Welfare
Giustizia riparativa, la vera svolta della Cartabia
Uno degli emendamenti al ddl di riforma del processo penale, voluto dalla ministra della Giustizia e approvato dal Consiglio dei Ministri, disciplina in modo organico il metodo della giustizia riparativa. Nel rispetto di una direttiva europea e nell’interesse sia della vittima che dell’autore del reato
di Luca Cereda
Ieri in tarda serata il Consiglio dei Ministri su forte impulso di Mario Draghi ha approvato una serie di emendamenti al disegno di legge (ddl) che delegherà al governo la riforma della giustizia, di cui si sta occupando la ministra Marta Cartabia, da quando a febbraio 2021 ha preso il posto di Alfonso Bonafede, trovando un difficile accordo su una delle riforme più importanti tra quelle che l’Italia deve “mettere in piedi”, e non solo in cantiere, per ottenere i finanziamenti europei del Recovery Fund.
Sono mesi che sono in corso discussioni e divergenze nella maggioranza, e l’accordo è stato raggiunto a fatica tra le proteste soprattutto del Movimento 5 Stelle: ora dovrà passare in Parlamento, ma ci si aspetta che possano saltare fuori nuove divisioni e scontri.
Se la maggior parte dei punti della riforma sono riferiti a elementi della giustizia italiana lenti o “difettosi”, uno costituisce una grossa novità: la giustizia riparativa diventa operativa, e non è più solo una direttiva europea.
La giustizia riparativa e il nuovo spazio per i programmi per la riconciliazione fra l’autore del crimine e chi l’ha subito
L’intervento su cui agisce la riforma è corposo: dal “reset” della durata delle indagini preliminari, al "contingentamento" della obbligatorietà dell’azione penale, al capitolo sanzioni e riti alternativi – per cui chi riporta una condanna entro i 4 anni di pena detentiva può chiedere una misura alternativa al carcere -, ma soprattutto per il ritorno "parziale" della prescrizione.
La vera novità risiede in uno degli emendamenti al ddl voluto dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia che disciplina in modo organico la giustizia riparativa, nel rispetto della direttiva europea (2012/29/UE) e nell’interesse sia della vittima che dell’autore del reato.
Se il ddl passerà alla camere così com’è – difficile, ma probabile su questo punto – si prevede l’accesso ai programmi di giustizia riparativa in ogni fase del procedimento, su base volontaria e con il consenso libero e informato della vittima e dell’autore e della positiva valutazione del giudice sull’utilità del programma in ambito penale. Trovare una definizione per la giustiziai riparativa è complesso, ma il suo obiettivo è restituire attenzione alle dimensioni umane e sociali che investono il crimine. Senza le quali la pena altro non è che una punizione. Per questo motivo le pratiche riparative non riguardano soltanto le dinamiche a rilevanza penale, ma i diversi conflitti che possono generarsi nella comunità.
Inoltre è prevista la ritrattabilità del consenso a questi percorsi in qualsiasi momento, ed è ribadita una nota espressa chiaramente nella direttiva europea, per cui la confidenzialità delle dichiarazioni rese nel corso del programma di giustizia riparativa le rende inutilizzabile nel procedimento penale.
La riparazione culturale e sociale
La riforma della giustizia propone, non solo l’uscita dai percorsi riparativi, ma anche l’accesso ai programmi di giustizia riparativa in ogni fase del procedimento (col consenso libero e informato della vittima e dell’autore e della positiva valutazione del giudice). Il disegno voluto dalla Ministra Cartabia include infine la formazione di mediatori esperti in programmi di giustizia riparativa, accreditati presso il Ministero della Giustizia.
La giustizia riparativa è importante ricordare non riguardi soltanto le dinamiche a rilevanza penale, ma i diversi conflitti che possono generarsi nella comunità, dalla famiglia, alla scuola, al lavoro. La giustizia riparativa è infatti un orizzonte culturale che appoggia sul rispetto, sull’equità, sull’inclusione e sulla partecipazione Lo sforzo è quello di indirizzare il dolore di chi subisce il reato, il reo stesso e la società tutta verso il bisogno che dal dolore nasca qualcosa. Qualcosa che non può essere l’odio. Perché i fatti di cronaca – come quelli del carcere di Santa Maria Capua Vetere, ma quelli non sono gli unici – rivelano che il carcere in Italia, e la cultura del “Buttiamo via la chiave”, consumano la vita dell’intera comunità. Senza restituire nulla. L’orizzonte ultimo e culturale dev’essere quello in cui ogni comunità diventi riparativa per se stessa.
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