Politica

Giuseppe Conte e quel rischio di rendere accessoria l’idea di comunità

Paolo Venturi, direttore di Aiccon, dopo le analisi di Mauro Magatti su Avvenire e Riccardo Bonacina su Vita.it ragiona su quello che definisce «l’oscuramento della “terzietà”», che appare nitida «da una prima lettura del “contratto” posto alla base dell’azione del nuovo esecutivo»

di Paolo Venturi

In attesa che il Governo inizi ad operare misurandosi con la complessità del reale, da una prima lettura del “contratto” posto alla base dell’azione del nuovo esecutivo, una cosa, appare nitida: l’oscuramento della “terzietà”. Non mi riferisco al fatto che non venga citato il “Terzo Settore” o qualsivoglia istituzione che nata dal basso, alla quale riconoscere un “valore e una funzione pubblica” (ossia d’interesse generale), no. Mi riferisco alla implicita ricetta alla base del contratto, secondo cui tutto deve essere ricondotto allo Stato (prevalentemente) o in alternativa all’efficienza salvifica del Mercato…o tutt’al più ad un mix di queste due istituzioni basilari. PUBBLICO: STATO = RICCHEZZA: MERCATO sembra essere questa l’equazione (che sinceramente pensavamo superata) su cui il contratto sembra reggersi. Certo, i cittadini ci sono, ma il loro contributo è quasi mai valorizzato dentro una dimensione di istituzione “intermedia” legittimamente riconosciuta.

Non credo ci siano ancora le condizioni per valutare il merito di questo contratto, ma penso sia riconoscibile una matrice culturale che tende ad anestetizzare quella parte del Titolo V della nostra Costituzionale, laddove si afferma esplicitamente che anche i singoli cittadini e i corpi intermedi della società hanno titolo per operare direttamente a favore dell’interesse generale e dunque devono essere posti nelle condizioni concrete di poterlo fare. E’ bene ricordare che la modernità si è retta su due pilastri: il principio di eguaglianza, garantito e legittimato dallo Stato; il principio di libertà, reso fattivamente possibile dal mercato. La post-modernità però ha fatto emergere l’esigenza di un terzo pilastro: il principio di reciprocità che è la cifra su cui si costruisce la qualità della nostra società e non solo del Terzo Settore. Se le persone che vivono nelle nostre città, periferie, quartieri e aree interne non riconoscono che esiste tra loro un legame, o una relazione sociale, né il contratto sociale (hobbesiano), né l’individualismo che si affida alla coscienza dei singoli, potranno mai costituire soluzioni soddisfacenti ai loro bisogni insoddisfatti. Se non si stimola e si premia la valorizzazione della partecipazione e la promozione di una visione di governance aperta (cosa ben diversa dal mero “governo”), diventa difficile generare quella che è la premessa dello sviluppo ossia la coesione sociale.

Salvaguardare la comunità come infrastruttura di sviluppo e democrazia

In altri termini il rischio insito in una visione “duale” STATO- MERCATO è quello di rendere residuale e finanche accessoria l’idea di COMUNITA’. Abbiamo certamente bisogno di “dilatare” il perimetro del pubblico e della partecipazione, ma non a discapito “del riconoscersi e del farsi comunità”. Oggi infatti lo sviluppo è in grado di rigenerarsi solo intorno a una rinnovata capacità di riconoscere la comunità come mezzo per prendersi cura di sé e come esito di economie che riconoscono la produzione come “fatto sociale”. Valorizzare l’apporto della comunità e non “ridurlo” non è una strategia rivendicativa nè tantomeno un atto teso a produrre movimenti di protesta, ma è a premessa per la creazione di “governance plurali”, di territori coesi, di economie sostenibili, di innovazioni inclusive … e di quel principio di sussidiarietà circolare che vede Società-Stato-Mercato conversare per il bene comune. D’altro canto, la democrazia non può consistere solo nei meccanismi della rappresentanza e della tutela degli interessi. La vita democratica non riguarda solo “le procedure” ma la definizione di uno spazio aperto di garanzie e di diritti affinchè ciò che non passa dalla politica non sia ridotto al rango di residuo ma possa essere valorizzato.

“..in altri termini la società non è l’oggetto della politica; è piuttosto il fine che la politica, col suo organo principale che è lo Stato, deve servire” (S. Zamagni)


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