Povertà

Giubileo, pronte quattro tensostrutture “sociali” per i senzatetto di Roma

Le prime due saranno inaugurate lunedì 23, le altre a gennaio. Radicchi (Europe Consulting onlus): «In tutto sono 250 posti per chi vive in condizioni di estrema fragilità e spesso rinuncia all'accoglienza tradizionale. Ma il 30% di chi accede a una tensostruttura, poi inizia un percorso di reinserimento»

di Chiara Ludovisi

Apriranno nei prossimi giorni quattro tensostrutture per la prima accoglienza dei senza dimora, in altrettante zone della capitale: San Lorenzo, Tiburtina, Ostiense e San Pietro. In tutto 250 posti, destinati a chi vive in strada e non sa o non vuole accedere a servizi di accoglienza più strutturati. Una di queste strutture sarà proprio a pochi passi dallo sportello di Binario 95, storico Polo sociale di accoglienza e supporto per persone senza dimora collocato all’interno della stazione Termini, finanziato da Roma Capitale in locali messi a disposizione da Ferrovie dello Stato: con il centro diurno e notturno, l’Help center, l’unità di strada e due housing (Casa Sabotino e Casa 95), Binario 95 rappresenta da quasi 25 anni un punto di riferimento dell’accoglienza di chi vive in strada. «Le tensostrutture non sono una novità: in inverno sono sempre state allestite – ci spiega Alessandro Radicchi, responsabile di Europe Consulting onlus, che gestisce questo e altri servizi – Certo, il Giubileo ha offerto fondi supplementari, come pure il Pnrr, per cui nel corso del 2025 sarà implementato tutto il sistema di accoglienza e servizi per le persone senza dimora: non in chiave emergenziale, ma strutturale», precisa Radicchi.

Alessandro Radicchi, responsabile di Europe Consulting onlus

Le prime due tensostrutture – San Lorenzo e Ostiense – apriranno ufficialmente lunedì 23: «Ma è un anno che ci lavoriamo – assicura Radicchi – insieme agli altri enti del Terzo settore e al dipartimento Politiche Sociali: conosciamo per nome le persone che vivono in strada e abbiamo individuato uno per uno coloro per i quali la tensostruttura può essere una via per il reinserimento».

Ma a cosa serve la tensostruttura, se non a mettere una “toppa” temporanea in una condizione drammatica che nelle nostre città è sempre più strutturata e diffusa? Tanti lo domandano, molti criticando questo tipo di soluzione, tanto che ogni volta che basta la parola “tensostruttura” per innnescare la polemica. «È davvero ora di finirla con la propaganda sulla pelle di chi vive per la strada – replica l’assessora alle Politiche Sociali e alla Salute, Barbara Funari – Le tensostrutture rappresentano una risposta concreta per aumentare i posti per l’accoglienza e non certo per aumentare il degrado».

Se da un lato infatti la tensostruttura è «un servizio a bassa soglia estrema – spiega Radicchi – questa rappresenta per la persona senza fissa dimora ciò che una rampa rappresenta per la persona con disabilità. Come quest’ultima può rinunciare a entrare in un museo perché ci sono gli scalini, così la persona senza dimora spesso rinuncia all’accoglienza tradizionale, perché c’è un percorso complesso da seguire, una lista d’attesa, tempi spesso lunghi: mentre la visione della persona che sta in strada è temporalmente legata alla giornata. Così, molti arrivano a rifiutare il percorso strutturato, si procurano ogni tanto un nuovo cartone su cui passare la notte e vanno avanti così. Le tensostrutture sono pensate per loro: l’obiettivo è che dalla tensostruttura passino poi a un centro di accoglienza, o a un housing, con un percorso di reinserimento sociale personalizzato e condiviso, dove le storie davvero possono cambiare segno e direzione. In effetti, il 30% delle persone che entrano nella tensostruttura, successivamente accettano soluzioni di secondo livello».

La tensostruttura e la rampa

Ben vengano, dunque, le tensostrutture, accompagnate però da un pensiero lungo, da una visione, da un percorso. Come quello che gli enti e tutti i soggetti che nella capitale si occupano di vita in strada stanno costruendo in questi mesi. Oltre alle tensostrutture, saranno infatti aggiunte otto unità mobili alle 11 già operative: «Chi vive in strada potrà ha bisogno di un punto di riferimento, tanto più nel frastuono dei 3 milioni pellegrini attesi ogni mese nella capitale: le unità mobili rappresentano questo, la persona amica che non li lascia soli», spiega Radicchi.

In più, saranno messe in circolazione altre quattro unità mobili sociosanitarie, i cosiddetti camper medici. Ancora, grazie ad altri fondi, -specialmente del Pnrr – sarà aperta, all’inizio del 2025, anche un’altra struttura a Roma sud per 20 adulti fragili con alta intensità sociosanitaria. E saranno aperti nove housing (per un totale di 88 posti) e quattro stazioni di posta (per un totale di 61 posti): «Sono strutture diverse tra loro, la prima caratterizzata da un alto livello di autonomia, che la rende molto simile a una vera e propria casa. la seconda con una presenza ancora costante dell’operatore, ma un primo livello d’indipendenza e consapevolezza importante. Entrambe rappresentano un tassello fondamentale nella costruzione del percorso di reinserimento sociale. Avremmo così tante storie da raccontare: uomini e donne che dalla strada sono stati accolti in una struttura e oggi hanno ripreso in mano la propria vita. Come Rogeira prima “lavorava” su un marciapiede e dormiva in strada e oggi vive a Casa Sabotino e ha ritrovato se stessa».

Senza dimora a Roma, i numeri e la sfida

Secondo la recente indagine dell’Università La Sapienza “La popolazione senza dimora nella città di Roma: una stima della numerosità”, nella capitale vivono in strada tra le 10mila e le 15mila persone. Sulla base della banca dati della Sala Operativa Sociale “Anthology”, nel 2023 hanno chiesto aiuto ai servizi del Dipartimento per le politiche sociali quasi 27mila persone, comprendendo però in questo numero sia persone senza dimora che migranti.

«Siamo sommersi dalla povertà e abbiamo le armi spuntate – osserva Radicchi – come ci mostrano anche i dati Istat e le analisi delle associazioni che si occupano di questo. Oggi a Roma abbiamo 2.316 posti accoglienza, a fronte delle 10-15mila persone che vivono in strada. Ma esiste una rete di enti e operativi con una grande esperienza e una grande passione. Soprattutto, abbiamo maturato una grande capacità di coprogettazione e abbiamo imparato a lavorare insieme nella nostra città. Dal 1 gennaio 2016 a oggi, abbiamo preso in carico oltre 123mila persone, tra senza dimora e migranti, per un totale di 10.700 interventi: cosa sarebbe successo, se non ci fossimo stati noi, a occuparci di loro? Ma servono strutture: se gli istituti religiosi decidessero di accogliere l’appello di Papa Francesco e aprissero tutte le loro porte per accogliere chi vive in strada, noi saremmo pronti a fare il nostro lavoro al loro fianco. Serve però anche che il governo ci dia supporto, dal punto di vista delle norme e delle risorse: mettendo in campo strumenti che facilitino la residenza anagrafica, per esempio, o l’accesso alle misure di sostegno economico. Ma anche assicurando una vita dignitosa a chi sceglie di fare questo lavoro: oggi un operatore ha uno stipendio di 1.100 euro al mese circa: questo è un altro tema, che prima o poi dovrà essere affrontato. Dobbiamo decidere di fare fronte alla povertà: sconfiggerla è impossibile, i poveri ci saranno sempre, ma potrebbero essere molti di meno, se ciascuno facesse la propria parte”.  

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