Formazione

Girotondo al Giambellino

Si intitola La comunità maledetta. E’ l’ultimo saggio di Aldo Bonomi, che lancia un’idea per tutti. Ripartire dal territorio. Ecco il resoconto del dialogo con lui.

di Redazione

La militanza, per Aldo Bonomi, è una parola che ha cambiato valore nel corso degli anni. Militante della sinistra extraparlamentare, oggi s?impegna in parrocchia, gruppi Caritas . Dice con orgoglio: «è questo ciò che resta della mia storia di militante. Un impegno più simile al volontariato».
Aldo Bonomi, classe 1950, fondatore del consorzio Aaster – Associazione Agenti di sviluppo del Territorio, «una quarantina di partite Iva, associate», autore di una trilogia di libri appassionanti, Il capitalismo molecolare (1997, Einaudi), Il distretto del piacere (Bollati Boringhieri, 2000), e il recentissimo, La comunità maledetta (Edizioni di Comunità, 2002). Una trilogia che lo ha reso famoso come ?sociologo del racconto?. «Viaggiare in un luogo, starci dentro per capire di più le grandi dinamiche che ci stanno cambiando persino la vita», spiega così la sua filosofia.
Incontriamo Bonomi nello spazio biblioteca della redazione di Vita. Intorno al tavolo, per dialogare con lui, mezza redazione. Quelli che seguono sono gli appunti dell’incontro.

In un mondo dominato dalla globalizzazione che senso ha concentrarsi sul territorio?
Aldo Bonomi: Il mio è un racconto di un territorio ogni volta diverso. M?immergo in questa porzione di realtà per capire come cambiamo, tutti e dappertutto. Ne Il capitalismo molecolare, raccontavo l?esplosione della grande fabbrica e della classe operaia e ne seguivo i percorsi. Questa realtà proponeva una riflessione sul fatto che non siamo più al lavoro in forma collettiva ma individuale e autonoma. Nel Distretto del piacere ho raccontato l?economia dell?intrattenimento che ha come merce primaria il corpo umano nelle sue rappresentazioni e nel suo aspetto simbolico: discoteche, parchi a tema, viali del sesso. Osservavo che quelle che Marx chiamava le attività senza opera, le attività che non producono merce, oggi sono predominanti. Marx quando ne scriveva diceva che quei lavori riguardavano la ballerina e il pianista, cioè attività marginali. Invece oggi solo nel distretto del piacere (cioè, la provincia di Rimini) sono circa 250mila. La comunità maledetta è un libro costruito su un viaggio territoriale dentro la ex Jugoslavia (Slovenia, Croazia, Bosnia, Serbia), ovvero là dove la comunità, parola difficile e pesante, si è dissolta sotto il peso del sangue, del suolo e dei fondamentalismi religiosi. Lì sono riapparsi gli esuli, i campi di concentramento a 300 chilometri da noi. Una crisi del concetto di comunità su quel territorio in cui si riflette anche la crisi della comunità da noi. Nella ex Jugoslavia per un meccanismo di regressioni, da noi per un meccanismo di ipermodernità.

Se si dissolve la comunità si dissolvono anche le istituzioni. Come si può ricostruirle?
Bonomi: Il nodo è proprio questo. Il rapporto tra il sorvolo dei flussi e la nuda e cruda realtà dei luoghi mette in crisi le forme intermedie istituzionali. La forma Stato – Nazione è una di queste. In Italia ci si può ragionare con dolcezza, nella ex Jugoslavia si è fatta una guerra. C?è poi la crisi di tutte le forme intermedie di rappresentanza, del lavoro, delle imprese. La società globale è società frammentata sia là che qua. A fronte di queste cose occorre mettersi in mezzo, di là come di qua. Da questo punto di vista esalto le Agenzie per la democrazia locale che laddove la comunità si è dissolta ricreano legami e riabituano soggetti che si sono odiati, a convivere, magari anche a fare impresa insieme: la Caritas al Giambellino di Milano fa questo lavoro. Sul terreno rimangono quindi il Terzo e il Quarto settore. Il Terzo è il nuovo welfare, il Quarto sono le economie locali che tutti ritengono marginali o addirittura illegali. Sono proprio le economie informali (lavoro nero, precario, etnico) che la sinistra continua a confondere con l?economia criminale. Tra il Terzo e Quarto settore bisogna cominciare a dialogare. Il Terzo settore, che si occupa di produrre servizi, prima garantiti dalla statualità, e il Quarto che è l?economia e i lavori dei luoghi.

Lei sostiene che siamo tutti capitalisti, «capitalisti personali». Che cosa significa?
Bonomi: è uno degli effetti antropologici della globalizzazione. Siamo tutti soggetti che alla mattina devono inventarsi una vita essendo un po? capitalisti e un po? persone, un po? imprenditori di se stessi e un po? uomini. Il capitalismo non sta più nelle fabbriche ma è una nostra seconda pelle: siamo tutti un po? capitalisti. La partita Iva è una figura emblematica, siamo insieme un?impresa e una persona. Impresa personale, cioè un ossimoro. Nel ?900 finito il lavoro tornavi a essere una persona. Il che era già alienante. Ma oggi è in qualche modo peggio. Perché oggi non esci più da quei panni qualsiasi cosa fai, fai impresa di te stesso. Sei sempre al lavoro. Il conflitto è entrato dentro noi. Per questo è importante ripartire dal territorio mettendosi in mezzo, creando valore di legame, ricostruendo società e comunità laddove sono andate distrutte.

Nel suo libro lei riscopre due parole: comunità e persona. A questo proposito si parla dell?eresia moderata del fare. Cioè?
Bonomi: Via via che mi addentravo nel racconto mi sono accorto che usavo due parole maledette nella mia storia di sinistra, non invece per la cultura cattolica. Per me, che sono cresciuto leggendo Karl Marx, la comunità era quel grumo identitario che si contrapponeva alla società e alla modernità. La persona era la negazione della classe. La sinistra politica se non comincia a fare i conti con la mancanza di comunità e la singolarità della persona, non va da nessuna parte. Sui flussi e sulla loro regolazione è molto più bravo il padrone, Berlusconi.

Eppure anche nella sinistra politica qualcosa si sta muovendo, dai gi-
rotondi alle piazze??

Bonomi: In certe recenti mobilitazioni vedo l?esatta negazione di queste cose. Nei girotondi vedo la difesa dei luoghi simbolici delle regole, i tribunali, la legge, il diritto. La grande crisi della sinistra sta nella sua ostinazione a presentarsi come sostenitrice dei sorvolatori del mondo. E intanto sul terreno chi rimaneva? Se se uno s?immerge nel territorio la parola ?regola? è una parola maledetta. La sinistra come garante delle regole è una follia. Consiglierei a questi signori, invece di fare girotondi, di andare al Giambellino con don Colmegna. Invece ragionano così: noi presidiamo le regole, intanto gli ultimi li lasciamo alla Caritas.

Come si forma la legittimità e l?identità?
Bonomi: Questo è il grande problema. C?è chi dice che l?identità e la legittimità si forma dall?alto e chi invece dice che si forma dal basso, io sono per la seconda visione. La legittimità viene dall?evoluzione della comunità che si fa società oppure è qualcosa che discende dalla statualità dall?alto verso il basso? Ma oggi qual è la punta del vertice? Lo Stato è un po? in crisi, l?Europa non esiste ancora, non è ancora una punta politica, il governo dell?impero non c?è ancora, esiste come fatto economico, ma non come fatto politico, ci sono solo gli Usa. La sinistra sociale ha abbandonato due categorie classiche della sinistra politica: il concetto di autonomia del politico e il concetto d?interpretazione Mentre la vecchia composizione sociale si rappresentava dentro la forma partito e la forma sindacato, oggi si stanno elaborando nuove forme di rappresentanza e di rappresentazione dei soggetti. Certo la costruzione di un percorso sociale è molto più lunga di un percorso politico.

E i nuovi leader politici da dove usciranno?
Bonomi: Non abbiamo fretta. Non sono pessimista. In primo luogo dobbiamo capire che tutto quello che abbiamo descritto ha prodotto un grande spaesamento culturale, però non è la prima volta nella storia. Se uno pensa all?ultima grande transizione epocale che abbiamo vissuto quando milioni di contadini sono stati deportati, o per lavoro o per forza (come in Urss), dalle forme del lavoro agricolo nelle campagne alle forme del lavoro urbano industriale. Fu una vera devastazione: i ritmi della vita e del lavoro sconvolti, la dimensione familiare dalla forma patriarcale, non sapevano leggere e scrivere e invece la scrittura diventa obbligatoria per capire i comandi, mangiavano quel che producevano e invece debbono comprarlo. Una vera apocalisse culturale.
Oggi sta succedendo qualcosa del genere: eravamo salariati a vita e con il lavoro garantito e ci hanno detto «tutto questo non c?è più», avevamo la pensione e ci hanno detto «tutto questo non esiste più», avevamo l?asilo e non c?è più; avevamo il ricovero e l?assistenza garantita e non l?abbiamo più, siamo passati dalle biro a Internet, sapevamo cosa mangiavamo e oggi c?è mucca pazza e gli ogm. Siamo spaesati, incerti, timorosi rispetto al futuro.
Rimangono due strade: sperare in una moltitudine colorata che conquista l?impero, oppure ragionare in modo diverso e ricordarci che ogni volta la composizione sociale ha ritrovato gli strumenti per ricominciare a vivere dentro lo spaesamento. I contadini quando sono arrivati in città non hanno fatto il partito e il sindacato, e mica si sono inventati i dirigenti politici. Fecero le leghe operaie, forma di solidarietà non sindacato, fecero le mutue, non l?Inps, fecero le università popolari per imparare a leggere e a scrivere, fecero le leghe cooperative di distribuzione. Da lì vennero fuori i dirigenti che seppero trasformare quelle esperienze in conflitto politico per avere più spazio, la classe politica nasce in percorsi così. Allora incoraggiamo i lenti percorsi di ricostruzione e non i leader improbabili.
La nuova forma della politica nasce dentro le esperienze sociali. Per il resto rifuggo dai portavoce, la politica non può continuare a essere un primo popolo che ne interpreta un secondo che ne interpreta un terzo, e tra questi popoli non ci sono più rapporti di feed back, non ci sono più rapporti tranne la tv. Ripeto il mio invito, stiamo sul territorio, mettiamoci in mezzo per creare nuovi rapporto sociali, con pazienza. Sarà la rivoluzione della pazienza, senza scorciatoie.

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