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La giustizia minorile italiana non è buonista, ma con i ragazzi il carcere è l’ultimo strumento

«Con i minori la legge ci impone di indagare chi è la ragazza o il ragazzo che ha commesso il reato, qual è la sua storia personale, da quale contesto familiare e socio-culturale proviene», spiega Cristina Maggia, presidente del Tribunale dei Minorenni di Brescia commentando il decreto Caivano approvato ieri dal Consiglio dei ministri . «La nostra non è una giustizia buonista, ma ci preme recuperare il minore autore di reato. Il carcere è l’ultimo strumento da usare»

di Sabina Pignataro

Giorgia Meloni con don Maurizio Patriciello a Caivano

Il Consiglio dei ministri ha varato un decreto legge che contiene misure urgenti «di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile». Il testo del decreto è stato approvato dopo che, nelle scorse settimane, alcuni fatti di cronaca — e in particolare due stupri di gruppo, avvenuti a Caivano (Napoli) e a Palermo — hanno portato al centro dell’attenzione il tema dei reati commessi da minori. La misura, soprannominata «decreto Caivano», renderà più facile finire in carcere per i minori che si rendono responsabili di reati: si abbassa infatti da 9 a 6 anni la soglia della pena che consente di applicare la misura della custodia cautelare.

«La prima annotazione da fare, commenta Cristina Maggia, presidente Tribunale dei Minorenni di Brescia e dell’Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia – Aimmf,  è che i minorenni  autori di reato  non possono assolutamente essere trattati come gli adulti». Con i minori, spiega, «la legge ci impone di indagare chi è la ragazza o il ragazzo che ha commesso il reato, qual è la sua storia personale, da quale contesto socio-culturale proviene, se ha una famiglia disfunzionale e/o maltrattante o comunque non adatto a rispondere ai loro bisogni di crescita. Insomma, conta più il soggetto che il reato commesso». In base alle norme  Il pubblico ministero e il giudice sono tenuti ad  acquisire questi elementi  per disporre  le  adeguate  misure  penali  e  adottare   gli   eventuali provvedimenti civili.« Con gli adulti invece è esattamente il contrario : è addirittura vietato al giudice fare riferimento alle caratteristiche della persona imputata. Conta solo se vi sia la prova che  il reato sia stato commesso da quel soggetto o meno».

Con i minori la legge ci impone di indagare chi è la ragazza o il ragazzo che ha commesso il reato, qual è la sua storia personale, da quale contesto socio-culturale proviene, se ha una famiglia disfunzionale. Insomma, conta più il soggetto che il reato

– Cristina Maggia, presidente del Tribunale dei Minorenni di Brescia

Detto questo, specifica, «la giustizia italiana minorile non è una giustizia buonista. È una giustizia a cui interessa capire dove e perché si sia originata una situazione (che non vuol dire “scusare” o “giustificare”), per recuperare il ragazzo e scongiurare così il rischio che il reato si ripeta. E questo, chiarisce, «è perché per la società del futuro è più importante che si lavori sul minore, che si recuperi la sua capacità di vivere onestamente piuttosto che lasciarlo per un tempo prolungato in carcere dove di solito non è semplice maturare ed evolvere».

La giustizia italiana minorile non è una giustizia buonista. È una giustizia a cui interessa capire dove e perché si sia originata una situazione, che non vuol dire “scusare” o “giustificare”. L’obiettivo è recuperare il ragazzo e scongiurare così il rischio che il reato si ripeta

– Cristina Maggia

Ecco,  «nella giustizia minorile italiana il ricorso al carcere è destinato a  poche situazioni gravissime, in genere dopo il fallimento di altre strade, ma nessun minore viene lì dimenticato». Al contrario, «si lavora con il minore costruendo con lui un processo  di responsabilizzazione e maturazione».

Al governo Meloni  la presidente Maggia manda un messaggio: «È indispensabile essere rigorosi e garantire i mezzi adeguati perché l’ intervento giudiziario sia sollecito e tempestivo, senza però dimenticare che in assenza di  risorse per un lavoro di  prevenzione della povertà  sociale ed educativa  sui  territori, qualsiasi punizione è destinata a restare senza effetto».

In assenza di  risorse per un lavoro di  prevenzione della povertà  sociale ed educativa  sui  territori, qualsiasi punizione è destinata a restare senza effetto

– Cristina Maggia

380 i minori detenuti in carcere

In Italia in questo momento sono 380 i minori detenuti nei 17 Istituti Penali per i Minorenni – Ipm.  Di questi, 161 sono stranieri: oltre il 45% del totale. Sono detenuti  non perché più pericolosi ma perché «privi di un contesto sociale e famigliare a cui fare riferimento per costruire percorsi alternativi al carcere utili a modificare la propria traiettoria di vita», sottolinea la presidente.

Secondo Maggia, «nonostante l’allarmismo generale enfatizzato da molti media quantomeno disattenti, se guardiamo ai numeri in la realtà dei minori in conflitto con la legge non è affatto pessima come viene descritta». Rispetto al passato, da anziano giudice minorile ritengo che se la gioventù è più aggressiva, più violenta, che in passato, dobbiamo cercare le ragioni nel mondo degli adulti e nella loro assenza . Dobbiamo metterci tutti in discussione. I ragazzi  esprimono ciò che vedono in famiglia, a scuola, sui media , per strada , sui social, non sono che una delle espressioni di questa società, abitata da una marcata fragilità emotiva e da una forte intolleranza a qualsiasi frustrazione».

Nei 17 Ipm italiani il 45% dei detnuti sono stranieri: sono detenuti  non perché più pericolosi ma perché privi di un contesto sociale e famigliare a cui fare riferimento per costruire percorsi alternativi al carcere

– Cristina Maggia

Il fallimento è della società, non del giovane

Per la magistrata, «la commissione di un reato da parte di un ragazzino è l’espressione di un fallimento non del ragazzino, ma del mondo adulto e spesso è una richiesta di aiuto, di essere visto ».

A proposito della possibilità di modificare le norme del processo penale minorile, abbassando l’età imputabile da 14 a 12 anni Maggia quasi sorride: «L’idea di alcuni  non è nuova né originale − basti pensare al disegno di legge presentato dall’onorevole Biondi nel 2002 − e ciclicamente ritorna, propugnata da alcune forze politiche. Lo spunto ogni volta è dato da situazioni emergenziali numericamente contenute, legate a particolari territori. Ma per fortuna in questo decreto legge non se ne fa cenno.  Di fronte a certi gravi fatti di cronaca, la soluzione non è stimolare le emozioni più primitive della collettività, invece di  sollecitare una analisi complessiva non superficiale della situazione. Inoltre gli strumenti per intervenire con gli infraquattordicenni, anche con misure rigorose, già  esistono all’interno delle procedure che consentono al giudice interventi più adatti all’età dei soggetti e alle loro famiglie».

Abbassare l’età dell’imputabilità? Per fortuna non se ne fa cenno in questo decreto. Gli strumenti per intervenire con gli infraquattordicenni, anche con misure rigorose, già  esistono

– Cristina Maggia

L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza Carla Garlatti prima ancora che il Consiglio dei ministri si riunisse aveva scritto una nota al Presidente del Consiglio Giorgia Meloni sottolineando come «da un lato si deve prevenire la commissione dei reati, dall’altro vanno valorizzati, quali finalità principali del sistema, il recupero del minorenne e l’attenzione alla vittima».

Secondo Garlatti, «abbassare l’età imputabile non serve». Già oggi il minorenne che ha meno di 14 anni e commette reato può essere convocato davanti a un giudice. Inoltre, ove ne ricorrano le condizioni, può essere destinatario di interventi di sostegno che includano anche la sua famiglia. Nei casi più gravi anche il minore di 14 anni può essere destinatario di misure di sicurezza basate sulla sua pericolosità sociale. «Le misure di sicurezza possono essere eseguite nella forma del collocamento in comunità, della permanenza in casa o di prescrizioni specifiche da parte del magistrato, che ad esempio possono consistere anche nel divieto di frequentare alcuni luoghi. Tra l’altro, nei paesi nei quali l’età imputabile è più bassa non mi risulta che le cose vadano meglio».

La criminalità minorile è un problema, ma quello che bisogna fare per risolverlo è prevenirlo. «La pena deve avere uno scopo rieducativo, soprattutto nel caso di minori – ha dichiarato il Presidente nazionale delle Acli, Emiliano Manfredonia – abbassare l’età imputabile sposta la responsabilità di noi adulti sui ragazzi, magari nati in contesti in cui l’illegalità è molto diffusa. A 12, 13 anni sappiamo bene che tanto ancora si può fare per aiutare questi bambini e le loro famiglie. Gli autori di reati, specie se minorenni, devono essere aiutati a comprendere la gravità del fatto compiuto, per diminuire le recidive: in questo la giustizia riparativa è un valido strumento».

Gli altri punti del decreto

Il decreto sulla lotta alla violenza minorile licenziato dal governo introduce l’arresto in flagranza per spaccio di modica quantità di droga e porto d’armi, il daspo urbano per chi ha 14 anni, la custodia cautelare obbligatoria per reati con pene dai sei anni in su e il carcere per i genitori che non mandano a scuola i figli.

Foto in apertura: Caivano, Giorgia Meloni e padre Maurizio Patriciello.
Credit Governo.it

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