Educazione
Giovani tra farmaci e pasticche, una generazione in ansia (anche da scuola)
L’ansia scolastica è un fenomeno in crescita, ne soffre tra il 5 e il 28% di bambini e adolescenti. «Emerge a causa della paura di non riuscire a gestire eventuali insuccessi, di non ottenere risultati sufficienti, di deludere le aspettative dei genitori ma anche dalla difficoltà di separarsi da loro», osserva Stefano Vicari, professore ordinario di Neuropsichiatria Infantile all’Università Cattolica e primario al Bambino Gesù. «Ci sono studenti anche giovanissimi, di prima media, che arrivano ad usare la cannabis per tranquillizzarsi, come auto-medicazione»
La prima volta mi è successo durante l’interrogazione di fisica. È un po’ come restare bloccati sott’acqua, a pochi metri dalla spiaggia e con una bombola quasi vuota. I suoni si fanno ovattati, le parole lontane, la sensazione è che manchi l’aria. Io inspiro con la bocca aperta, ma i polmoni non si riempiono, non abbastanza». Claudio, 15 anni, è un asso in fisica, eppure ogni volta che viene chiamato alla lavagna ha un attacco di panico.
Marco, 7 anni, era un bambino sereno, ma da un po’ di tempo al solo pensiero di preparare lo zaino urla e piange disperatamente. La sua è una paura al cubo: «Perché è una paura che non posso dire a nessuno, soprattutto alla mamma e al papà. È una paura così complicata che ha due strati. Ho paura (primo strato), ma ho anche paura di dire che ho paura (secondo strato)».
Chiara, 13 anni, è sempre stata benvoluta dai compagni, ma la sera prima delle verifiche si sente soffocare, e il suo cuore batte all’impazzata.
Le storie di Marco, Claudio e Chiara non sono testimonianze rare. «L’ansia scolastica è un disturbo che crea livelli di angoscia e paura tali da compromettere non solo la frequenza e il rendimento in classe, ma il benessere e la salute generale di bambini, bambine e adolescenti», osserva Stefano Vicari, Professore Ordinario di Neuropsichiatria Infantile alla Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e dirige l’Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria Infantile dell’IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.
Nel libro Domani resto a casa (edizioni Erickson) Stefano Vicari e Maria Pontillo, psicoterapeuta nello stesso reparto, inquadrano il fenomeno dell’ansia scolastica.
Professor Vicari, ci spiega l’ansia scolastica?
«E’ un fenomeno in crescita: ne soffre una percentuale compresa tra il 5 e il 28% di bambini e adolescenti. Ma l’ansia che attraversa bambini e adolescenti non è legata, alimentata solo dal contesto scolastico, che esaspera la competizione e richiede continue prestazioni. Ha anche a che fare con la difficoltà di confrontarsi con i coetanei, dalla paura del giudizio, di non sentirsi all’altezza del gruppo. Non va nemmeno sottovalutata, tra i possibili fattori alla base dell’ansia scolastica, anche la difficoltà che molti ragazzi manifestano nel separarsi dai genitori, i quali spesso favoriscono poco le autonomie dei propri figli».
Parliamo dopo dei genitori. Prima le chiedo: che rapporto hanno i ragazzi che vede al Bambino Gesù con la scuola?
Agli occhi dei ragazzi la scuola, oggi, appare sempre più minacciosa. Per alcuni è la paura di non riuscire a gestire eventuali insuccessi, di non ottenere risultati soddisfacenti e di deludere, così, le aspettative dei genitori; per altri è la paura di essere rifiutati dal gruppo classe o perché vittime di atti di bullismo più o meno violento. I comportamenti che ne derivano sono diversi: i ragazzi possono mostrare eccessiva preoccupazione riguardo alle verifiche o interrogazioni orali, cercare in modo ripetuto l’approvazione degli insegnanti, avere difficoltà a entrare in classe al mattino e presentare problemi di concentrazione con conseguente mancato completamento dei compiti assegnati».
Come reagiscono i ragazzi?
In maniera differente a seconda dell’età. Il bambino piccolo manifesta spesso le preoccupazioni legate alla scuola anche con disturbi fisici come mal di pancia o mal di testa; man mano il malessere può estendersi al contesto sociale più allargato. Nei casi più gravi, il terrore di commettere errori e di attirare l’attenzione può portarli a rifiutare la partecipazione a qualsiasi attività didattica.
I ragazzi più grandi, per tranquillizzarsi, possono arrivare ad usare pasticche e farmaci. Vedo studenti di prima media che usano la cannabis come auto-medicazione, per controllare in qualche modo l’ansia. Oppure assumono lo Xanax e il Tavor che trovano sul comodino di mamma e papà. È sbalorditiva la poca cura con cui i genitori custodiscono i farmaci».
Come si riconosce l’ansia?
Bisogna che genitori e insegnanti imparino a leggere tra le righe quello che i bambini e i ragazzi metaforicamente scrivono con i loro comportamenti: nei silenzi, così come nei momenti di conflittualità. È il comportamento dei ragazzi che, infatti, ci guida nel percorso diagnostico. In realtà, l’ansia scolastica non rientra ancora nella letteratura medica (non se ne fa menzione nel DSM-5 e nemmeno nell’ICD-11) e viene considerata attualmente un aspetto con cui, più in generale, può manifestarsi l’ansia in età evolutiva.
Appena dopo la pandemia medici, educatori, genitori e giornali gridavano “i ragazzi stanno male”. Oggi?
Le richieste di aiuto non accennano a diminuire. Anzi, sono in crescita. Al pronto soccorso del Bambino Gesù, nel 2023, è successo oltre 1800 volte che il medico del triage dovesse chiamare il neuropsichiatra per prendere in cura i piccoli pazienti. Significa che ogni giorno quasi 5 minori hanno disturbi mentali così critici da richiedere un intervento d’urgenza.
Le richieste di aiuto non accennano a diminuire. Anzi, sono in crescita. Ogni giorno quasi 5 minori hanno disturbi mentali così critici da richiedere un intervento d’urgenza al Bambino Gesù.
Stefano Vicari
Sono 387 i casi registrati nell’ultimo anno al Bambino Gesù per tentato suicidio e ideazione suicidaria tra i giovani e i giovanissimi. Quindici anni l’età media. Il 90% sono ragazze. Negli ultimi 2 anni (2021-2022) gli accessi al pronto soccorso del Bambino Gesù legati ai disturbi del comportamento alimentare sono raddoppiati (+96,8%) rispetto al biennio precedente (2019-2020). Preoccupa anche il fatto che l’esordio sempre più precoce dei disturbi di natura psichiatrica: l’età media ormai è di 13-14 anni.
Preoccupa anche il fatto che l’esordio sempre più precoce dei disturbi di natura psichiatrica: l’età media ormai è di 13-14 anni.
Stefano Vicari
Pensiamo ai genitori: come possono aiutare?
Ricordo che esiste una linea telefonica “Lucy” per le consulenze psicologiche urgenti, attiva tutti i giorni 24 ore su 24. Il numero da chiamare è 06.6859.2265.
Ma direi che prima di tutto è fondamentale che siano messe a disposizione dei più giovani le parole per identificare e comunicare il proprio malessere. Poi, la costruzione di una relazione positiva con i genitori rappresenta una condizione fondamentale. A volte i genitori, seppure presenti, appaiono meno disponibili.
In che senso?
Osservo che i genitori sono più presenti nelle chat, nei gruppi di scuola, nello sport. Alcuni lavorano anche da casa e quindi incrociano i propri figli più frequentemente, ma sono meno disponibili a dialogare con loro, a condividere la fatica del crescere, le sfide educative, le paure, i momenti bui. Tendono ad “evitare”. E poi faticano a dare regole chiare, a dire dei “no”.
I genitori sono meno disponibili a dialogare, a condividere la fatica del crescere, le sfide educative, le paure, i momenti bui. Tendono ad “evitare”. E poi faticano a dare regole chiare, a dire dei “no”.
Stefano Vicari
Che invece sono necessari….
Io non penso che sia necessaria un’educazione alla frustrazione. I ragazzi che hanno incontrato ripetutamente frustrazioni e deprivazioni nella loro vita in qualche caso possono esserne rafforzati, ma il più delle volte il loro sviluppo ne è compromesso. Questo non significa che sia utile evitare ogni frustrazione ai figli. I bambini hanno anche in sé la spinta ad essere autonomi, a esplorare e a fare da sé e a provare i propri limiti. È importante che i genitori riconoscano i diversi bisogni evolutivi nella loro complessità.
Non è tanto facile interpretare il proprio ruolo educativo…
È vero, “garantire presenza” e “favorire l’autonomia” possono sembrare due frecce che vanno in direzioni opposte. Due imperativi dicotomici. Capisco che i genitori possano sentirsi smarriti.
Probabilmente la parola chiave in queto percorso di crescita, che coinvolge i genitori, come i figli, è quello di riuscire ad aiutare i figli “a fare da soli”, senza sostituirsi, come suggeriva Maria Montessori, ma al contempo assicurando una presenza “affettiva”, che non viene meno, che non indietreggia, di fronte alle difficoltà.
E poi suggerirei di fare attenzione all’uso di cellulari, tablet, pc.
Anche lei è contrario all’uso dei device sotto i 12 anni?
Il 98% dei ragazzi italiani fra i 14 e i 19 anni possiede un telefonino da quando aveva 10 anni (più o meno dalla Prima Comunione) e il 50% trascorre dalle 3 alle 6 ore al giorno davanti allo schermo del cellulare. Io penso che i bambini non dovrebbero guardare la tv da soli prima dei cinque anni e non usare il cellulare in autonomia prima dei 12. Purtroppo a tanti piccoli e piccolissimi viene sempre più spesso messo un tablet in mano, come se fosse una baby-sitter virtuale, solo per tenerli buoni. Ma imporre dei divieti non ha senso se poi gli adulti non danno l’esempio. Non possiamo chiedere ai figli di non usare il cellulare se noi per primi a tavola massaggiamo con i nostri amici.
Come fa lei a sostenere il peso di queste vite che sembrano spezzarsi?
Io incrocio il loro sguardo ogni volta che scendo in reparto. Hanno 15, 16, ma a volte anche meno di 13 anni. Alcuni sono arrivati nella notte, ricoverati d’urgenza, altri stazionano lì da qualche giorno, in attesa di stabilizzarsi ed essere dimessi, avviati a un percorso assistenziale fuori dall’ospedale. Chi fa il mio mestiere impara a leggere queste sfumature: la distanza fra medico e paziente è naturalmente maggiore rispetto a quella dei familiari, spesso sopraffatti dalle emozioni e in questi momenti troppo coinvolti per riuscire a comprendere e ascoltare. Nemmeno per noi clinici è possibile però rassegnarsi all’idea che una sofferenza mentale profonda come quella che si raccoglie nelle corsie di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza possa riguardare ragazzi tanto giovani, spesso circondati da famiglie amorevoli e con storie di vita apparentemente nella norma.
Questo volume, Domani resto a casa, fa parte di nuova collana Erickson, in collaborazione con Scuola Holden “Leggere tra le righe” ed è stato pubblicato insieme ad un podcast dedicato “Due punti, a capo”, narrato da Stefano Vicari, per direzionare l’ascolto di genitori, insegnanti, giovani e adulti che non si occupano di salute mentale verso i temi che emergono tra le righe dei comportamenti e degli stati emotivi di bambini e adolescenti.
Della collana fa parte anche il volume “Uno solo, ben fatto”, dedicato all’autolesionismo. Le prossime uscite della collana saranno dedicate ai disturbi alimentari, alla disforia di genere e alla depressione. In apertura e nel testo, alcune illustrazioni del volume da ufficio stampa Erickson.
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