Non profit

Gli aiuti: il Libano da rifare

Migliaia di case distrutte, emergenza idrica e igenica, e l’opera di sminamento. Ong già in prima linea: «Ma abbiamo bisogno di un supporto istituzionale»

di Carlotta Jesi

Non si spara più in Libano ma le armi restano il principale pericolo per l?oltre un milione di sfollati che dopo il cessate il fuoco del 14 agosto stanno tornando verso le loro case. Un?emergenza umanitaria che l?ong inglese Mine Action Group quantifica così: «Nelle fasi finali del conflitto, sul suolo libanese sono state lanciate anche 4mila bombe al giorno, di cui più del 10% inesplose. Nel Sud del Paese oggi ci sono più mine e bombe a grappolo che in tutto l?Iraq dopo la guerra del 2003». A rischio, secondo l?Unicef, sarebbero soprattutto i bambini che rappresentano il 45% della popolazione sfollata e a cui è oggi diretta una parte della solidarietà italiana. A cominciare da quella di Intersos, spiega Lucio Melandri, che ha appena inaugurato due centri di protezione per l?infanzia a Tiro e Nabatiye: «Serviranno come spazi di accoglienza e di gioco per i minori rimasti senza una casa e saranno il principale luogo di sensibilizzazione contro il pericolo di mine e cluster bomb».

La stima dei danni
La necessità di supporto all?infanzia è confermata anche dal presidente della Croce Rossa libanese Sami Al Dahda, che sta operando sul territorio con 5mila volontari: «Ai nostri bambini è stata distrutta la quotidianità, stimare i danni psicologici di un conflitto è una delle operazioni umanitarie più difficili da fare».

Una stima dei danni materiali, invece, già esiste. Secondo il governo libanese, serviranno due anni e 3,5 miliardi di dollari per riparare le oltre 30mila case distrutte e le infrastrutture del Paese. A cominciare dai ponti. «In un mese di guerra, sono stati distrutti 110 dei 370 ponti esistenti», spiega Arturo Parolini di Ricerca e Cooperazione, la prima delle 11 sigle dell?Associazione delle ong italiane impegnate nel Paese ad aver deciso di rimandare sul campo i cooperanti evacuati all?inizio del conflitto. «Le nostre priorità saranno case, latrine e strutture per la fornitura dell?acqua».

Proprio l?acqua potabile, e l?energia elettrica necessaria per azionare le pompe che la forniscono, sono tra le necessità prioritarie evidenziate dall?Ufficio per il coordinamento umanitario delle Nazioni Unite (Ocha). «Nella zona di Tiro», riassume Stephanie Bunker dal quartier generale di New York, «47 villaggi su 70 non hanno rifornimento d?acqua, e anche a Sidone la mancanza di energia e la distruzione di acquedotti limitano l?accesso all?acqua potabile, necessaria ad almeno 200mila persone».

Se la tregua voluta dall?Onu ha eliminato gran parte degli ostacoli logistici per i convogli umanitari con generi di prima necessità – nella settimana successiva al 14 agosto solo il Programma Alimentare Mondiale (Pam) ha distribuito 1.050 tonnellate di cibo contro le 1.450 delle tre settimane precedenti – ora la parola d?ordine è ricostruzione.

Delle infrastrutture ma anche del sistema di assistenza sanitaria danneggiato durante il conflitto. Oltre all?Organizzazione mondiale della sanità, che ha lanciato un monitoraggio dei danni subiti da 800 strutture sanitarie, sull?emergenza salute sta lavorando in loco anche il chirurgo Stefano Vajtho, presidente di Medici senza frontiere, e altri 37 operatori internazionali della sua organizzazione impegnati a fornire assistenza agli sfollati che rientrano a Beirut. Ma anche la Croce Rossa italiana s?è mossa per sostenere il lavoro della Croce libanese: «Con le navi San Marco e San Giorgio, oltre a medicinali, abbiamo inviato in Libano due ambulanze e un ospedale da campo», racconta il presidente Massimo Barra, svelando che, se verrà inviato un contingente italiano in Libano, proprio alla sua organizzazione potrebbe esserne affidata l?assistenza sanitaria.

I soldi di Hezbollah
Dalle ambulanze alla benzina, altro genere divenuto prioritario a causa della distruzione di molti distributori. Dal 2 al 17 agosto, le Nazioni Unite hanno portato nel Paese 135mila tonnellate metriche di petrolio destinate al governo e al lavoro delle organizzazioni umanitarie, ma molte di più ne servono per lanciare la fase di ricostruzione che potrebbe subire ritardi per mancanza di fondi. Dei 105 milioni di dollari richiesti dal Palazzo di Vetro nel Flash Appeal for Lebanon, solo 88,9 sono stati promessi, il 54% della cifra richiesta. Una mancanza di liquidi, denunciano l?Onu e mole sigle della società civile presenti sul campo, di cui potrebbe approfittare Hezbollah: i suoi attivisti consegnano 12mila dollari a chiunque abbia perso la casa nel conflitto e in tutto il Paese partecipano attivamente alla ricostruzione. «Se le ong non avranno anche un supporto istituzionale, e non si attiverà la rappresentanza sociale, rischiamo di lasciare la ricostruzione solo nelle mani della componente politica», avverte Melandri.

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