Infanzia, anni Settanta, tv in bianco e nero, atmosfera di festa, di disputa medievale,lazzi e funambolici giochi di parole. Era il Dirodorlando, la trasmissione del pomeriggio televisivo per bambini, condotta sulla Rai da Ettore Andenna. Ero piccola, ma ricordo benissimo l’atmosfera, la passione per i giochi proposti e la magia degli acrostici . L’idea di comporre una frase usando le iniziali di una parola mi sembrava un esercizio divertente ed inconsueto. Come è normale per i ragazzini, cercavo le combinazioni più strampalate e buffe. La parola “maestra” poteva diventare infatti M angia Angurie E S paghetti T rainando R inoceronti A ddormentati. La mamma M anda A M onte M olte Azioni, mentre il papà P rende A rmadilli P er Addomesticarli.
Insomma fu un colpo di fulmine, intenso, ma fugace. La trasmissione durò poco e la scuola non mi spinse mai ad approfondire quella nuova e particolare attitudine. Un po’ mi aiutò mio padre, acquistando di tanto in tanto “La Settimana Enigmistica”. Da ragazzina mi ci immergevo, anche se con scarsi risultati sul piano delle soluzioni di giochi ed enigmi. ( ma quanto mi intrigava la rubrica “Forse non tutti sanno che…” rispondeva allo stesso genere di curiosità cui ora vanno incontro trasmissioni come Voyager). E’ poi venuto il liceo, l’università, la famiglia, i figli. A questo punto i miei cari acrostici si sono riaffacciati nel mio immaginario. Acquistai “Il manuale del giovane scrittore creativo” di Bianca Pitzorno, per mia figlia e tra le pagine ritrovai i miei amici di un tempo, che avevano mantenuto lo stesso spirito gioioso.
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