Non profit

Giving Pledge: parte la sfida di mr. miliardo

Super ricchi. Da Peggy Guggenheim a Warren Buffett

di Marco Dotti

Tutti hanno ricevuto qualcosa dai loro antenati. Tutti ne hanno ricavato dei benefici. E tutti sono impegnati come da giuramento a trasmettere questi benefici, se possibile in forma accresciuta, ai loro discendenti». Quando ? metà del XIX secolo ? pronunciò questa frase, il senatore Horace Mann aveva ben chiara una cosa: non si può prolungare l’esistenza terrena oltre la morte, nemmeno se si è ricchi e famosi. Non si può, ma qualcosa di noi le può sopravvivere in forma mite e, soprattutto, feconda. Sopravviveranno le opere, certo, ma soprattutto ciò che di quelle opere rimarrà in mano agli altri. Senza immediato profitto, ma pure senza ingenuità se si accetta l’idea che la trasmissione possa non seguire la linea diretta, almeno per certi beni che se nascosti non fruttano, ma se esposti possono nutrire un’intera comunità. La cultura di un paese, rimarcava Mann, si misura da questa “esposizione”.
Se vogliamo osservare il principio di Horace Mann nel suo farsi atto, all’inizio del XX secolo è agli àmbiti della cultura e dell’arte (oltre che dell’istruzione) che dobbiamo guardare, per vedere quanto e come il principio del lascito sia pubblicamente rilevante per “nutrire” una comunità. Chiunque abbia visitato il Metropolitan, sulla Upper East Side di New York, può facilmente comprendere come i principi di Mann abbiano fatto leva sul sistema americano, dove la maggior parte dei musei fin dalla loro nascita è composto da istituzioni private senza scopo di lucro che non esisterebbero senza i tanti lasciti che costituiscono e determinano la grande qualità delle loro esposizioni. La nuova moda americana delle collezioni, che proprio sul finire dell’Ottocento stava ridisegnando la mappa delle arti figurative, si trasformò nella necessità di vincolare quelle opere, da Degas a Seurat, da Doré a Monet, alla costituzione di un patrimonio comune, e sarebbe inconcepibile studiarla solo dalla parte dell’opera d’arte: senza donazioni, lasciti, legati e senza un’intelligenza che strutturasse in luoghi e spazi “ragionati” queste donazioni, non avremmo esposizione, spazio, pubblico. Non formerebbero quel tutto che, appunto, permette a un patrimonio di accrescersi, anche quando donato. Nella prima parte del XX secolo, i nomi di Salomon Peggy Guggenheim e Leo Castelli, Abby Rockefeller, Gertrude Stein o Louise e Walter Arensberg, nel ruolo di mecenati, collezionisti, filantropi e lungimiranti legatari si sarebbero indissolubilmente legati alla nascita di movimenti, ai nomi di artisti come Pollock, Léger, Mondrian, Ernst, Duchamp, alla valorizzazione di opere rifiutate in Europa.
Ma era un altro mondo e le élites dirigenziali erano ancora composte da persone che erano solite risiedere spesso da parecchie generazioni in un dato luogo e, con quel luogo e la sua comunità, intrattenevano un rapporto privilegiato. La fine del XX secolo e questo primo scorcio di XXI hanno mostrato un’ulteriore evoluzione del principio di Horace Mann. Un’evoluzione ben rappresentata dal terzo e dal secondo uomo più ricchi del mondo, secondo la classifica stilata da Forbes: Warren Buffett e Bill Gates. Imprenditore “immateriale” Gates, investitore “classico” ma di straordinario successo Buffett, al di là dell’impegno personale hanno deciso di unire gli sforzi e mettere a sistema un’idea forte e comune. Secondo Gates e Buffett bisogna riattivare il circuito virtuoso dei lasciti, pertanto ogni grande imprenditore dovrebbe impegnarsi moralmente con una comunità e donare almeno la metà del proprio patrimonio alla stessa. Entrambi, Gates e Buffett, hanno lanciato la campagna “Giving pledge” che mira alla sensibilizzazione dei cosiddetti “super ricchi”. Ne dovrebbe nascere una forma di “filantropia 2.0” (il cosiddetto “philantrocapitalism”) che, rinverdendo il cuore del messaggio di Mann, ci faccia uscire dalla crisi guardando a ciò che nessuno sembra più in grado di scorgere: il futuro. Ma il senso del lascito è proprio questo, far passare un pezzo di noi nel domani, riattivando il patto ? perduto ? tra le generazioni.


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