Volevano fare la rivoluzione e si ritrovano a fare ginnastica. Potremmo sintetizzare così la vicenda raccontata nel suo romanzo d’esordio dal 24enne Vincenzo Latronico (edito da Bompiani, ha vinto il premio Giuseppe Berto). È ambientato nel 2001, ma un po’ ci riporta al 1968…
Come mai questo titolo, «Ginnastica e rivoluzione»?
Rivoluzione è una metafora di moto, di cambiamento; la ginnastica è movimento sul posto. Non porta da nessuna parte ed è quel che fanno alcuni miei personaggi.
Come mai 2001?
Ero interessato alla dimensione metaforica della tragedia genovese: giovani che registrano il proprio impatto zero sul mondo.
Racconta la loro crescita?
Ci sono molte differenze rispetto al romanzo di formazione. Oggi chi si affaccia sul mondo non ha il problema di farsi una identità ma di scegliere, fra le moltissime proposte, quella che meglio gli calza. Con la consapevolezza che può sempre saltare allegramente da un’identità all’altra: la crescita avviene quando uno si libera da questi copioni e affronta la realtà in modo più diretto.
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