Romanziere, autore teatrale, critico d’arte, Giovanni Testori (1923-1993) tra il 1977 e il 1978 inaugurò la stagione di una rinnovata militanza culturale, scrivendo corsivi di bruciante attualità sulle pagine del Sabato e del Corriere della Sera. Eccone un frammento, tratto da un articolo del Corsera del 17 marzo 1980, ora ripubblicato nel volume La maestà della vita e altri scritti (Bur, pp. 502, euro 9,50)
Nella nostra società gli scandali attorno alla corruzione (…) s’aprono e si chiudono come se la ripetitività di questo alzarsi e abbassarsi di coperchi su così turpi fatti volesse, come primo risultato, determinare in noi una sorta di progressivo assopimento che serva da salvacondotto al protrarsi-dilatarsi della medesima corruzione. (?) Esistono quotidiani e settimanali che hanno una particolare disposizione a sollevare i coperchi di quelle bare, forse perché su tali sollevamenti poggia gran parte della loro fortuna economica. Senonché quei quotidiani e quei settimanali usano compiere a loro volta tali atti di corruzione da farci chiedere se non sia corrotta anche la loro tanto esibita disposizione a denunciare; ove non bastasse a farci rispondere affermativamente, il peso della fortuna economica che usano trarne. Tutto questo cosa sta a significare? Che pensando, parlando, agendo sia in privato, sia in pubblico, non ci facciamo più giudicare. Ora un pensiero una parola e un gesto che, di proposito o per vizi d’abitudine, evitano il giudizio, di quale mai fede e di quale mai credibilità sono degni?
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