Non profit

Giustizia minorile: cattivi ragazzi, è sempre meglio riparare che punire.

Si fa strada il mediatore penale, che mette attorno a un tavolo i giovani che hanno sbagliato e le loro vittime. Un ruolo delicato che sembra ritagliato su misura per le coop.

di Sara De Carli

Il momento non è dei migliori, ma è proprio per questo che bisogna partire subito. Mentre da più parti si invoca l?imputabilità giuridica a 16 anni, invece che a 18, il Consorzio Gino Mattarelli lancia un progetto di mediazione penale in ambito minorile, che si concretizzerà nella primavera prossima con l?apertura di due uffici di mediazione, a Brescia e a Firenze.
«La mediazione penale in Italia stenta ancora a trovare la sua collocazione perché manca una tradizione di gestione dei conflitti al di fuori del sistema giudiziario, e il concetto di giustizia riparativa non è consolidato», spiega Simona Taraschi, responsabile del progetto sul distretto del Tribunale per i minorenni di Brescia. «In ambito minorile ci sono alcune esperienze di successo, ma mancano indicazioni normative e percorsi definiti per una formazione professionale specifica».

A volte basta una lettera
La mediazione è uno strumento di risoluzione dei conflitti profondamente diverso da quello giudiziario, fondato sul dialogo e la riparazione anziché sulla retribuzione (cioè ogni colpa ha la sua pena) e la repressione: un terzo neutrale, il mediatore, favorisce la comunicazione tra il colpevole e la vittima, offrendo a entrambi l?opportunità di parlare ed essere ascoltati in uno spazio protetto. Le parti coinvolte percorrono un cammino di riconoscimento reciproco e di comprensione, anche emozionale, del punto di vista dell?altro, e trovano insieme la forma che sancisce il superamento del conflitto: spesso un gesto simbolico, come una lettera di scuse, o attività socialmente utili. Perché l?importante non è il risultato in sé, ma il percorso di maturazione che si è fatto e il dialogo costruito. «La mediazione è un percorso parallelo a quello processuale, che non è né obbligatorio né alternativo: noi speriamo che presto si diffonda per tutti i minori, e che cominci immediatamente dopo la denuncia», spiega la Taraschi. «L?esito della mediazione può essere diverso da quello del processo, anche se nel momento in cui il giudice decida la sospensione del processo o la messa alla prova, il risultato raggiunto nella mediazione può essere un elemento aggiuntivo per la definizione della sentenza».

Due esperienze pilota
La mediazione penale ha un significato particolarmente importante per i minori, senza confondersi con il progetto educativo prescritto dal giudice: nel confronto diretto con la persona danneggiata, il minore realizza con più efficacia le conseguenze delle proprie azioni, ne comprende la gravità. «Questo ha effetti importanti sulla recidività, che tra i minori è molto elevata», continua la Taraschi. «È interessante soprattutto notare che la mediazione funziona anche in presenza di reati gravi». Finora la mediazione penale minorile è stata gestita da realtà istituzionali. Il progetto avviato da Cgm è il primo esperimento di collaborazione tra pubblico e privato sociale. Nel progetto su Brescia, Cgm lavora direttamente con la Provincia, il Tribunale e gli altri partner istituzionali, mentre quello su Firenze è seguito da un consorzio affiliato, Co&So. «La fase di start up è piuttosto onerosa», confessa Simona Taraschi. «I partner da coinvolgere sono molti, e i soggetti pubblici sono un po?spiazzati dalla nostra proposta di impegno economico. In generale però stiamo procedendo bene: sia le amministrazioni locali sia i giudici e gli avvocati sono molto sensibili al problema e contiamo che la disponibilità del non profit possa imprimere una forte spinta all?affermarsi della mediazione». Il contributo specifico che il privato sociale può dare è soprattutto quello della formazione: il progetto di Cgm partirà proprio da qui. «Negli incontri di sensibilizzazione stiamo raccogliendo la disponibilità delle persone. In primavera partiremo con un corso di formazione per 14 operatori. È importante che ci siano età e professionalità eterogenee: educatori, giuristi, assistenti sociali, agenti di sicurezza. E speriamo che queste due esperienze pilota facciano da volano per altri territori».

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