Welfare
Giustizia. Lo scontro tra i poli lambisce il Quirinale
I magistrati minacciano di scioperare se passa la riforma d'iniziativa governativa sulla giustizia. L'Ulivo si schiera a loro difesa, il Polo li attacca a testa bassa
La polemica sulla riforma della giustizia esce dal Parlamento e dilaga nelle aule dei tribunali, sfiorando perfino il Quirinale. E’ la novita’ di una giornata che ha fatto accendere i riflettori sulle conclusioni del congresso straordinario dell’Anm: conferma dello sciopero togato; no intransigente ai propositi del centrodestra; rinnovata fiducia al presidente dell’Associazione, Bruti Liberati, in aperta ”rotta di collisione” con il ministro Guardasigilli. Le decisioni dei magistrati hanno incontrato un fronte compatto di no nella Cdl, che respinge al mittente le accuse di incostituzionalita’ della riforma e passa al contrattacco: illegittima e’ anzi la promessa di astensione dal lavoro dei giudici perche’ rivolta contro un’autonoma decisione del Parlamento. Per Renato Schifani, capogruppo azzurro al Senato, le accuse della magistratura sono infondate perche’ la riforma non prevede alcuna subordinazione delle toghe al potere politico e lancia anzi l’obiettivo di ”renderle piu’ autonome dai condizionamenti di ogni genere”. Per An e’ sceso in campo il relatore al Senato Luigi Bobbio, che ha dato ragione al ministro Giovanardi: l’Anm non puo’ esercitare due poteri insieme, quello legislativo e quello giudiziario, tentando di sostituirsi al Parlamento. Gaetano Pecorella, presidente forzista della commissione Giustizia della Camera, accusa i magistrati di volere solo conservare alcuni privilegi e ritiene l’arma dello sciopero ”una minaccia eccessiva”. Anche per il presidente della commissione Giustizia del Senato, Antonino Caruso (An), e’ inaccettabile che i magistrati si rivoltino con uno sciopero contro il Parlamento. Per Isabella Bertolini (Fi), e’ colpa dei giudici non essersi prestati al confronto su una riforma moderna e certamento costituzionale. Mentre Carolina Lussana, responsabile giustizia della Lega, afferma che la riforma del centrodestra e’ equilibrata e non viola minimamente i principi dell’ordinamento. Unanime, o quasi, il coro del centrosinistra, che ha difeso la protesta dei giudici, mettendo sotto accusa governo e maggioranza per i contenuti del testo in discussione a Palazzo Madama. Voce fuori dal coro quella del capogruppo dei Ds alla Camera Luciano Violante che, pur condividendo tutte le critiche alla riforma, ha espresso riserve sullo strumento dello sciopero e ha invitato i magistrati a limitarsi a devolvere la retribuzione di una giornata di lavoro ad un fondo per migliorare il funzionamento della giustizia. Una critica che non e’ piaciuta ad alcuni dirigenti delle opposizioni. Nessuna polemica aperta, ma dal Senato Gavino Angius e’ subito intervenuto per chiarire che la battaglia e la protesta che vengono da tutta la magistratura sono legittime. I giudici italiani non avranno la verita’ in tasca, ma non sono pericolosi evasori. Dello stesso tono gli interventi di Massimo Brutti, Guido Calvi e di Anna Finocchiaro, responsabile Giustizia dei Ds, che ha descritto il ministro Castelli come un affossatore del sistema giustizia, piuttosto che un riformatore. Mentre per Nando Dalla Chiesa, senatore della Margherita, e’ il testo voluto dal Guardasigilli ad essere ”eversivo”, non il comportamento dei magistrati. La polemica, si diceva, sfiora anche il Quirinale, dopo le indiscrezioni pubblicate stamani da un quotidiano che attribuiscono al Colle l’intenzione di non firmare la riforma nel testo della Camera. La circostanza ha ulteriormente riscaldato gli animi, anche se i parlamentari della maggioranza hanno sottolineato che non e’ elegante il tentativo di coinvolgere il capo dello Stato nella polemica politica interpretandone il pensiero. Il governo si batte perche’ il Senato approvi l’identico testo gia’ licenziato dalla Camera. Perche’ tutto questo si realizzi, la maggioranza dovra’ risolvere qualche problema con l’Udc, che continua a mantenere in piedi alcuni emendamenti che non stravolgono i contenuti della riforma. Se approvate, le proposte di modifica causerebbero il ritorno della legge alla Camera. La riforma entrerebbe cosi’ in un rischioso tunnel. Non si tratta infatti di una legge ordinaria, ma di una delega al governo, che avrebbe un anno di tempo per emanare i decreti legislativi. Questi ultimi, per prassi, debbono tornare alle commissioni parlamentari prima di essere pubblicati in Gazzetta ufficiale. In caso di ulteriori ritardi, la fine della legislatura potrebbe percio’ troncare l’iter della riforma.
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