Welfare
Giustizia riparativa: l’esperienza di Ristretti Orizzonti
Inauguriamo una serie di 4 approfondimenti sulle esperienze di giustizia riparative più avanzate in Italia. Un modello che la riforma del ministro della Giustizia Marta Cartabria promette di espandere e sviluppare così come ci chiede l'Europa. Il nostro viaggio parte da Padova e dalla redazione del sito di informazione curato dai detenuti
di Luca Cereda
Prima di iniziare un percorso per capire come funziona la giustizia riparativa è necessario spiegare in cosa consiste questo approccio. Si tratta di una pratica che considera il reato principalmente in termini di danno alle persone, prendendo in carico la lacerazione del reato nella vittima, nel reo e nella società civile. Questo approccio non vuole in alcun modo far sì che l’autore del reato rimedi alle conseguenze della sua condotta. Ma punta sul risanamento dello strappo creato dal reato, attraverso forme di incontro e di dialogo.
In Italia la giustizia riparativa è stata finora portata avanti in modo informale, solo da alcune realtà del Terzo Settore, associazioni e gruppi di cittadini, raramente supportati dalle amministrazioni penitenziarie. Ad oggi infatti il Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che fa capo al Ministero della Giustizia, il Ministero stesso, e il Forum Europeo per la Giustizia Riparativa – tutti interpellati da VITA – non dispongono di alcun tipo di censimento: né di quante realtà si occupino nel Paese di percorsi di giustizia riparativa, né di quante persone – detenuti, vittime di reato ed esponenti della società civile – siano coinvolte attivamente in queste pratiche. In questa serie di approfondimenti abbiamo scelto di raccontare alcune esperienze di giustizia riparativa: dentro e fuori dal carcere, tra detenuti di mafia e di terrorismo, e le loro vittime. Così come con le vittime di reati cosiddetti “ordinari.
La riforma Cartabia, cosa prevede sulla giustizia riparativa
Prima di raccontare pratiche reali e vissute di giustizia riparativa, è fondamentale capire la rivoluzione che la riforma della Ministra della giustizia Marta Cartabia potrebbe inaugurare, e con cui la giustizia riparativa possa diventare in Italia “sistematica”, e non più “solo” una risposta marginale a una direttiva europea (la “Direttiva 2012/29/UE”).
Se il capitolo della riforma che riguarda la giustizia riparativa passerà al Senato così com’è passata alla Camera (e quasi certamente sarà così) è previsto l’accesso ai programmi di giustizia riparativa ai detenuti in ogni fase del procedimento, su base volontaria, con il consenso libero e informato anche della vittima e della positiva valutazione del giudice sull’utilità del programma in ambito penale. Inoltre sarà possibile la ritrattabilità del consenso a questi percorsi in qualsiasi momento, ed è ribadito quanto espresso nella direttiva europea del 2012: la confidenzialità delle dichiarazioni rese nel corso delle pratiche di giustizia riparativa le rende inutilizzabile nel procedimento penale.
La giustizia riparativa per “spezzare la catena del male”
La giustizia riparativa non riguarda soltanto le dinamiche a rilevanza penale, ma i diversi conflitti che possono generarsi nella comunità, dalla famiglia, alla scuola, al lavoro. Questa forma di giustizia è infatti un orizzonte culturale che appoggia sui pilastri del rispetto, dell’equità, dell’inclusione e della partecipazione. È per questo il tipo di approccio che ha seguito nelle esperienze riparative l’Associazione di volontariato Granello di Senape di Padova, che cura nella Casa di Reclusione “Due Palazzi” il sito d’informazione Ristretti Orizzonti – la cui redazione è composta da alcuni detenuti coordinati da Ornella Favero (nella foto una riunione di redazione). Con i loro percorsi dentro e fuori dal carcere, hanno scelto di mettere al centro il “grande escluso” della giustizia penale: le vittime. Queste pratiche sono iniziate nel 2004 nel carcere di Padova, e sono state la base per approdare nel 2017 alla creazione di un Centro per la Mediazione Sociale e dei Conflitti del Comune di Padova. Un centro di giustizia riparativa gestito dall’associazione aperto sia dentro che fuori il carcere.
L’inizio della storia: le vittime prendono voce
Un giorno di quasi vent’anni fa, racconta la redazione di Ristretti Orizzonti, hanno ricevuto la seguente lettera firmata da Alberto V.: “Egregio signor ladro, permettimi di darti del tu, anche perché dopo quattro visite che tu hai fatto a casa mia sei quasi uno di famiglia. Vorrei proporti alcune riflessioni che ho fatto in merito alla tua attività. Senza dubbio alcune volte ti sarà andata bene, avrai guadagnato qualche cosa, ma poi lo avrai dilapidato in fretta. Forse oggi che ti devi sudare la libertà potrai capire meglio il valore delle cose. Tu mi dirai che sei stato sfortunato, che la vita ti ha portato su delle strade che ti hanno travolto, ma sai le scuse sono come le dita, tutti ne abbiamo almeno dieci. Ognuno di noi ha le sue ragioni per interpretare il ruolo di vittima, ma se tu potessi vedere gli effetti che questi “banali” furti in casa hanno sulle vittime sono sicuro non le prenderesti più. Non scaglierò mai né la prima né l’ultima pietra, poiché non sono senza peccato, e cercherò per quel che posso di reinserirti tra i fessi lavoratori, ma per favore cerca anche tu di essere un fesso autentico come me”. É leggendo questa lettera arrivata nel 2004, che è scaturita una riflessione tra i detenuti in redazione e la risposta di uno di loro, autodefinitosi un “ex ladrone fornito di coscienza”. Nasce il primo dialogo “a distanza” riparativo: un incontro tra due persone, un ladro e un derubato, che cercano di costruire un vocabolario comune con cui riconoscersi reciprocamente: un percorso riparativa tra la vittima di un reato, e un reo.
La riparazione tra vittime e rei trova terreno fertile là dove si forma la società civile: a scuola
Un aspetto che caratterizza i percorsi riparativi che Ristretti Orizzonti ha avviato, parte da una richiesta delle vittime, come testimonia la lettera di Alberto alla redazione. È proprio grazie a esperienze come quelle nate da quello spunto che le vittime possono avere una voce, essendo invece solo un “effetto collaterale” all’interno del processo penale che al centro mette il reo. Sono infatti le persone che hanno subito reati o le conseguenze di essi, ad aver sollecitato la redazione di Ristretti Orizzonti ad un confronto, a volte in modo meditato e ironico, come nel caso della lettera di Alberto V., altre volte in modo emotivo, ma sempre mettendosi in gioco in prima persona, con le proprie fragilità e anche la propria rabbia e il proprio dolore, davanti a persone sconosciute. Questo è accaduto anche quando Ristretti Orizzonti ha portato la giustizia riparativa là dove la società civile – il terzo elemento delle pratiche riparative – prende forma, in classe. Questo avviene con il progetto “Il carcere entra a scuola. Le scuole entrano in carcere”. Una studentessa durante un incontro – raccontano da Ristretti Orizzonti – ha preso la parola ha raccontato come sia cambiata la propria vita dopo aver subito un furto in casa. È successo tutto quando avevo circa dieci anni e fuori dalla mia camera c’erano due carabinieri, pronti a portarmi in ospedale per capire quale strana sostanza avevano usato per farci addormentare. A 18 anni e non resta ancora a casa da sola, e non dorme mai da sola e di notte. Non esce più nemmeno in giardino da allora, perché loro si sono nascosti nel suo giardino.
La giustizia riparativa può riparare la giustizia italiana?
Questo racconto reso istintivamente e inaspettatamente durante un incontro di giustizia riparativa con la redazione di Ristretti Orizzonti ha spiazzato i redattori, che erano lì per raccontare la propria condizione di vita in carcere e venivano invece richiamati alle proprie responsabilità da una ragazza che per età avrebbe potuto essere la figlia di molti di loro.
I percorsi di giustizia riparativa realizzati a Padova, e da tante associazioni in tutta Italia, operano con la spinta di una diversa visione della giustizia, ma al di fuori di un’ordinamento costituito. A questo la riforma Cartabia potrebbe porre fine, mettendo a “sistema” pratiche riparative come quelle che da anni portano avanti a Ristretti Orizzonti.
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.