Welfare
Giustizia? La metà degli italiani è insoddisfatta
L’Istat fotografa il rapporto tra cittadini e giustizia civile: più insoddisfatti gli uomini, più frequenti nel Nord Est i contenziosi civili, molto poco conosciute le forme di risoluzione extragiudiziali
Gli italiani non amano la giustizia. Lo dice un recente report dell’Istat che ha fotografato il rapporto tra cittadini e giustizia civile. Secondo i dati dell’Istituto di via Balbo, nel 2015 circa 5 milioni 500 mila italiani, ovvero l’11% della popolazione, hanno dichiarato di essere stati coinvolti, come attore o convenuto, in una causa civile.
A finire nelle aule di giustizia sono sono più spesso gli uomini (12,9%) delle donne 9,3% e quasi sempre accade per contenziosi che riguardano la famiglia, il lavoro e gli incidenti stradali e contravvenzioni per violazione al codice della strada.
Le differenze di genere sono marcate soprattutto nelle cause che riguardano i rapporti familiari e nelle controversie per eredità e successione, mentre la prevalenza di genere si inverte nelle controversie per incidenti stradali e contravvenzioni per violazione al codice della strada, nelle cause con le banche o le assicurazioni, nei contrasti condominiali e di vicinato.
Il 52% di coloro che hanno avuto una esperienza diretta con la giustizia civile dichiara di essere poco o per niente soddisfatti. L'insoddisfazione è maggiore fra gli uomini (57% rispetto al 46,8% delle donne) e diventa "profonda insoddisfazione" (67,3%) da parte di chi aspetta da almeno cinque anni la pronuncia del giudice come pure da parte di chi ha sostenuto costi elevati assolutamente non previsti (70%).
Tempi lunghi, burocrazia e costi spesso inducono gli italiani a rinunciare. Negli ultimi tre anni, sempre secondo i dati dell’Istituto nazionale di statistica, ben 1 milione 555 mila persone hanno deciso di rinunciare ad avviare una causa civile per il timore di sostenere costi troppo elevati rispetto al vantaggio conseguibile (30,8%), per l'incertezza dei tempi di svolgimento (25,6%) o dell'esito favorevole (15,5%).
«Le percentuali decisamente preoccupanti – ha commentato Vincenzo Donvito, presidente nazionale dell'associazione per i diritti degli utenti e consumatori Aduc – sono quelle del 52% degli insoddisfatti e del 30,8% che rinuncia ad avviare un procedimento per il timore di sostenere costi troppo elevati rispetto al vantaggio conseguibile. Due percentuali che ci dicono che la giustizia non solo non funziona, ma che è anche pericolosa per il bene comune».
Colpisce che solo il 41,9% conosca l’arbitrato e il 43,9% il significato di mediazione civile a dimostrazione del fatto che molti non sanno che è possibile raggiungere un accordo che soddisfi entrambe le parti attraverso forme di risoluzione extragiudiziali. Nel corso della vita solo il 3,6% dei cittadini ha utilizzato questi strumenti.
Conoscere per capire come funziona la nostra giustizia. Conoscere i dati, soprattutto.
Dallo scorso luglio sul sito del Ministero della Giustizia è disponibile il Monitoraggio della giustizia civile, un report trimestrale dei procedimenti pendenti e dell’arretrato civile.
«È stato fondamentale – ha spiegato il ministro della Giustizia Andrea Orlando – mettere questa mole enorme di informazioni a disposizione degli uffici e dei cittadini per creare un proficuo confronto ed un miglioramento continuo».
I dati della giustizia possono aiutare i cittadini a leggere in modo nuovo i fenomeni sociali del Paese. È nato così Opendatagiustizia, un contest che premia la realizzazione di un prototipo di portale che racconti lo stato della giustizia, utilizzando in modo originale e creativo i dati e le informazioni disponibili sui siti ministeriali, istituzionali o su quelli che utilizzino a loro volta dati ufficiali. L’iniziativa, promossa dal centro studi per l’innovazione organizzativa CO.LAB in collaborazione con l’associazione Ondata, chiama a raccolta creativi, sviluppatori, storyteller, data scientist e designer che possono candidarsi entro il 30 settembre, per poi inviare le proposte entro il prossimo 31 ottobre. Il concorso potrebbe essere l’inizio di un percorso per sensibilizzare le istituzioni sull’uso e sulle opportunità degli open data.
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