Economia

Giraud: una bad bank europea per scommettere sulla transizione ecologica

L'economista e gesuita francese ha tenuto a Roma una Lectio Magistralis nell'ambito del calendario promosso da Federcasse per i 140 dalla nascita del credito cooperativo. L'incontro è partito dall'ultimo libro di Giraud, scritto con Carlo Petrini e il direttore di VITA Stefano Arduini

di Redazione

Fare in modo che la Banca Centrale Europea assuma il ruolo di “bad bank” per acquistare gli “asset fossili” delle grandi banche continentali, che in applicazione del Trattato di Parigi sul clima rischierebbero altrimenti di innescare pesanti svalutazioni dei patrimoni nel breve termine.

Questa la proposta “shock” del professor Gael Giraud, economista, matematico, teologo francese nel corso della “Lectio Cooperativa” organizzata il 30 maggio a Roma (Università “LUMSA”) da Federcasse sul tema “Dall’homo oeconomicus all’homo felix – Una nuova spiritualità, una finanza per lo sviluppo integrale”, nell’ambito delle iniziative per i 140 anni dalla costituzione della prima Cassa Rurale italiana (Loreggia, 1883). L’incontro è stato coordinato dal direttore di VITA Stefano Arduini.

Per Giraud, la proposta di una “bad bank” innestata nella Bce, favorirebbe una transizione energetica equilibrata delle grandi banche transnazionali, che pur condividendo gli obiettivi dell’agenda 2030 delle Nazioni Unite non riescono, di fatto, a mettere in campo strategie di breve termine per contrastare con la leva finanziaria il cambiamento climatico.

Il punto di non ritorno

Per Giraud, bisogna assolutamente scongiurare l’ipotesi nefasta di aumento di 4 – 5 gradi centigradi del riscaldamento globale del pianeta, entro fine secolo. Già oggi siamo in ritardo sulla tabella di marcia e se non si inverte la rotta assisteremo a stravolgimenti planetari che in prima battuta impatteranno sulle aree più povere del mondo, in termini sociali ma anche economici.

Una situazione di squilibrio, dunque, capace di innescare processi nefasti a catena:

  • la sempre maggiore scarsità di acqua potabile: nel 2040 – in Italia, Spagna, Portogallo e Tunisia – la mancanza di acqua potrebbe essere almeno del 40% o, nel peggiore die casi, l’80%;
  • una modifica radicale dei processi produttivi alimentari, migrazioni di massa;
  • Effetti, al momento oggetto di attenzione solo della comunità scientifica, come il possibile “risveglio” di batteri oggi bloccati dal permafrost artico.

La soluzione è quella di favorire una rapida e corretta transizione verso l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, ma questo è un processo che deve essere sostenuto da una adeguata informazione delle persone in grado di mutare anche stili di vita e “domande” di prodotti e servizi del tutto nuovi. Centrale, per Giraud, è il processo democratico che deve sottostare a queste trasformazioni altrimenti impensabili, con conseguenze nefaste, entro fine secolo, per l’intera umanità.


Il ruolo delle banche cooperative

I cambiamenti epocali ricordati da Giraud hanno bisogno di un adeguato supporto finanziario. Le banche – quelle di grandissima dimensione e transnazionali – sono soggetti economici che nulla fanno per ridurre le emissioni derivanti da energie fossili, ha detto Giraud. Come dimostrato in un rapporto da lui pubblicato nel 2022, le 11 maggiori banche della zona euro hanno derivati fossili per 530 miliardi di euro, il 95% della capitalizzazione delle stesse banche. Questo ha una conseguenza molto concreta: se la politica decidesse di scegliere la strada della transizione ecologica, ovvero il rifiuto delle energie fossili, queste banche fallirebbero. Ed è per questo che occorre trovare un modo per salvare le banche in grado non di osteggiare, ma di diventare “amiche” della transizione. Un discorso diverso va fatto per le banche cooperative di comunità che non sono condizionate dai grandi potentati finanziari (detentori di miliardi di asset fossili) e possono favorire sui territori quel processo che nasce dal basso e che deve arrivare fino ai più alti centri decisionali. Le banche cooperative – ha detto ancora Giraud – possono giocare un ruolo importante e alternativo nel finanziare la transizione ecologica, in controtendenza rispetto al resto del sistema bancario: si pensi ad esempio alla sfida delle comunità energetiche promosse nei territori.

L'antropologia relazionale

Quella di Giraud non è una visione pessimistica, ma una analisi lucida dell’esistente per proporre soluzioni ancora possibili. Su tutte, un cambio di paradigma della visione economica ispirata a quella che lui chiama “antropologia relazionale”, ossia ispirata ai valori del bene comune.

Attualmente viviamo in un’economia della sofferenza e dobbiamo indirizzarci verso quella “delle opportunità e della felicità”, ricordando anche l’enciclica di Papa Francesco Laudato Si. “Dimentichiamo l’Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci (un uomo solo, maschio, europeo, senza natura, senza l’altro né l’Altro), con l’obiettivo di costruire una società più equa e giusta, rispettosa dell’ambiente e inclusiva”. In sostanza recuperare la tradizione dei beni comuni che significa recuperare la qualità delle relazioni che abbiamo fra noi e la natura, con le passate e future generazioni. Quella che Giraud, ricordando ancora Papa Francesco, chiama “antropologia relazionale”.

Come scriveva Antonio Genovesi – ha ricordato nella sua introduzione ai lavori il presidente di Federcasse, Augusto dell’Erba – «è attraverso la fiducia, la mutualità o reciprocità, la tensione concreta e operativa verso il bene comune”, che possiamo raggiungere la pubblica felicità. Sono gli ingredienti – statutariamente previsti – di tutte le Banche di Credito Cooperativo italiane».

«“Fare banca” – ha sottolineato invece il direttore generale di Federcasse, Sergio Gatti – per il Credito Cooperativo rappresenta lo strumento per raggiungere coesione sociale, e uno sviluppo responsabile e sostenibile. E lo fa attraverso “la formazione e l’informazione, il finanziamento della transizione energetica, la diffusione di buone pratiche che vanno valorizzate e portando avanti la sfida delle comunità energetiche”. “Questo significa anche – ha concluso Gatti – favorire quel processo democratico indispensabile ad innescare il percorso di un non più rinviabile cambiamento».

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