Famiglia

Giovanni Testori. Per estremo amore

Il 16 marzo ricorrono i dieci anni dalla scomparsa di uno dei più geniali e anomali intellettuali italiani. Uno che non ha mai rinunciato alla passione per la realtà, per gli ultimi. Un ricordo e l'ultima intervista

di Riccardo Bonacina

E’ vietata la parola che non c’entra con la vita, anzi con la vita dell’uomo. Perché proprio lì, solo lì, nella realtà, nella vita dell?uomo è rintracciabile il segno creaturale, cioè il senso del nostro essere al mondo. Il racconto di Testori, durante tutti i 15 anni ch’ebbi il dono di frequentarlo, a me è parso sempre racchiuso tra uno dei primi episodi che gli ho sentito raccontare e una frase che mi capitò di raccogliere nella stanzetta del San Raffaele per un’intervista per Raidue.

Testori, per spiegare da dove gli nacque la passione per la parola, di una parola così impastata di vita, raccontava sempre un episodio capitatogli da bambino. Una sera, raccontava, a Lasnigo, andando con la mamma a fare la spesa, il piccolo Testori incrociò un uomo legato con una catena tra due carabinieri. Incrociando il suo sguardo l’uomo disse qualcosa, forse ciao, forse qualcos’altro. E quand’era più lontano, siccome continuava a guardarlo, lui si voltò e ancora disse qualcosa aprendo la bocca. “Ecco”, ne concludeva, “Io ricordo quella sua bocca ogni giorno e penso, cosa m?avrà detto? Che cosa posso fare io perché questa bocca che si è aperta sulla faccia di un uomo che veniva portato in prigione non morisse? Non venisse diminuita? Qual era la parola? E io cosa potevo fargli dire?”.

L’ultima intervista

Qualcosa di simile mi disse durante l’intervista raccolta al San Raffaele. Testori commentò così le immagini di bambini denutriti e in fin di vita che giornali e tv usavano per raccontare la terribile carestia in Africa: “Quelle immagini terribili di bambini ci giudicano. Io mi immagino di reincontrare in cielo quei volti scavati e ci chiederanno ragione della nostra spensieratezza, della menzogna delle nostre parole e della nostra vita. Quei bambini solo apparentemente non parlano, le loro parole le sentiremo tutte il giorno del giudizio”. Basta amare la realtà sempre e in tutti i modi, “fuggite le astrazioni”, ci ammoniva Testori. La verità non ha altro luogo, altra casa che non sia la realtà, la vita dell’uomo. Fate parlare la realtà, la vita, cercatela lì la parola, fatela scaturire da lì.

22 gennaio 1993, Milano, ospedale San Raffaele, l’ultima intervista

Riccardo Bonacina: Giovanni Testori, da tre anni, ormai, è dentro e fuori dagli ospedali, più dentro che fuori? Come si guarda la realtà da un luogo come questo?

Giovanni Testori: La si guarda obbligatoriamente, a meno che non si rifiuti la malattia, filtrata attraverso il dolore, attraverso questa separazione che invece può essere superata dall?amore, dalla fede soprattutto. E poi dall?amicizia. Però c?è questo filtro inesorabile per cui tutto ciò che non passa questo filtro, questo filtro della sofferenza, rivela tutta la sua natura? di pochezza, di inutilità e di offesa per l?uomo.

Bonacina: C’è un fatto di cronaca, un discorso, qualcosa che ti è capitato in questo periodo che ti ha fatto dire: “questa è un’offesa all’uomo”, o un episodio che ti ha fatto dire “questo no”.

Testori: Quasi tutto. quasi tutto mi fa dire: “questo no”. Però, io non so se è peggio una violenza scatenata da una passione, da un accecamento o questa violenza perpetua che fa sull?uomo lo stato sociale. A me sembra più orrenda, perché poi è ammessa e strariammessa ancora, appunto questa violenza che fa il potere politico, economico? Questa mattina leggevo sul Corriere che hanno preso Totò Riina e c’è uno che propone la pena di morte per lui? Ecco, no, no! Può aver fatto qualunque cosa, ma la pena di morte, no. Io credo che comunque i fatti, le immagini se vuoi – perché io ce le ho qui (passandosi una mano sugli occhi, ndr), io non vedo che immagini, non leggo se non parole – sono la ex Jugoslavia, il Sudan- Tu li hai visti, questi campi di concentramento. E’ proprio questa la violenza, no- NO. La fame, quei bambini – e poi queste fotografie che ci arrivano non sono come quelle dei tempi indietro, in bianco e nero, queste sono a colori-: sono questi poveri corpi, come tanti Cristi, tanti Gesù Cristi. Bambini, crani, donne, uomini, questi occhi? che domandano aiuto, occhi di fame, occhi di disperazione. Io mi immagino di reincontrare in cielo quei volti scavati e ci chiederanno ragione della nostra spensieratezza, della menzogna delle nostre parole e della nostra vita. Quei bambini solo apparentemente non parlano, le loro parole le sentiremo tutte il giorno del giudizio Guardi, di là, io penso, quando andremo di là – perché andremo tutti- quando ci sarà la grande resurrezione, il giudizio, io penso che il Signore Iddio il giudizio lo farà fare a questi. Cioè tirando fuori tutti i morti per colpa nostra. Pensa, nella Storia quanti morti ci sono stati per colpa nostra! Morti di fame? di malattie? di solitudine, di guerra.Bonacina: In questo periodo, avrai sentito, avrai letto, a Roma ci sono stati sei delitti nel mondo della prostituzione omosessuale?

Testori: Sì. Bonacina:Tu, di fronte a una violenza che spesso si scatena nelle nostre città, in particolare a Roma dove c?è ora un clima di paura, come leggi queste realtà?

Testori: Una grande pena’ però provo anche un senso di rivolta per tutte le ragioni che scatenano questa violenza. Tra l?altro non dobbiamo dimenticare che spesso nell?ambiente della prostituzione maschile si vive sul ricatto, direi proprio sulla legge tribale. Dentro questa specie di voragine, i più deboli poi cadono, vengono eliminati. Però provo una grande tenerezza: non per chi compie questi delitti, ma per la condizione in cui vivono.

Bonacina: Una scelta come quella del Comune di Roma che ha dato una delega, quasi, assessorile ?ai problemi dell?omosessualità??

Testori: Mi sembra una cosa sconcia.

Bonacina: Perché?
Testori: Innanzitutto perché separa un?altra volta. Si fa tanto perché non siano separati, e poi questa legge che riguarda solo gli omosessuali? la trovo, come dire?, timbra, due volte, sì, e poi perché non vedo a cosa possa approdare.

Bonacina: L?omosessualità è una diversità?
Testori: Se si toglie la parola diversità, si toglie ogni preconcetto, diciamo serie B, hai capito? E’ una condizione che può anche essere furentemente positiva, ? Si è diversi come è diverso ciascuno di noi dall?altro. Solo, però se la si vive nella sua drammaticità, se non la si stende, non la si esibisce, ma la si assume nella sua totalità? di peccato anche, ecco. Quindi del terribile tentativo di evitarlo, di allontanarsi, o di trasformarlo.

Bonacina: Come è possibile trasformarlo? Tu hai una storia, un volto?
Testori: Io, sempre, ho avuto l’impressione che in verità cercassi un figlio, cercassi il figlio che non potevo avere, che non avevo. E difatti proprio per me quello che era?. Così. La riduzione erotica del rapporto… io non l’ho mai capita. Ero preso dalla quantità di splendore che vedevo e la richiesta dell?altro di un affetto e anche, sembrerà una cosa insostenibile, ma anche una guida.

Bonacina: Se tu potessi incontrare, come facevi prima della malattia, quando giravi spesso nelle stazioni o fuori dal carcere, uno di questi ragazzi oggi hanno paura o addirittura sono terrorizzati, o si prostituiscono in modo anche pericoloso? Tu cosa gli diresti? Testori: Gli direi? Non tanto per il momento di paura, che poi può darsi che passi o si aggravi, ma proprio per loro, e per gli altri? di non farlo diventare un mestiere.

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