Droga

Giovanissimi e cannabis, l’allarme: «Può contenere anche metanfetamine»

Mentre i dati parlano di un aumento e una precocità dell’uso di cannabis tra i giovani, i medici mettono in guardia. «Tra gli effetti possono presentarsi alterazioni umorali, deficit cognitivi e sintomi dello spettro psicotico», dice lo psichiatra Marco Di Nicola. «La situazione è molto grave, ma molto sottovalutata», aggiunge Giuseppe Bersani, professore ordinario di psichiatria all’Università Sapienza di Roma. «Oggi la cannabis è spesso più pericolosa di altre sostanze, perché tagliata con altre sostanze sintetiche, che esercitano un’azione centinaia di volte più potente»

di Chiara Ludovisi

Le droghe leggere non esistono. E dentro una canna, spesso c’è molto più di quel che si pensa: sostanze psicoattive che possono avere effetti devastanti e irreversibili. Perché? Perché la cannabis è sempre più spesso tagliata con droghe sintetiche, le cosiddette “spice drugs”.

I cosiddetti cannabinoidi sintetici sono annoverati tra le Nuove Sostanze Psicoattive (Nps) e, tra queste, sono le più diffuse e utilizzate (6,9%), seguite da ketamina (2%) e oppioidi sintetici (1,7%).  Accade così che, quasi sempre inconsapevolmente, i giovani assumano sostanze ben più potenti e pericolose dell’erba che pensano di fumare. E ne diventano facilmente dipendenti.

A rilanciare l’allarme – dopo che l’allarme era già stato lanciato all’inizio dell’estate dai dati contenuti nella Relazione al Parlmanento sulle tossicodipendenze – è Marco Di Nicola, ricercatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, psichiatra presso l’Unità operativa complessa di Psichiatria Clinica e d’Urgenza della Fondazione Policlinico Universitario “A. Gemelli” IRCCS di Roma. E lo fa con le competenze e l’esperienza che gli derivano non solo dai tanti anni di professione, ma anche dall’attività di coordinamento del Centro Psichiatrico Integrato di ricerca, prevenzione e cura delle Dipendenze (CePID), inaugurato poco più di un anno fa presso lo stesso Policlinico. «Come si legge nella Relazione», dice, «preoccupa molto la comparsa e la disponibilità di prodotti della cannabis a basso contenuto di THC (<1%) adulterati con cannabinoidi sintetici (esaidrocannabinolo) ad elevata potenza, i cui effetti sono imprevedibili: tra i più gravi possono presentarsi alterazioni umorali, deficit cognitivi e sintomi dello spettro psicotico, con possibili ripercussioni sul funzionamento scolastico-accademico e socio-relazionale. E con un rischio molto alto di sviluppare una dipendenza». 

Il CePID oggi accoglie e prende in carico pazienti con diverse forme di dipendenza, tra cui tanti giovani consumatori di cannabis. Sempre di più e sempre più giovani, stando ai dati dell’ultima Relazione al Parlmanento sulle tossicodipendenze: «Sono circa 550mila i ragazzi tra 15 e 19 anni che hanno riferito un consumo almeno una volta durante l’ultimo anno», ricorda Di Nicola, «mentre 70mila riportano un uso pressoché quotidiano. Due studenti su tre hanno utilizzato la cannabis per la prima volta fra i 15 e i 17 anni. Poco meno del 30% (29%, per l’esattezza) ne ha fatto uso già prima dei 14 anni. Oggi, tra le persone che accedono al CePID per problematiche correlate all’uso di sostanze, circa un quarto rientra nella fascia d’età tra i 18 e i 35 anni. Questi giovani sono per lo più inconsapevoli della probabile e frequente presenza di sostanze sintetiche ad alta potenza e pericolosità nella cannabis che consumano. Tanto che tendono a mostrarsi stupiti e allarmati, quando vengono informati dell’esito di analisi tossicologiche approfondite in grado di rilevare tale co-assunzione, quali l’analisi del capello».

Così come inconsapevoli sono gli adulti, per via di una «scarsa e inadeguata informazione, ma anche di una diffusa e radicata tendenza a minimizzare il problema», afferma Giuseppe Bersani, già professore ordinario di psichiatria all’Università Sapienza di Roma. «La situazione è grave, ma molto sottovalutata: l’aumento della diffusione di cannabinoidi si associa infatti non solo a un’anticipazione dell’età d’esordio, ma anche a una maggiore pericolosità di quelle che l’opinione comune continua a chiamare “droghe leggere”. Anzi, oggi la cannabis è spesso più pericolosa di altre sostanze, perché tagliata con altre sostanze sintetiche, che esercitano un’azione centinaia di volte più potente. Da uno studio europeo, risulta che ben il 15% di nuovi casi di schizofrenia sia associato all’uso di cannabis. Può accadere che nella cannabis si trovino tracce di metanfetamina, la quale produce effetti psicostimolanti gravissimi con potenziali danni cerebrali permanenti, o di allucinogeni quali LSD od altri, di ketamina, di oppioidi, di altre e quasi sempre non riconosciute sostanze psicoattive. Così, un ragazzo che pensa di farsi una canna spesso assume, a sua insaputa, ben altro, in grado di provocare effetti anche potentissimi. Inoltre, quanto più sono presenti altre sostanze psicoattive, tanto più il rischio di dipendenza è alto, con tutto quel che ne consegue, in termini di condotte e devianze. D’altra parte, l’obiettivo del mercato è proprio questo: creare sostanze più attrattive, capaci di procurare lo ‘sballo’, per generare nuovi soggetti dipendenti. Dobbiamo fare tutti molto di più, per offrire una corretta informazione e mettere in guardia sui rischi: è un impegno che deve coinvolgerci tutti, ciascuno per la propria parte, perché la sfida è collettiva, globale, cruciale».

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