Famiglia

Giovannino e la sofferenza dell’abbandono

di Paola Crestani

Tutti abbiamo sentito e letto in questi giorni della triste vicenda di Giovannino. Una vicenda triste non solo perché il piccolo è nato con una malattia tanto grave quanto rara ma ancora di più perché, nonostante fosse stato desiderato così tanto da far ricorso alla fecondazione assistita per averlo, è stato rifiutato dai suoi genitori.

In tutti i commenti che ho sentito e letto viene detto “non giudichiamo i genitori”.

Nemmeno io, ovviamente, mi sento di giudicarli, meno di tanti altri ho titolo e volontà di farlo.

Però mi sento di dire qualcosa in merito al gesto che hanno compiuto e mi sento in dovere di farlo anche in nome di quelle migliaia di bambini soli di cui CIAI, l’organizzazione di cui sono presidente, si è preso cura in più di 50 anni di attività nell’ambito dell’adozione, della rabbia e del dolore dei tanti bimbi che ho personalmente incontrato nelle periferie del mondo, negli orfanotrofi, nelle strutture di accoglienza, nelle loro nuove famiglie, della fatica e della sofferenza che quotidianamente cerchiamo di accogliere e trasformare in speranza di futuro.

Perché, senza giudicare nessuno, è importante dire che abbandonare un bambino, rifiutarlo perché non è come ci si aspettava, è un gesto grave, è un’enorme fonte di sofferenza, è un atto che ha conseguenze pesanti sulla vita di una creatura innocente.

Cosi come è importante dire che nessun figlio può essere considerato un diritto o peggio ancora ridotto ad un oggetto di cui ci si può appropriare o dismettere a piacimento.

Certo mi piacerebbe che non ci fosse mai più nessun Giovannino, nessun bambino (voluto o meno) abbandonato dai suoi genitori, questo è l’obiettivo dell’impegno quotidiano di chi si occupa di adozioni e a mio parere dovrebbe essere anche quello dell’intera società.

Purtroppo non esiste una soluzione certa e semplice per prevenire l’abbandono ma sicuramente poter contare su di un contesto accogliente rispetto alle difficoltà personali e del proprio bambino, percepire la possibilità di sentirsi non solo non giudicati ma anche sostenuti nell’ impegno di crescere un figlio con necessità particolari, sarebbe di aiuto.

Di questo forse dovremmo sentirci tutti responsabili e di conseguenza, per Giovannino, per i suoi genitori, per i tanti bambini che rischiano di essere rifiutati da chi li mette al mondo, dovremmo sentirci in dovere non di giudicare ma di avere il coraggio di indicare la differenza tra cosa è giusto e cosa è sbagliato e promuovere con ogni singolo comportamento una società che sappia accogliere, valorizzare ogni diversità, essere solidale.

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