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Giovani & Politica: questi fantasmi
I partiti se ne sono accorti da tempo: tra gli under 30 e limpegno istituzionale il feeling si è azzerato. Tanto che in Parlamento i deputati veramente giovani sono soltanto tre.
Facile prendere in giro il commissario straordinario della Croce Rossa, Maurizio Scelli e la sua ?onda azzurra? di giovani che dovrebbero portare nuova e fresca linfa alle esangui truppe delle armate del Cavaliere. La verità è che il fiuto politico del Cav è sempre quello, a prescindere dall?esito delle urne: la Cdl è alle corde e per rivitalizzarla tutto fa brodo. Anche appellarsi a bisogni profondi che parlano di etica e responsabilità, forti oggi più tra i giovani che nelle età di mezzo o superiori. Certo non era una risposta mettersi nelle mani del leader dei ?giovani? azzurri, quelli ufficiali, affidati da anni a tale Simone Baldelli, che a stento rappresenta se stesso. Scelli, che giovane non è, con i giovani volontari ci parla da tempo tutti i giorni. Chi meglio di lui, dunque, per cercare di coprire falle – ideali prima che comunicative – che ormai assomigliano sempre più a voragini dalle parti del centrodestra al governo e a prescindere dal fuoco di sbarramento messo in campo dall? Unione contro l?operazione Scelli più per riflesso condizionato che per reale consapevolezza delle domande che pone.
Così iniziò D?Alema
Bisogna partire da qui per ragionare di un nesso che, a ondate, movimenta il dibattito degli adulti, più che quello dei giovani, da qualche anno a questa parte, quando Mario Monti, allora commissario europeo, li incitava a uno ?sciopero generazionale? per tornare a far sentire la propria voce. Ma soprattutto perché non fossero obbligati a rimettersi a decisioni prese da altri per quanto riguarda l?inserimento nel mondo del lavoro e nei sistemi di rappresentanza istituzionale. Un invito rimasto inascoltato, quello di Monti, se si esclude il surplus di dibattito mediatico che ne seguì.
Il dato, significativo, è che ai tempi della prima Repubblica le scuole quadri dei partiti di massa (Dc e Pci su tutti ma anche Psi e altri) contribuivano potentemente alla formazione della classe dirigente, a garanzia di un concreto ricambio, pur se tutto interno, nella vita e nel tessuto democratico dei partiti. Non è un caso se Casini e Follini da un lato, D?Alema e Fini dall?altro (ma la tesi si può estendere: Andreotti e Craxi, Pannella e Rutelli, Fassino e Diliberto, unica eccezione Bertinotti, che però viene da un?altra importante scuola quadri, quella del sindacato) hanno cominciato a muovere i primi passi da responsabili delle rispettive organizzazioni giovanili (Fgci, Fronte della Gioventù, Federazione giovanile socialista, Acli e Fuci) e rivestono ancora oggi ruoli di primazia nel mondo politico.
Il canale interrotto
I partiti della prima Repubblica erano cioè – non sembri un paradosso – naturalmente portati ad aprirsi al confronto con le giovani generazioni e l?impegno politico veniva vissuto in modo ?totale?, da chi lo abbracciava, fin da giovanissimo. Buoni i risultati.
Tra le tante ?novità? introdotte dalla seconda Repubblica c?è stato anche l?essiccarsi repentino di questo canale. Certo, la primissima rivolta morale contro Tangentopoli vide anche tanti giovani in piazza, come pure i grandi scioperi contro il governo Berlusconi. Ma furono fiammate, né di quelle mobilitazioni rimase traccia stabile (altra questione è capire da dove arriva la partecipazione di tanti giovani al movimento new global e a quello pacifista, certo non dalla politica organizzata) almeno a livello di formazione strutturata del consenso nei partiti e nelle organizzazioni giovanili di partito, oggi ridotte – nessuna esclusa – a pallida (e patetica) imitazione della gloria e del potere che aveva loro arriso un tempo. Resta il punto di una classe politica che elegge sempre meno ?giovani? in senso stretto. Per restare all?ultima legislatura, il loro numero è tanto esiguo che fa impressione. Oggi, tra gli scranni di Montecitorio, i giovani deputati si contano su una mano: nella fascia d?età tra i venti e i trent?anni si tratta solo di Chiara Moroni, del Nuovo Psi, Andrea Di Teodoro, di Forza Italia, e Basilio Catanoso di An. Il centrosinistra è a somma zero (Piero Ruzzante, diessino, che pure di leggi a favore dei giovani si occupa, ha più di quarant?anni come, non foss?altro che per obbligo costituzionale, il più giovane senatore della Repubblica, il verde Francesco Martone) e i centristi non stanno meglio.
Giovani a 39 anni?
Certo, il capogruppo dell?Udc, Luca Volontè, ormai un politico affermato, a 38 anni è considerato ?un giovane? come la testa d?uovo della Margherita, Enrico Letta, 39, che divenne ministro nei governi dell?Ulivo giovanissimo. Ma entrambi, anagraficamente e politicamente, sono in una ben differente età e visione della loro vita politica pubblica. La riforma federale appena approvata, peraltro, prevede un progressivo innalzamento di età, per i parlamentari, ma ancor meno sono i giovani onorevoli che se ne curano. Certo, vi sono eccezioni e persino eccellenze: una è rappresentata in queste pagine (Giorgia Meloni, dei giovani di An), il resto si muove al di qua o al di là delle organizzazioni giovanili di partito. Nicola Fratoianni, segretario di Rifondazione in Puglia, dove ha contribuito a far esplodere il fenomeno Vendola, e Michelino Di Palma, leader dei no global con Francesco Caruso, ormai anche lui in orbita Prc, si sono ?formati? a Genova, durante i terribili giorni del G8. I giovani migliori dell?Ulivo magari hanno la tessera dei partiti in tasca ma non quella delle loro esangui organizzazioni giovanili. Lo dimostra la crisi verticale che attanaglia da anni la Sinistra giovanile dei Ds (partito a cui l?ultimo personale politico giovanile di rilievo è arrivato in blocco dalla Rete studentesca, nata in casa Cgil) e i balbettii strozzati dei giovani della Margherita, che da anni devono nascere e non vi riescono (il più giovane presidente di provincia italiano, il 29 enne Matteo Renzi, viene dall?associazionismo cattolico e ha fatto comunque in tempo a militare nel Ppi). Unica eccezione, quella dei Giovani Padani della Lega Nord (l?ultimo partito leninista d?Italia), dalle cui fila viene Matteo Salvini, classe 1973, ieri consigliere comunale a Milano e oggi europarlamentare, nuova speranza di Bossi, al di là dello sciocco chiacchiericcio sulle presunte velleità politiche del figlio Renzo.
Un malessere reale
Sempre a Milano, ma fuori dai partiti, nasce l?ultimo e più interessante tentativo di parlare di politica intergenerazionale ma senza politicismi. Dalle menti del duo under 40 Pierfrancesco Majorino, segretario cittadino dei Ds, e Maurizio Baruffi, consigliere comunale dei Verdi, è nato il gruppo ?20&30?, che vuole discutere di «politiche per il lavoro e per la casa, diritti sociali e di cittadinanza». L?obiettivo sono le elezioni comunali del 2006, con l?ambizione (sana) di «mettere al centro il valore della scelta partecipativa di chi, cittadino, vuole sentirsi protagonista e partecipe delle scelte dell?amministrazione, non azionista senza diritti di un condominio scricchiolante».
Niente a che fare, insomma, con le velleità della roboante Onda azzurra di Scelli e Berlusconi. Che pure è spia di un malessere reale, quello di chi sa che oggi, a muovere – e ?inquietare? – le coscienze e le speranze dei giovani sono altri ideali. Quelli etico-religiosi. Non a caso la scelta è caduta sul commissario straordinario di un pezzo di volontariato. Che ha per simbolo una croce.
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