Educazione
Giovani e violenza, lo psicologo: «Chiediamoci non dove sbagliano i ragazzi, ma dove sbagliamo noi»
I fatti di Palermo e a Caivano interrogano profondamente la società e, soprattutto, gli educatori, su quello che si può fare per prevenire episodi di questo tipo. Secondo l'educatore e psicologo Simone Feder serve riscoprire l'empatia e la capacità di rispettare gli altri e il loro corpo
Dei fatti di Palermo e di Caivano, in questi giorni, si è parlato molto. Così come dei problemi delle nuove generazioni. La società, tuttavia, dovrebbe interrogarsi anche sulle proprie mancanze quando si parla di educazione dei più giovani: tra social network, serie tv e rinuncia del proprio ruolo di autorità da parte dei genitori, i ragazzi rischiano di non imparare a mettersi nei panni dell’altro e ad esercitare l’empatia.
C’è bisogno di rimettere al centro la capacità di sentire e sentirsi. Protagoniste di questa rivoluzione devono essere, prima di tutto, le famiglie. Mamme e papà sono stelle polari nell’universo valoriale dei giovani: senza questi punti di riferimento, si potrebbe perdere persino la capacità di distinguere il bene dal male. Parola di Simone Feder, educatore e psicologo, coordinatore dell’area Giovani e dipendenze della comunità Casa del giovane di Pavia.
Cosa direbbe ai giovani che si sono macchiati di questi crimini?
La prima cosa che direi è: «E se fosse tua sorella?». A volte bisogna creare un effetto scioccante, per poi cominciare a lavorare. La riparazione ammissibile, per loro, sarebbe la piena confessione del delitto che hanno compiuto; in sede di giudizio, si vede se una persona è pentita e sente il desiderio di volersi impegnare per cancellare la macchia che ha provocato. C’è poi anche un discorso legato all’eventuale riduzione di pena per buona condotta: a volte non è la soluzione giusta, a volte serve invece aggravare quello che i ragazzi hanno compiuto per aiutarli poi a rinascere.
La prima cosa che direi è: «E se fosse tua sorella?». A volte bisogna creare un effetto scioccante, per poi cominciare a lavorare
Simone Feder
Il tema principale, tuttavia, secondo me non è cosa dire a loro, ma cosa stiamo sbagliando noi. Dobbiamo intervenire a 360 gradi, pensiamo ai messaggi che mandano alcuni cantanti o alle serie tv che i ragazzi guardano, dove il corpo della donna è sempre più oggettivato, questa sessualità disintegrata, in cui l’atto sessuale diventa un atto di predominio animalesco. È triste tutto il male che i giovani stanno vivendo oggi, è evidente che questi ragazzi non sono mai stati abituati a sentirsi e a sentire l’altro. E questo è legato al tema del rispetto, anche delle distanze. Ci sono enormi lacune educative e di sviluppo del senso morale. Non percepiscono nemmeno la gravità degli agìti: sono figli di genitori “adolescenti”, c’è un’assenza del paterno e un materno che è presente solo in un’ottica di cura.
In che senso?
I genitori non sono più un riferimento valoriale. Vengono da me e dicono: «Faccia lei, non si preoccupi», davanti ai propri figli. Manca la responsabilità genitoriale, si delega tutto allo specialista. Non sono capaci, perché anche loro, magari, non sono stati corretti. Abbiamo mamme che addirittura agevolano il comportamento bacato dei figli, suggerendogli di fare pulizia sul telefono.
Ci sono enormi lacune di sviluppo del senso morale. Non percepiscono nemmeno la gravità dei loro gesti: sono figli di genitori “adolescenti” che non sono più un riferimento valoriale. Si delega tutto allo specialista
Simone Feder
Mentre la figura paterna, diceva, è assente. Cosa significa questo?
Influisce sul senso del limite. Il primo confine che devi avere nel tuo percorso evolutivo è staccarti dal rapporto simbiotico con la madre. E chi ti aiuta a farlo? Il padre. Oggi le figure paterne fanno fatica in questo, manca il senso del distacco che fa crescere. I ragazzi crescono all’interno di famiglie dove tutto è permesso; non ci sono frustrazioni e fatiche. Questi giovani piangono davanti al Gip non tanto per il dolore che hanno provocato nell’altro, quanto perché devono cambiare la propria impostazione di vita. Non conoscono i limiti, i confini, i fattori di rischio. Non avendo introiettato le categorie genitoriali nel senso corretto, non hanno introiettato nemmeno le categorie di bene e di male. Il problema è capire come rieducare, ma come possiamo farlo, se non sono mai stati educati o se addirittura hanno una pseudoeducazione che bisogna smantellare per ricostruire? Mancano anche le strutture riabilitative appropriate: non basta tenere questi ragazzi in comunità, mandarli nei laboratori, fare degli incontri, bisogna farli lavorare sul sentire. Dobbiamo davvero interrogarci, come addetti ai lavori. Serve un progetto educativo.
Il problema è capire come rieducare, ma come possiamo farlo, se non sono mai stati educati o se addirittura hanno una pseudoeducazione che bisogna smantellare per ricostruire?
Simone Feder
A Feder, in questi giorni, sono arrivati molti messaggi, da diversi ragazzi e ragazze. Francesca (nome di fantasia) è una diciannovenne che, stamattina, gli ha inviato una lettera che analizza le sue paure e la sua opinione sui recenti fatti di cronaca, interrogandosi su quello che direbbe agli autori delle violenze. Ecco il suo pensiero:
Ho pensato molto in questi giorni ai fatti successi e ai giovani di Palermo e di Caivano. Cosa direi loro? Che siamo in una società malata e che voi ne siete il risultato! Voi, come molti altri, siete colpevoli: omologati senza chiedervi nulla, vivendo la vita senza una coscienza che vi parli. Protetti e difesi, liberi di poter fare quello che volete perché siete maschi. Figli cresciuti con la convinzione di essere indistruttibili.
Però io non riesco a provare rabbia o odio nei confronti di quei ragazzi. Provo dispiace per loro, così come per le ragazze che sono state vittime. Provo dispiacere per tutte le ragazze che seguendo la massa hanno iniziato a puntare tutto sull’apparenza, la finta perfezione, confondendo la sensualità con la volgarità. O per tutte le ragazze che hanno aperto Onlyfans (per citarne uno) e hanno deciso di vendere il loro corpo senza pensare alle conseguenze che lentamente arrivano, e si vede.
Mi rifiuto di scrivermi sulla mano l’hashtag #iononsonocarne e di pubblicare la foto sul mio profilo. La paura che provo quando torno a casa da sola la sera o quando sono da sola sul treno non va via con un hashtag
Francesca (nome di fantasia), 19 anni
La tristezza e il senso di impotenza che provo mi porta a chiedermi quanto effettivamente la mia vita possa essere bella da vivere, in un mondo così. Provo pena a trovarmi tra le mani infinite news e fake news, post e reels sui vari social, commenti di persone che sentono il bisogno di dire la loro, che credono di avere ragione e di sapere tutto, pronti a offendere, a litigare.
Io, femmina, mi rifiuto di scrivermi sulla mano l’hashtag #iononsonocarne e di pubblicare la foto sul mio profilo e poi magari finire addirittura al telegiornale insieme a tante altre persone che credono così di fare del bene quando in verità non stanno facendo niente. Tanto la paura che provo quando torno a casa da sola la sera o quando sono da sola sul treno non va via con l’hashtag. Tanto i commenti e i fischi quando cammino per strada li sento lo stesso. Non sono gli hashtag la soluzione, né i post, né le foto. Tanto si sa che tra una settimana non se ne parlerà più, finché non succederà ancora e ancora. La soluzione è l’educazione che manca perché persa durante la corsa verso i soldi, la fama, l’apparenza. Persa insieme all’umanità, all’amore, alla semplicità.
Foto di copertina da Unsplash
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