalla nascita del mensile da cui prende il nome. Alcuni amici c?erano già un anno fa, altri si sono aggiunti per strada. La composizione fa notizia di per sé: per la prima volta, i ledaer del terzo settore e di soggetti sociali ed economici si riuniscono sotto un solo cappello. Bcc, Coldiretti, Confartigianato, Cgm, Federsolidarietà (manca la presidente Vilma Mazzocco per un?influenza: ma c?è il direttore, Valerio Luteroti). Più i cani sciolti, intellettuali e giornalisti come: Bonomi, Borgomeo, Magatti, Mauri, Patriarca, Revelli, Frangi, Carrara, Bonacina, Ambrosio. Mai visto nulla del genere. Tutti qui precisi e puntuali (ed è una nascita preparata da altre riunioni estive) a cercare uno spazio comune, a «cercare il prossimo nella diaspora delle appartenenze, sapendo che il prossimo è chi ti è più lontano, ciò che è altro da te». Ladies and gentlemen, eccoli qua. L?esercizio di dialogo fra diversi comincia da qua dentro. Eppur ci sono. E il cappello comune finisce in testa a Savino Pezzotta, il presidente. L?assemblea costitutiva deve approvare lo statuto e il manifesto dell?associazione. L?impianto generale è ampiamente condiviso: voglia di comunità (artt. 1 e 3 del manifesto), l?impegno per un ripensamento della questione antropologica (art. 2), la modernità come dover essere, contemporaneamente, globali e locali (art. 2) e il nuovo legame tra comunità e territorio (art. 3), la comunità come unità tra diversi conquistata nella libertà (art. 3), il ripensamento e il rafforzamento dei corpi sociali intermedi (artt. 4 e 5), la volontà di progettare e costruire un nuovo welfare di comunità (art. 4), l?impegno a definire uno spazio nuovo, lo spazio pubblico dei beni comuni, popolato di nuove forme di comunità (art. 7). Gli articoli 5 e 6 chiariscono che «il far diaspora in politica non è terzismo rispetto ai due poli del mercato politico, ma sentire l?esigenza di darsi nuove forme di spazio pubblico». O meglio: «?Più Repubblica, meno Stato?: è questo lo slogan che definisce l?orizzonte politico del nostro impegno», dove il più Repubblica significa «chiedere che si riparta da quello spazio pubblico deliberativo disegnato dalla nostra Costituzione». Per farlo, questo spazio pubblico dei beni comuni, la neonata associazione già pensa a degli start up sparsi sul territorio: dei circoli dell?Associazione Communitas. Si comincerà da Aosta, Bergamo e Brescia. Ma Carlo Borgomeo sta già lavorando per aprire un circolo a Napoli. Intanto, la discussione sul manifesto è tutt?altro che accademica. Come dimostra Franco Pasquali, direttore di Coldiretti, che incalza tutti sull?articolo 5: l?idea di rafforzare i corpi intermedi gli sembra poca cosa: c?è bisogno di rinnovare, perché – e lo vuole scrivere – i corpi intermedi oggi sono messi in discussione nella loro autonomia e dignità non solo dalla politica, ma anche dalla loro autoreferenzialità. L?ultima mossa è di Marco Revelli: «La forza del manifesto è nel suo linguaggio inconsueto. Non appiattiamolo». «L?Associazione Communitas è un?associazione che accetta la sfida della speranza e della diaspora». Approvato all?unanimità. Il manifesto dell’Associazione su: http://web.vita.it/communitas/


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