Dipendenze
«Giovani sempre più in crisi, andiamo a prenderli laddove si perdono»
L'esperto psicologo Simone Feder commenta i dati diffusi oggi dalla “Relazione annuale sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia” e manifesta grande preoccupazione per l'aumento dell'uso di droghe da parte degli adolescenti
«I dati contenuti nella “Relazione annuale sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia”? Guardi, purtroppo non c’è niente di nuovo. Confermano una tendenza che era già in atto». Simone Feder, educatore, psicologo e coordinatore dell’area Giovani e dipendenze della comunità “Casa del Giovane” di Pavia, non usa perifrasi. Accetta di fare un’analisi dei contenuti del rapporto presentato in Parlamento dal dipartimento per le Politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri. Però, immediatamente, va al nocciolo della questione: «Occorre un cambio urgente di paradigma. I giovani dobbiamo andarli a prendere nei luoghi della perdizione. La risposta della comunità educante dev’essere immediata e senza improvvisazione».
Partiamo dai dati principali della Relazione. Che cosa la impressione di più?
«Ci sono sempre più nuove sostanze in circolazione, e con esse nuovi disastri sociali. Il confine dell’utilizzo e dell’autodistruzione è sempre più importante. C’è un evidente malessere giovanile che mi fa dire: il problema non è tanto “che cosa usano”, quanto “perché la gente usa le droghe”. Abbiamo principi attivi sempre più strong e questo ci deve spingere ad avere un’attenzione che parte dal basso, come facciamo noi a Rogoredo (quartiere di Milano, ndr), dove c’è un sempre più frequente uso di oppiacei ma anche di crack, come si evince anche dalla Relazione. Noi non siamo preparati a gestire situazioni così complesse: se ci arriva il crack, bisogna essere pronti a cambiare approccio. Vale per le comunità ma anche per noi operatori clinici».
Significa che la situazione sta mutando rapidamente ma la risposta della società non è sufficientemente al passo?
«Si stanno abbassando rapidamente i prezzi delle varie sostanze, e questo comporta due cose: l’allargamento della platea che ne fa uso ma anche l’abbassamento della qualità. Con conseguenti danni per la salute. L’eroina nera che si vende a Rogoredo oggi si vende a 15 euro al grammo. È cresciuta a dismisura l’accessibilità alle sostanze che è dovuta allo smercio H24 in certi posti, come i boschi e i parchi della Lombardia. A volte queste porcherie si prendono anche con le monetine. L’attenzione va messa soprattutto in riferimento ai danni sanitari. La stessa Relazione ci dice che il principio attivo della cannabis è cresciuto dal 17% del 2018 al 29% del 2022. Poniamoci una domanda: che correlazione forte c’è tra gli esordi psicotici e i danni psichici?».
Da tempo si cerca di spiegare che lo spinello di oggi non è quello degli anni Sessanta. Ma qualcuno fa spallucce.
«Un principio attivo del 29% è molto forte, c’è poco da scherzare. Da psicologo dico che ci sono dei fenomeni che portano a magnificare, a slatentizzare quei tratti di disturbo, di fragilità personologica, sino all’esordio psicotico. E quando si arriva lì, il danno è ormai irreparabile. Infatti aumentano anche i danni psichici, soprattutto tra i ragazzi tra i 15 e i 19 anni. La droga che fumava Pannella aveva un principio attivo del 4-7%, oggi è salito al 29%».
Questo forse è il dramma più grande, che si sta sottovalutando.
«Perché si guarda il dito e non la luna. Sa che cosa vuol dire trattare in comunità un adolescente che non solo fa uso di sostanze ma mostra anche autolesionismo, disturbi di ansia con attacchi di panico, e magari pure disturbi dell’alimentazione? Sono le tre attenzioni che crescono sempre di più. E che ci fa capire che continuiamo a osservare la punta dell’iceberg, cioè le sostanze, ma non il malessere che c’è sotto. Ed è immenso. Ecco perché, a mio avviso, oggi non ha senso parlare del “problema droga”. Dobbiamo parlare del disagio giovanile, che poi sfocia nell’utilizzo di certe sostanze e anche dell’alcol. Tra i giovani aumenta l’uso di oppiacei, ma è soprattutto la cocaina a farla da padrona. Un tempo non era così, perché era meno accessibile. Un altro dato è importante: nella fascia d’età 15-16 anni, le ragazze mostrano un consumo di sostanze uguale e persino superiore ai loro coetanei. Questo è il mondo del malessere cui dobbiamo guardare con maggiore attenzione. La Relazione non a caso richiama il tema del ghosting, il ritiro sociale: 55mila giovani studenti sono rimasti isolati a casa per sei mesi. Nel 2021, il 10,9% dei giovani intervistati dichiarava di aver fatto uso di droghe nell’ultimo mese; nel 2022 le statistiche parlano del 18,3%. È tantissimo. Analizzando questi dati, non puoi non cambiare il paradigma della risposta. Non possiamo non cambiare le nostre strutture. Non possiamo non andare a prenderli nei luoghi della perdizione. Non possiamo non esserci. Allo stesso tempo dobbiamo velocizzare gli accessi alla cura: se un ragazzo ti chiede aiuto, devi immediatamente dargli una risposta in tempi rapidi. Sennò lo perdi».
Può illustrarci l’andamento della situazione nella comunità che lei segue?
«Le dico subito che, da gennaio a luglio 2023, ho accolto 19 ragazzi in età compresa tra i 16 e i 19 anni. Sei di loro hanno fatto precedenti percorsi comunitari. E ben 17 su 19 avevano fatto percorsi psicologici. Otto di questi giovani hanno precedenti penali. Tutti hanno iniziato con sostanze leggere, ma uno di loro è passato subito alla cocaina, sostanza che peraltro è usata da 11 ragazzi su 19. Per un altro le sostanze principali sono gli psicofarmaci, un mondo che cresce. Insieme allo stordimento da alcol: il 50% dei giovani dichiara di essersi ubriacato tra i 18 e i 24 anni».
Il suo tono di voce fa trasparire una forte preoccupazione.
«È vero. Dobbiamo lavorare bene. Per agganciare questi ragazzi, non possiamo sbagliare l’intervento. Dobbiamo metterci in discussione anche noi clinici, per rimediare subito se un intervento non funziona. Altrimenti rischiamo di avere ragazzi cronici già ai 25 anni. Oggi abbiamo tanti giovan i che utilizzano la droga per scopi terapeutici, per mascherare il proprio malessere. I soggetti fragili, che faticano a capire dove andare nella vita, non sono stati aiutati dalla società. Dove sono gli adulti? Dobbiamo costruire la comunità educante. Dobbiamo interrogarci sulle risposte da dare, ponendoci prima le domande giuste. Dev’esserci una risposta collettiva. La fatica di accedere ai servizi da parte dei cocainomani è dovuta al fatto che loro non riconoscono il problema, non sentono il bisogno di curarsi. E continuano sinché il corpo tiene. In comunità gli operatori devono gestire la carica di rabbia soprattutto degli utilizzatori di crack, nel periodo iniziale del percorso. Se il crack prende piede, come sta avvenendo negli Usa, non siamo preparati. Per procurarsi quella sostanza, i giovani sono pronti a tutto. C’è un malessere sanitario mai registrato prima, nemmeno negli anni Ottanta. Mai abbiamo avuto una media di 19 anni nella nostra comunità. Qualcosa vorrà pure dire».
Credits: foto d’apertura di Ali Jouyandeh su Unsplash
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