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Giovani: travolgerli di esperti per paura di punirli
Dal delitto di Chiavenna a Erika: l'ora dei periti
di Redazione
Undici esperti e tre mesi di tempo per capire se il massacro di Novi Ligure, il 21 febbraio, non fu che il raptus di una pazza. Salvo l’eventualità che il giudice, a ottobre, disponga ancora un’altra perizia sulle menti di Erika e Omar per vederci più chiaro fra le pareti della villetta color salmone trasformata in mattatoio. Del resto anche Veronica, Ambra e Milena, che il 6 giugno del 2000 uccisero una suora con 19 coltellate – loro ne avevano programmate 18, la somma del 666 satanico, ma suor Maria Laura resisteva – sono reduci dal secondo esame della personalità. Che, diversamente dal primo, le ha trovate incapaci di intendere e di volere.
Ma come si svolgono le perizie psichiatriche sui minorenni? Di quale oggettività si fregiano? E soprattutto: una ragazzina che per tre mesi passa da un colloquio all’altro con 11 facce diverse non rischia di diventare pazza, se non lo è già? «In realtà, la perizia su Erika e Omar sarà condotta dal collegio nominato dal giudice, e cioè solo da tre esperti», spiega Giuseppe Magno, direttore del Dipartimento ministeriale per la giustizia minorile. «Gli altri, i periti di parte», prosegue, «hanno il diritto di essere presenti quando quelli svolgeranno le loro funzioni, per poi eventualmente contestarne la perizia in sede processuale. A quel punto sarà il giudice a dover scegliere la posizione che gli sembra più conforme al vero, meglio motivata, più approfondita. Ma quando si tratta», aggiunge Magno, «di periti di fama ed esperienza (per Erika ci sono anche Gustavo Charmet e Adolfo Ceretti) in genere il giudice li ascolta».
Nominare d’ufficio ben tre periti è una cosa eccezionale, decisa non tanto in base alla gravità del reato, quanto di fronte a personalità molto complesse: Duccio Scatolero, criminologo torinese per tanti anni fra i ragazzi cattivi del Ferrante Aporti, spiega che «non esiste una procedura standard per le perizie psichiatriche su minori, se non l’interesse di tutti gli esperti a ridurre al minimo gli interventi invasivi sul ragazzo». Oltre alla necessità di scavare il più a fondo possibile nel suo stato mentale, ed ecco il perché di più perizie.
«Il ragazzo a volte si rifiuta di parlare con certi psichiatri», dice Scatolero, «quindi è necessario nominarne altri. Ma le doppie perizie, come nel caso del delitto di Chiavenna, sono eccezioni». Eccezioni come quei minori dichiarati, alla fine, totalmente infermi di mente e socialmente pericolosi, quindi rinchiusi in comunità specializzate (l’ospedale giudiziario minorile non esiste più): «Due o tre casi all’anno», informa il criminologo. Ma Giuseppe Magno aggiunge: «Purtroppo i minori bisognosi di cure psichiatriche aumentano. Non in misura allarmante, ma aumentano». La comunità deve aiutarli a guarire e maturare, con un magistrato di sorveglianza che segue il loro percorso passo passo per decidere, scaduto il termine fissato dal processo, se non sia meglio proseguire le cure. «C’è poi l’eventualità», precisa Scatolero, «che il ragazzo sia dichiarato infermo ma non pericoloso. In quel caso è libero, può stare a casa sua, ma con l’obbligo di sottoporsi a cure psichiatriche». Potrebbe accadere anche a Erika. «Io però sono convinto», commenta il criminologo, «che l’adolescente autore di un omicidio abbia diritto a una punizione, inserita in un processo educativo. Ho seguito tanti ragazzi assassini: ogni notte sognano lo stesso incubo e la loro vita non tornerà mai normale. Punirli significa riconoscerli come persone, non rigettarli nel mondo dell’infanzia. E aiutarli a contenere la loro angoscia».
Non sarà un lavoro semplice, dunque, analizzare e descrivere Erika, anche per la pressione dell’opinione pubblica che pende sempre verso la forca. E infatti Adolfo Ceretti, fra gli esperti nominati dal giudice, ha deciso di non parlare con i giornalisti. Di nulla, neanche del tempo. Ma al nostro «in bocca al lupo, allora», un mezzo sospiro se lo lascia scappare: «Grazie, ne avrò bisogno».
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