Famiglia

Giornali e questione femminile

Da una ricerca su quotidiani nazionali e agenzie italiane ed estere nel 2001, le donne del Terzo Millennio sempre più protagoniste in cronaca nera e negli spettacoli, meno in politica e nello sport

di Redazione

INTRODUZIONE La donna nuova di Paola Pastacaldi Il mondo si sta femminilizzando in senso sociale e culturale. Questo vuol dire – come ha scritto l?istituto di ricerche Eurisko, nel giugno del 1999, nel corso del suo seminario generale dedicato alle donne quali nuove protagoniste – che sono le donne ad innescare e determinare il cambiamento sociale. La ricerca è stata sintetizzata in un volume dal titolo significativo ?La Donna Nuova?. In sintesi i risultati. È tramontata la ?casalinghità? come valore da difendere, sono in parte caduti i profili di brava ragazza e madre generosa, il progetto famiglia è stato ridefinito. La donna è decisa ad uscire dai vecchi schemi e lo sta già facendo. Nei media, a dispetto di questa entusiastica e crediamo realistica ricerca su una identità femminile più forte, resiste per contrasto un immaginario stereotipato delle donne. Lo stesso accade in forma anche più estrema nella pubblicità, dentro quel macromondo che viene partorito ogni giorno dal grande e invasivo potere del marketing. È necessaria una piccola premessa. Il quotidiano continua ad essere un prodotto prevalentemente maschile. Solo 7 milioni e 700 mila donne su 25 milioni e 700 mila, pari al 29,8 per cento, leggono regolarmente i quotidiani. Mentre gli uomini lettori nel giorno medio sono 12 milioni su poco meno di 24, pari al 50,2 per cento della popolazione totale (dati Audipress ’99). Nei progetti editoriali e nelle ricerche si continua a parlare di un lettore medio e neutro. Dunque ?maschio?. E in redazione cosa è accaduto? Negli anni Novanta si è registrata una impennata della presenza femminile. Su cento giornalisti, oggi le donne rappresentano il 23 per cento (toccano la punta del 39 per cento in Lombardia). Secondo dati della Federazione nazionale della Stampa le assunzioni di donne nelle redazioni sono in aumento e nel contempo le ragazze rappresentano la maggioranza dei lavoratori precari. Se nel 1987 le iscritte all’Ordine dei Giornalisti erano 31,26 per cento, dieci anni dopo questa percentuale era salita al 45,71. I direttori di testata donne erano nell’87 36 su 246; dieci anni dopo erano 58 su 330. Nel ruolo di vicedirettore si registrano invece delle flessioni, mentre raddoppiano i caporedattori. Il mondo dell’informazione si femminilizza alla base, ma il potere rimane saldamente in mano maschili. Ma è la tv ormai a dettare le regole. È il piccolo schermo il primo mezzo d’informazione. Come scrive Ignacio Ramonet, direttore di Le Monde Diplomatique, autore di numerosi testi sulla comunicazione: «È la tv a determinare l’importanza delle notizie, a fissare i temi.». Quanti televisori ?vivono? nelle nostre case e determinano i nostri modelli di comportamento in modo più o meno consapevole? Nel 47,61 per cento delle case degli italiani ci sono due televisori. Tre nel 24 per cento. Quattro nell?8 (dati Censis). Vorremmo allora cercare di cominciare a capire quale immagine i media hanno costruito intorno alla donna vera, quale identità stanno contribuendo a creare o a distruggere o a distorcere. Il primo passo è stata l’analisi dei quotidiani. Ho analizzato le prime pagine dei quotidiani di marzo, mese nel quale cade la festa delle donne. Mese dunque di più facile accesso per l?informazione di genere femminile. Ho valutato in modo qualitativo i contenuti e la presenza delle firme delle giornaliste riguardanti il mondo femminile. Ho anche passato in rassegna i lanci dell’Ansa e di alcune agenzie internazionali. Ho lavorato su quotidiani schedati su microfilm e non su carta. In alcuni casi ho cercato anche di dare uno sguardo allo stile dei pezzi per rilevare le modalità in cui le notizie erano trattate. L’identità femminile nei quotidiani Dal Corriere della Sera, mese di marzo 2001 alcuni titoli. «Io Top model a 13 anni, così la moda mi ha salvata». «Lecco, muore di anoressia a 31 anni». «Roma, tentano stupro in strada, sette minorenni contro 17nne». «Anoressiche anche a 50 anni». «Manager pubblici. Una donna avvocato la più ricca di tutti». «Novant?anni dopo, 24 ragazzine bruciano nella scuola-prigione in Nigeria». «Ma la parità è un?altra cosa. Francia, 38 mila elette grazie alla legge sulle candidature». «I familiari violenti via da casa. Approvata la legge». E dopo la cronaca, lo spettacolo. «Mina torna in video. Canterà su Internet». «Corsa agli Oscar, temo Juliette Binoche. La Zeta Jones mi ha soffiato la parte nel film Traffic». Sono tutti qui i contenuti al femminile condensati in trentuno giorni di uscite quotidiane del più grande giornale d?informazione italiano. Tolte la legge italiana sulla violenza in casa e la francese sulle candidature, il panorama delle notizie sulle donne denuncia il malessere di una condizione sociale non risolta. In tale chiave leggiamo le notizie sull?anoressia e quella legata allo stupro e vogliamo includere anche le ragazze arse vive in Africa, come indice estremo, quasi metafora all?ennesima potenza, di quanto ancora oggi la donna rappresenti l?eterno soggetto debole di ogni struttura sociale. Morire di anoressia in un paese ricco o morire in massa in un paese povero sono due facce tragiche dello stesso problema. E di come esista una questione femminile che meriterebbe di ricevere più attenzione da parte dei mezzi di informazione. Oggi la forza intrusiva del marketing però non ci può far scordare che un simile malessere investe anche altri soggetti, prima quelli deboli, vecchi e bambini, (e naturalmente i giovani), infine anche il sesso forte, ma questo meriterebbe una ricerca a parte. Se in questo mese non fosse caduta la celebrazione dell?8 marzo e la legge sui familiari violenti, se non ci fossero state la Francia e la Nigeria, la questione legata alle donne sarebbe inesistente. Francesco Merlo interviene sulle 38 mila donne elette in Francia e scrive: «Ma la parità è un?altra cosa … Impossibile far parlare i morti – dice il giornalista – ma, secondo noi, Simone de Beauvoir e Virginia Woolf si offenderebbero». La donna in Francia, scrive Merlo, sarebbe una specie protetta. Discorsi seri e interessanti sulla Francia, ma in Italia che succede? I richiami delle copertine degli inserti vanificano ogni analisi critica. È il trionfo delle foto delle vallette, delle promesse più sexy del cinema e della tv, delle donne “a quarti”, come si potrebbe dire in maniera brutale, ma realista. È la soubrette che determina l?immaginario femminile della comunicazione. Le foto di questi nuovi personaggi, che sono le bellezze nazionali partorite a ritmo industriale dal mondo della televisione e che abbiamo pensato di chiamare ?donne massa?, compaiono a integrazione di ogni genere di notizia e come in una catena seriale la loro notorietà lievita a vista d?occhio, la tv fa da tam tam e la carta stampata rifinisce la loro popolarità con calendari e pubblicità. La femminilizzazione delle redazioni intanto ha fatto sì che ormai le donne si occupino di tutti i settori del giornalismo, non siano relegate solo alla cronaca bianca o agli spettacoli, ma scrivano pezzi di apertura nei settori portanti del giornalismo, naturalmente in misura ancora molto ridotta soprattutto per la politica o la finanza. Per il Corriere tra le firme del mese compaiono quelle di Alessandra Farkas, Maria Latella, M.G. Cutuli, Federica Cavadini, Giovanna Grassi, Antonella Baccaro. Naturalmente non scordiamo, anche se solo idealmente, quelle giornaliste che non compaiono in prima pagina perché non firmano, ma che fanno un lavoro di cucina, titolazione e correzione dei pezzi o nelle redazioni centrali per le chiusure, un lavoro oscuro ma fondamentale. La task force di la Repubblica delle firme femminili è molto nutrita e soprattutto spazia e si espande oltre gli argomenti ?femminili? della tradizione più consolidata. Natalia Aspesi, Miriam Mafai, Maria Novella De Luca, Maria Pia Fusco, Silvia Bizio, Irene Bignardi, Barbara Jerkov, Liana Milella e altre. Bei nomi, fiori all?occhiello del giornalismo. Ma vediamo gli argomenti. Le donne firmano ampiamente anche in economia e in politica, certo non nella stessa misura dei colleghi uomini. Viene spontanea una riflessione, un quesito. Ma le professioniste della comunicazione sono in parte non coinvolte in questo genere di tematiche oppure non sono forti da proporsi professionalmente in quei settori che sono stati e sono ancora roccaforti del sapere maschile? O, forse, sono già disilluse. E scelgono altre situazioni dove esprimersi. Tra i temi minori, quelli cioè più legati al giornalismo spettacolo – quelli che oggi sono prerogativa del nuovo corso dell?informazione settimanalizzata o spennellata di rosa – troviamo: Monica Lewinsky e la sua vita passata al setaccio in un eccesso di informazione sul privato (in questo caso aborto e tentato suicidio), la solita Naomi e le sue lacrime sui Versace, Albano e Romina che si separano impaginati tra lettere e letterine e foto ricordo stile settimanale popolare. Le altre donne in cronaca sono una giovane uccisa dal fidanzato, un ricordo di Marilyn Monroe e la velista Isabelle Autissier. Quest?ultima perché è stata salvata da Soldini durante una regata in solitario. Notiamo dunque che più che lo sport interessa il lato rosa della storia, con Soldini trasformato per l?occasione in un ?principe azzurro?. Siamo di nuovo all?informazione spettacolo. All?interno la pubblicità di una wagon giapponese a fianco di una modella, la cui headline, il titolo insomma, grida ai quattro venti una battuta : ?Innovatrice sempre (provocatrice mai)?. Serpeggia sempre nei temi della comunicazione di mercato un vago senso di moralismo che ha come contraltare in altre situazioni o prodotti una volgarità senza remore. In questo caso alla donna è affidato il compito ideale di cambiare il mondo e di essere in qualche modo depositaria della morale. In altre pubblicità è ossessivo il tema per cui ogni oggetto è donna: la lavatrice si merita una headline di questo genere: “Chi è la più bella del reame?”. Il vestito “veste l’anima”. L’auto occhieggia come una top model. La moto ha il necessaire da ragazzina. I telefonini di ogni generazione seducono al fianco di vistose bellezze. Sino alle recentissime ragazzine dal volto mascherato ed efebico di “Save Yourself” per i jeans. Ma vedremo se poi a questo compito così alto, proposto dal mondo del marketing (infatti si tratta poi di vendere una automobile), corrisponde una adeguata immagine dell?identità femminile o non venga invece declassata per diventare appunto la donna di tutti, la donna per ogni tempo e ogni occasione. La donna dei media è la donna massa, figlia prediletta del mondo del marketing, sua alleata nella seduzione all’acquisto. E così gli stereotipi, di cui la donna italiana si era liberata negli anni Settanta, tornano a dominare aggressivi. La modifica legislativa per riequilibrare la rappresentanza tra i sessi si merita titoli a quattro colonne. ?Emma for President?, la candidata antipalazzo, viene presentata senza cadute di tono. Al suo fianco, sempre in prima, troviamo dei richiami su brevi notizie femminili riguardanti gli schiavisti delle prostitute e Naomi in lacrime. Da segnalare come uno degli articoli più succosi sulla questione femminile il pezzo di Paul Ginsborg intitolato ?Democrazia Misogina? a proposito della modifica costituzionale per riequilibrare la rappresentanza tra i sessi. Leggiamo: “Attualmente le istituzioni dello stato italiano assomigliano a null’altro che ad un estesissimo men’s club. Nella storia della Repubblica italiana ci sono stati appena ventisei ministri donna con 1425 ministri uomini”. E prosegue: “Il contesto italiano non autorizza molta fiducia in proposito. …Nei luoghi classici del patriarcato – nel mondo del lavoro, nella famiglia, nelle istituzioni – la parità è ancora lontana. Il potere maschile rimane vischioso e diffuso, difficilmente permeabile da tentativi “riformisti”. Ci vuole una presa di coscienza collettiva, basata sul riconoscimento che una democrazia fondata sulla disparità sessuale è una democrazia non solo misogina, ma misera?. La Stampa si dichiara disillusa proprio nella settimana dell?8 marzo per voce di una artista come Mina. Il titolo è interessante per le riflessioni che pone: ?Macché festa delle donne?. L?articolo parla di retorica femminista e di sinistra afasica e denuncia un velo di silenzio sulla questione femminile. È particolarmente interessante un commento ripreso da Pier Paolo Pasolini: ?Le conquiste femministe non saranno nient?altro che la conseguenza speculare dell?immaginario del maschio?. Nel mese in analisi è naturalmente la giovane Erika di Novi Ligure a dominare l?informazione. Eccetto la festa dell?8, niente altro. Spiccano in compenso un paio di firme eccellenti come quella di Barbara Spinelli con un pezzo socio-culturale sulle famiglie, i drammi degli adolescenti e la solitudine e quella di Lietta Tornabuoni sul tema del dolore, nel film di Nanni Moretti. Il mese è salvato come contenuti dalla legge ?Misure contro la violenza nelle relazioni familiari? che si merita due pagine intere. Qui finalmente il quotidiano sfodera la forza delle inchieste. Il Giornale vive una dicotomia. Se tutto sommato le firme femminili in prima pagina abbondano, mancano invece in modo pesante i contenuti. Tra le firme femminili che si occupano di tutto e anche di politica e di inchieste giudiziarie, quelle di Anna Maria Greco, Maddalena Camera, Tiziana Paolacci, Elena Porcelli, Marisa De Moliner, Diana Alfieri. Un particolare interessante, Diana Alfieri non esiste. È uno pseudonimo collettivo che viene utilizzato per argomenti delicati. Curioso che sia stato scelto proprio il nome di una donna a coprire la difficoltà di esporsi. E non è nemmeno un caso visto che anche il secondo pseudonimo è al femminile: ci spiace svelarlo, ma è Vera Pace. A fianco delle firme appena citate troviamo anche una Ida Magli con un intervento che è una zampata interessante e al femminile sui talebani (titolo: ?La nostra tolleranza che può diventare integralismo?). Per il resto domina la nera con la notizia di una ragazzina che accoltella la madre, sempre Erika in primo piano, una trentenne che uccide la madre nel comasco. Tra i personaggi compaiono Ornella Vanoni, una manager di Stato, Paola Severino, intervistata perché ha il reddito più elevato. Occhio critico sulla pubblicità che compare più volte in prima pagina: una crema antirughe e una ?miracolosa? pillola che aiuta a dimagrire. Le rughe e il fisico in generale drammaticamente pongono il mondo femminile al centro di operazioni di marketing e per di più in prima pagina. L’ossessione del fitness e della bellezza accesa dalle mode, ma anche dai giornali, credo riproponga la questione dell’anoressia e della bulimia anche in una chiave culturale sulla quale i media dovrebbero finalmente di essere coinvolti in modo più responsabile. Sarebbe necessario chiedersi dunque se certe immagini e certe pubblicità non aiutino a spingere i giovani verso terreni senza ritorno. Nel solco della tradizione con sbavature in basso dal sapore molto forte si muove Il Giorno. Domina tra le notizie al femminile la nera con una studentessa bruciata viva nel comasco, il diario di un baby killer che ha ucciso una compagna a Sesto, sempre Erika in primo piano, una rissa tra adolescenti per apprezzamenti non piaciuti ad una ragazza, una donna in fin di vita per un piercing a Catania. L?otto marzo prende colori da spettacolo di cabaret, perché affidato in prima pagina ad una soubrette, Simona Ventura, che elabora una filosofia da piccolo schermo sull? identità femminile: ?Siate meno iene, il colore delle mimose sta bene con tutti i vestiti, c?è una generazione di donne capaci di cattiveria e… mi vengono in mente le nigeriane e le donne infibulate?. Tutto in un calderone che assomiglia ad un varietà. Altre notizie al femminile? Due richiami della testatina ?L?intervista?, comprensivi di vistose foto dai pettorali alti e ben scontornati, riguardano Manuela Arcuri, che sfida il pubblico e si lancia in una affermazione di tipo egalitario, dicendo che con la divisa da carabiniere sarà alla pari degli uomini, e la Estrada, che si definisce presentatrice operaia. Due le notizie diciamo serie isolate che compaiono come richiami, l?intervista alla solita manager pubblica che si distingue per lo stipendio e una alla regina Noor di Giordania, che interviene contro l?uso delle mine nei paesi in guerra. Il Messaggero. Anche qui se non fosse per l?8 marzo e per altri due argomenti forti a livello popolare, cioé il Festival di Sanremo e il massacro di Novi Ligure, le donne non avrebbero diritto di esistere nel grande villaggio della comunicazione pensata. La notizia di Novi Ligure viene ahimé ?abusata? per essere rivenduta con un titolo che rasenta la frivolezza: ?Erika ti amo? sui fans della giovane che scrivono via Internet. Ma il pezzo è ?armato? di spirito critico e si meriterebbe altro titolo. Le notizie minori sulle donne riguardano: Michelle Pfeiffer, perfetta come bellezza secondo un chirurgo, Asia Argento che tampona un?auto, la madre di Jacques Villeneuve che parla dopo l?incidente. Ritorna una idea dell’identità femminile che fa rima con spettacolo oppure con l?abuso del sentimentalismo materno. Viene il dubbio che le presenze femminili in chiave di pretesa attualità non siano altro che notizie “parassite” di notizie maschili. Uno dei titolini sull?8 marzo recita ?Sfide in Rosa? ed è sulle donne arruolate nei parà della Folgore. È tutto qui l?8 marzo? Uno sguardo alle pagine interne aiuta a capire fin dove arrivano certe scelte. Primo, solo durante l?8 marzo c?è la più alta concentrazione di firme rosa. Ma nel marasma generale della nera, dello spettacolo, della tv, compare straordinariamente un pezzo di qualità a dimostrazione che sempre il giornale è una astrazione giornaliera. Con l?intervento di Nicole Fontaine, Presidente del Parlamento europeo, dal titolo ben azzeccato e finalmente critico ?L?uguaglianza più difficile?, l?informazione prende un taglio più culturale e approfondito. La Fontaine realisticamente sottolinea la permanenza del problema, dicendo che le differenze tra uomo e donna restano considerevoli e che bisogna sviluppare una strategia indirizzata all?identità di genere, cioè allo specifico femminile. Fiamme nel collegio in Nigeria, Isolde Kostner, regina dello sci, storie di imprenditrici spartite tra mondo del lavoro e richiamo della famiglia, un cardinale Ruini che inneggia al genio delle donne, ma già altre volte è intervenuto sull’argomento, per l’Unicef nascere in rosa è un’avventura, analfabetismo, aborti, spose bambine, dove le donne non hanno diritti, e la morte di Luce D’Eramo. Notizie inevitabili, soprattutto intorno all’8 marzo, nulla di più nulla di meno. Così Avvenire presenta il genere femminile. Eppure non mancano le firme di donne anche in politica: Gabriella Sartori, Alessandra Turrisi, Elisabetta Del Soldato, Marina Corradi, Stefania Saracino, Paola Coppo, Roberta D’Angelo. Eccetto il periodo dell?8 marzo che sfoggia una buona presenza di articoli di denuncia tutti femminili contro gli infaticabili donatori di mimose, sulla legge sulla rappresentanza dei sessi in Parlamento, e un linguaggio spiritoso (vedi il mimoso) anche su il Manifesto le tematiche femminili sono scarse. Presenti invece tre firme forti e prestigiose, Rossana Rossanda sulla politica estera con a fianco due rubrichiste da prima, Yves Pages la domenica e il mercoledì Clara Sereni. Una manchettina pubblicitaria di un libro di Luisa Muraro, una tra le filosofe più apprezzate del femminismo, dal titolo ironicamente simbolico ?Maglia o uncinetto?. L’identità femminile nei lanci d?agenzia nazionali e internazionali È complesso definire quali sono gli elementi che determinano o condizionano le notizie, ma lo é ancora di più definire quali sono i fattori che alimentano l?informazione sullo specifico delle donne. Abbiamo selezionato tutti i lanci nazionali e internazionali contenenti la parola donne. Di questi ne abbiamo analizzati un centinaio, cioè quelli che sembravano contenere le notizie più interessanti sull?identità femminile. Premesso che le notizie di nera dominano sempre a fianco della televisione e/o dello spettacolo – la tv ormai è essa stessa notizia -, intorno alla data dell?8 marzo, oltre alle numerose celebrazioni ufficiali, i temi emersi sullo specifico femminile sono stati: mobbing, anoressia, bulimia, denunce per molestie sessuali, il 74 per cento delle violenze sessuali avviene per opera del marito o del compagno ancora dentro le mura domestiche, così come il 64,5 per cento degli incidenti di casa riguarda le donne. Nel mondo il 40 per cento delle donne lavora, ma i vertici restano tabù: solo il 3 fa la top manager, in Italia la percentuale sale al 10. Amnesty denuncia stupri su detenute. Sulla cronaca di costume le notizie subiscono una impennata verso temi frivoli mescolati a fatti gravi. La moda sfila in passerella pe un grande nome dello stilismo con una linea dedicata a casalinghe in abitino sottoveste avvolte da scialli a rete color confetto. Anoressia e bulimia si giocano con i volti delle vip, da Marylin, giudicata cicciottella e in sovrappeso da questa società, a Twiggy, forse più in linea, sino alle modelle scandalosamente magre delle passerelle del 2001. Intanto per essere concrete, rileviamo che la busta paga è sempre sottopeso, se confrontata con quella maschile, con un 27 per cento in meno. Il cardinale Sorge interviene sulla mercificazione della donna nella pornografia, ma anche nei calendari griffati, negli spot. Il cardinale Camillo Ruini, parla della necessità di interpretare il ruolo crescente della donna, uno dei fondamentali del secolo. Il nostro Paese sembra affidare l’analisi critica alla Chiesa. Forse sarebbe però opportuno distinguere tra idee religiose e questioni di etica, legate alla società civile. A livello internazionale l?Onu lancia un appello per rivedere le leggi nei paesi più poveri, in quanto le donne sono ancora vittime di schiavitù, di tipo sessuale, come l? infibulazione, sono spose bambine, soggette a tratte in tutto il mondo. L?analfabetismo, purtroppo, riguarda ancora due terzi di noi donne. L?Association Femmes journalistes (Afj), che si batte da vent’anni perché le donne abbiano più spazio nei media, pone l’attenzione sul fatto che le donne nei media occupano solo un quinto dello spazio che rimane sempre monopolio degli uomini. La voce donne nelle notizie rappresenta un risicato 18 per cento. Eppure sono le donne nella misura del 56 a presentare le news in tv e il trend è in salita. Secondo l’Afj le donne giornaliste avrebbero il pregio di occuparsi di più di problemi concreti come l’ambiente, l’educazione, la salute. Vengono invece di solito messe da parte quando si parla di grandi crisi internazionali, guerre ed eventi politici. Ancora di basso livello invece le tematiche trattate in televisione come emerge dai lanci di agenzia. Per l?8 marzo in tv domina lo stile ?sex and city? come idea di emancipazionismo; al “Bagaglino” le quattro star propongono uno streap tease, la fiction “Il Bello delle donne”, lancia l’idea della donna trasgressiva come se fosse una conquista. I temi seri sono sporadici, risicati, qualche volta importanti ma sempre scontati, la natura femminile dell’immaginazione, intervista ad una direttrice d’orchestra, la tortura, la tratta e la carriera, dopo l’euforia crolla il numero delle aspiranti donne soldato. E infine notiamo “I monologhi del pene”, serata provocatoria allestita a Parigi per la Festa della donna che si merita due pagine Ansa. In generale siamo alla volgarità più trucida paludata da cronaca. Un confronto con un lancio di agenzie internazionali comprendenti la Reuter e la Associated Presse (più l?agenzia Canadian Presse). Su 18 mila notizie contenenti la parola donna sono stati selezionati i duecento titoli – con tre righe di testo – considerati più interessanti per i contenuti. Tolto un ulteriore 70 per cento dei testi, lo scenario delle tematiche femminile ?pensate? è poverissimo. È nella cronaca nera che eternamente le donne sono protagoniste e vittime di delitti a sfondo familiare-amoroso (per mano di figli o fidanzati o mariti): spicca tra le altre quella di un uomo arrestato perché è passato sopra il corpo della fidanzata con un camioncino con rimorchio. Le donne muoiono oggi anche a causa della bellezza: fanno una prima timida comparsa le inchieste per morti sospette, provocate da interventi di chirurgia estetica. Il resto dell?informazione finisce sullo sport (campionesse di scacchi e la Sylvia Cook che ha attraversato tutti gli oceani) e gli spettacoli. La politica ci vede ancora accodate agli uomini (solo per loro interesse personale?); si parla del successo di Cuomo perché più attento alle questioni femminili. Si parla di sport e ci si chiede se le donne non posseggano in minor misura degli uomini il senso della competizione. Le donne vip o trasformate in personaggio che per qualsivoglia ragione entrano nelle news sono fortunatamente meno di quelle che trovano spazio nei giornali italiani. In tutto sono solo tre: Donna Summer, la sorella di Jackie Onassis, la Miss di Philadelphia. In più c’è però una donna che si è resa benemerita per il recupero dei disabili, ma ci dispiace rilevare che è un omaggio alla sua memoria. CONCLUSIONE Chi è la donna massa? «Ciò che vi è di più terribile nella comunicazione è il suo lato incosciente». Pierre Bourdieu Chi è la donna massa? La donna massa siamo noi. Nel livellamento generale dei media l?identità femminile è stata allineata ad una immagine che fosse funzionale al mercato, cioè al mondo dei prodotti. L?operazione è stata facilitata dalla televisione e dalla pubblicità. Il mercato ha bisogno di testimonial. La donna con il suo sex appeal si trasforma nel testimonial perfetto. Dopo l?emancipazionismo, dopo le conquiste sul lavoro, ecco che la donna viene brutalmente ricacciata alla sua immagine più deteriore. Quella di oggetto, con il pretesto di farne invece la donna soggetto. Se da un lato i contenuti riguardanti l?identità femminile scarseggiano brutalmente, dall?altro abbondano le immaginette delle donne, le icone delle ?soubrette?, ritratte a quarti scoperti. Ma la soubrette non è solo l’attrice, è un simbolo, una metafora che i media hanno incollato alle donne vere, quelle di cui ci parlava con entusiasmo la ricerca Eurisko. E che una volta tanto vogliamo credere abbia centrato il problema. Nelle redazioni l?irruzione delle nuove tecnologie ha sconvolto i sistemi di lavoro, la qualità è in pauroso regresso, tutto diventa intrattenimento a cominciare dalle pagine della cultura, per finire alla cronaca illustrata con le foto dei film. Ogni notizia deve passare attraverso i personaggi, dunque anche attraverso le donne famose, rese popolari dai media stessi. E l?immagine stessa della donna è abusata. Ogni inchiesta, ogni copertina, ogni minima notizia – non ultima la pubblicità, dentro i giornali e fuori nelle città fitte di megamanifesti – viene illustrata con foto di modelle. Ma le modelle, come abbiamo sottolineato per le soubrette, non sono solo le modelle, ma uno stereotipo delle donne che il mercato vuole trasformare in testimonial e in consumatrici di tutto. Per sedurre il potenziale acquirente a cui anche i media si rivolgono – più che a un lettore – modelle e soubrette si sono trasformate, in in senso fenomenologico, in superwomen. Una pubblicità per tutte, quella di Megan Gale sui cellulari. Scalare un grattacielo, perfette nella forma e nella bellezza. Ma la donna proposta dai media deve essere tutto, purezza e sesso estremo, moglie fedele e amante infedele. È lei l’ideale protettrice del focolare domestico e dei suoi centinaia di prodotti. Come optional ogni tanto dichiara di essere intelligente. È attraverso le immagini che questo modello femminile viene proposto e massificato. Susan Sontag nel suo saggio ?Sulla Fotografia? degli anni Settanta aveva anticipato questa logica perversa del tutto immagine. L’ immagine è regina perché vale mille parole. Oggi questa idea è un tam tam planetario. Vorrei ricordare per tutti il caso di Diana e Madre Teresa di Calcutta, morte a distanza di pochi giorni. Due donne mediatizzate. La principessa e la santa. Questo è l?immaginario mediatico del femminile. Nella rincorsa a chi ha avuto più righe di piombo, Diana vince, Diana l?eterna favola. Per questo non ci stupiamo se il mercato si permette di proporci la donna prefemminista, quella che con una parola abusata si chiamava donna oggetto. La donna massa accompagna qualunque inchiesta, dalla borsa al maltempo. Qualunque pubblicità, dall?auto alla crema. In una mano regge il detersivo e con l?altra firma assegni e si sfila le mutandine di pizzo per conquistare l?amante di turno. Tutto questo accade dentro le pagine dei giornali, ma ha una sua ripetitività dentro le case, dentro il piccolo schermo che vive con noi nel salotto, dorme con noi in camera e collabora ai nostri impegni di lavoro nello studio. La donna massa è sorella di quell?uomo massa di cui ci parlò Umberto Eco in un saggio apparso nel volume “Diario Minimo” (nel 1961). Parafrasando Pierre Bourdieu, appassionato studioso francese dei media: «Ciò che vi è di più terribile nella comunicazione è il suo lato incosciente». Rileggiamo dunque i giornali per togliere questo primo velo di inconsapevolezza, aiutiamo i lettori ad approdare ad una lettura sapiente.


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