Famiglia

Giussani l’abc della carità

Ha tolto polvere e clericalismo da questa grande parola. L’ha rimessa sulla bocca e al centro della vita di migliaia di giovani. Ha rivalutato la categoria dell’altro e del diverso.

di Giuseppe Frangi

Suo padre di nome faceva Beniamino. Di lavoro era intagliatore del legno, ma di fede era anarchico e socialista. Da lui don Luigi Giussani, il fondatore di Cl morto martedì 22 febbraio, aveva preso certamente una cosa: la passione per tutto ciò che è umano. Lo confessò lui stesso una volta: «Non l?umanità come termine di una definizione di sociologi o di filosofi, ma quella che mi hanno comunicato mio padre e mia madre». Forse è per questo che la parola carità nella storia di don Giussani si è caricata di un valore così reale e di un significato così moderno. Per don Giussani il mondo iniziava da tutto ciò che gli era prossimo, nel senso che gli era più vicino. Emblematici i tantissimi episodi che riguardano le sue elemosine. In Terrasanta una volta tenne fermo un intero pullman sinché non trovò il mendicante che qualche seguace troppo scrupoloso gli aveva tolto di torno. Un altro episodio lo raccontò lui stesso davanti a un?assemblea delle Famiglie per l?accoglienza: «L?altro giorno ho visto un extracomunitario che si è fermato di fronte a due ragazzi per chiedere qualcosa. Non avevano nulla, e quello è andato via. Ho chiesto a chi mi accompagnava di rincorrerlo: l?ha trovato e gli ha dato 10mila lire. Quanti bisogni nel mondo dovremmo rincorrere così!». L?altro, un?idea di ricchezza Correre dietro ai bisogni. Non ritenersi mai al riparo da ciò che un altro chiede. Per Giussani questo era un punto fermo. Ma l?idea di ?altro? per lui era un?idea di ricchezza. «Affermare l?altro è aumentare, crescere». Oppure, con ancor più determinazione: «Bisogna partire dall?altro, e questo significa far tacere se stessi, uscire da se stessi, guardare l?altro, aderire all?altro, cercare di capire l?altro e poi paragonare quello che si è capito con quello che c?è nel proprio cuore». E poi arrivava a questa conclusione: «In pratica la carità si sviluppa come attenzione alla persona dell?altro, come intento di adeguarsi alla sua situazione. Per prendere sopra le proprie spalle, insieme all?altro, le sue esigenze e necessità». Giussani non ha mai pensato che la parola carità fosse una parola fuori dal tempo o dalla cultura. Così non ebbe timori nel proporla sin da subito nelle abitudini e addirittura nel gergo dei suoi ragazzi. Ne forgiò anzi una versione quasi gergale: caritativa. Che era l?esercizio sistematico del dedicarsi al bisogno dell?altro. La sperimentò, come ricorda nella pagina a fianco, anche Giuliano Pisapia, negli anni 50 con le domeniche nella Bassa milanese. Un?esperienza che gli accendeva lo sguardo anche a decenni di distanza: «Ogni settimana, qualche centinaio di ragazzi si recavano da Milano in una zona della periferia, la Bassa appunto, dove le condizioni di vita di molte famiglie erano vicine all?indigenza e dove la vita sociale era ridottissima. Per un pomeriggio alla settimana quei giessini facevano compagnia ai ragazzini, facendoli giocare e organizzando, in accordo coi parroci locali, momenti di alfabetizzazione e di catechismo. Cercavano inoltre di dare un aiuto alle famiglie nelle loro necessità». Al cuore di tutto c?è sempre l?attenzione alla persona, partendo dalla scintilla di tenerezza che ogni sguardo gli accendeva quasi come per istinto. Per questo la forma più compiuta di carità, per lui era l?ospitalità. L?abbraccio del diverso Ne parlò una volta nel 1996 davanti a un gruppo di Famiglie per l?accoglienza, un?associazione nata dall?esperienza di Cl. Disse in quell?occasione: «La parola ospitalità o accoglienza riguarda la persona intera. A differenza di tutte le altre forme di carità, questa è la carità alla persona come tale, riguarda direttamente la persona come tale. L?accoglienza è del diverso. La dimensione profonda, per cui l?accoglienza rende simili a Dio che crea e redime, è la diversità, il non coincidente con quello che noi immagineremmo, ci piacerebbe, ci consolerebbe. L?accoglienza è l?abbraccio del diverso, e per questo vale per tutti i nostri rapporti».


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