Mondo

Giornata della felicità: la lezione del Bhutan e il Governo che verrà

di Marco De Ponte

All’inizio degli anni Settanta il sovrano di un piccolo regno himalayano ha deciso di rovesciare le convenzioni dell’economia per sostituire il Prodotto Interno Lordo con il concetto di Felicità Interna Lorda. Nel Bhutan, il benessere si misura oggi tramite quattro principali parametri: la tutela dell’ambiente, la conservazione della cultura locale, il buon governo e uno sviluppo responsabile e durevole. Dalle pendici dell’Himalaya, grazie all’intuizione dell’ex sovrano Jigme Singye Wangchuck, è così ripartita la discussione tra quanti non si rassegnano alla dittatura del Prodotto Interno Lordo e della crescita a ogni costo.

Il Rapporto Mondiale sulla Felicità, che comprende i dati di 156 Paesi e viene presentato ogni anno in occasione del 20 marzo, Giornata Internazionale della Felicità che si celebra oggi, conferma il crescente interesse verso la felicità e il benessere come indicatori primari della qualità dello sviluppo umano. L’Italia, quest’anno, è al 47esimo posto dopo la Tailandia.

Se la ricerca della felicità è un percorso soprattutto individuale, di certo i Governi possono fornire un grande contributo per mettere i cittadini sulla buona strada, anche perché la felicità è una forma alta di bene comune. La misurazione della felicità percepita e il raggiungimento del benessere sostenibile dovrebbero per questo essere all’ordine del giorno in ogni Paese.

Negli ultimi 30 anni, al contrario, la cultura e le politiche hanno ignorato l’idea del progresso umano come incremento della libertà sostenibile e quindi della possibilità di ognuno di decidere in che modo essere felice. Non a caso, abbiamo assistito anche a una crescente concentrazione della ricchezza che ha prodotto disuguaglianze sempre maggiori di reddito, mentre nascevano nuove fasce di “infelici” soprattutto nelle periferie e nelle aree urbane, col risultato di compromettere la libertà individuale.

Secondo l’economista Anthony Atksinson, autore di “Inequality. What can be done?”, dagli anni Settanta a oggi gli squilibri nella distribuzione del reddito e della ricchezza in Occidente sono stati generati da tre fenomeni: l’inversione delle politiche pubbliche, la riduzione del potere negoziale del lavoro e una cambiamento del senso comune.

Le disuguaglianze trasformano la vita pubblica di un Paese in una sorta di campo minato, dove ogni passo rischia di far esplodere il conflitto sociale. Oltre a essere un freno allo sviluppo, queste ultime alimentano le paure, i nazionalismi, le domande di autoritarismo e la caccia alle diversità. In altre parole, generano una guerra tra poveri senza via di uscita. Sempre Atksinson sostiene però che si possa fare molto di più per cambiare gli equilibri di quanto faccia pensare il diffuso scetticismo.

Lo sforzo di riflessione che ActionAid ha fatto mettendo nero su bianco una strategia per i prossimi dieci anni, è stato mirato ad analizzare quali strade abbiamo percorso, cosa abbiamo costruito insieme alle persone e ai nostri interlocutori, ma anche quali sfide una società così diseguale ci sta presentando.

Per innescare nuove dinamiche è necessario parlare soprattutto a quanti si percepiscono infelici. Per questo ActionAid ha sempre messo al centro le persone e le comunità che vivono in condizioni di marginalità affinché diventino più consapevoli dei propri diritti e si organizzino per trovare spazi in cui costruire il cambiamento che desiderano diventando protagonisti.

Per gli stessi motivi abbiamo deciso di entrare a far parte del Forum Disuguaglianze e Diversità, al quale partecipiamo insieme ad altre sette organizzazioni e a un gruppo di ricercatori e accademici impegnati nello studio della disuguaglianza e delle sue conseguenze negative sullo sviluppo. Attraverso l’incontro e la collaborazione tra chi è impegnato sul campo e il mondo della ricerca intendiamo avanzare proposte innovative per ridurre le diseguaglianze attraverso l’azione collettiva e pubblica.

Solo una lotta efficace contro le disuguaglianze è in grado di rigenerare la nostra democrazia dalle fondamenta e di avere ricadute positive su tutti i cittadini, nessuno escluso. È questo il messaggio che vorremmo lasciare sul tavolo del Governo che verrà, affinché diventi la vera priorità della nuovo esecutivo.

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