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Giornata dell’acqua, la storia di Arundhati Roy
La scrittrice indiana Arundhati Roy parla della sua battaglia contro la costruzione di una diga sul fiume Narmada, su Raiuno domani alle 0,30
di Redazione
”L’acqua sara’ portata dove non serve, dove c’è già. Invece di andare ai poveri andrà ai ricchi”. La scrittrice indiana Arundhati Roy parla della sua battaglia contro la costruzione di una diga sul fiume Narmada, in India centrale, per cui è stata condannata a un giorno di prigione e a una multa di 200 rupie (circa 50 euro). In un collegamento telefonico per la presentazione del documentario di Rai Educational ”Arundhati Roy: la dea delle piccole cose”, a cura di Paolo Brunatto e Angelo Fontana, che andrà in onda domani alle 0.30 su Raiuno, la Roy sottolinea che ”la costruzione di questa diga è un modo di agire antidemocratico”. Con la dolcezza e fermezza che la contraddistinguono, la scrittrice che a fine marzo sarà in Inghilterra per un incontro con la Bbc e forse verrà anche in Italia, incalza: ”Cosa significa sviluppo? Chi ne paga il prezzo? Quante persone sono state sradicate a causa delle grandi dighe indiane?. Dal 1947 a oggi – sottolinea – sono 33 milioni gli sfollati che vivono in condizioni terribili. In India non c’è una politica dei risarcimenti”. E secondo gli ambientalisti la costruzione della diga sul fiume Narmada peggiorerà le condizioni di vita di 53 milioni di indiani”. ”La globalizzazione – continua la Roy – crea una grande differenza tra ricchi e poveri. La Banca Mondiale è stata la prima a prestare soldi all’India, 450 milioni di dollari, per questo progetto della diga. Il Wto favorisce il libero mercato, ma crea una grande disparita’ tra le persone”. E, a sei mesi dall’11 settembre sottolinea, ”il mondo deve riflettere di più, prima di prendere decisioni”. Vincitrice del ‘Booker prize” con il suo romanzo culto ”Il dio delle piccole cose”, tradotto in venti lingue per una tiratura di oltre sei milioni di copie, la Roy è una scrittrice ‘militante’ e appassionata, che non ha paura di dire quello che pensa. Prima della condanna, il 6 marzo scorso, a un giorno di detenzione, aveva detto: ”dovrei augurarmi di andare in prigione. Un’esperienza preziosa per uno scrittore”. E poi ha commentato: ”è stata una condanna in realtà politica, che fa parte di un disegno piu’ grande e oscuro”. Per nulla serena dopo aver scontato questa pena simbolica è ”però contenta che ci siano molte persone che capiscono la sua battaglia. Nel mondo ci sarà sempre un conflitto tra chi ha il potere e chi non lo ha. E’ importante sviluppare una politica della resistenza”. E ora si sta preparando alla manifestazione, del prossimo 15 marzo, contro l’organizzazione estremista indù Vhp (Consiglio mondiale degli indu’), che vuole costruire un tempio ad Ayodhya (India settentrionale), sul luogo dove fino al 1992 sorgeva una moschea distrutta dagli attivisti indù. ”Da due settimane stiamo lavorando – afferma – per una grande mobilitazione pacifica”. Nel documentario questa tenera pasionaria parla anche della sua scrittura. ”Esistono due tipi di scrittori – dice – quelli generosi e quelli egoisti che parlano solo di sé. Tanti vengono da classi elevate e non possono capire quelle piu’ povere”.
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