Un’emozione da poco è una canzone passata in radio milioni di volte: Anna Oxa si scioglie per un amore senza lieto fine, ma a un certo punto presta parole perfette a chi è chiuso in lockdown e, con la fronte appoggiata alla finestra, si interroga su cosa stia accadendo intorno: “C'è una ragione che cresce in me/E una paura che nasce/l'imponderabile confonde la mente/…/ Che un'emozione da poco mi faccia stare male/ Ed io non vedo più la realtà/Non vedo più a che punto sta”.
Sembra un gioco quello che propongono le onde radio in questi giorni: la musica pop che ci era familiare, canticchiavamo senza accorgercene, ora suona diversa. Parole che scivolavano via come acqua fresca hanno cambiato consistenza per il mutare delle circostanze in cui respiriamo. Si adattano al new normal, quasi lo scoprono, svelando pure qualche dettaglio di noi.
Quel “tu come stai?” che chiede Baglioni nel suo pezzo celebre, con il Covid19 in circolazione non è più solo un gancio per riprendere un dialogo interrotto, un saluto banale, è divenuto domanda autentica che non prevede più risposte proforma. Perché sei stato spostato tu che poni quell’interrogativo o tu che lo incassi.
Così quando passa il brano Una vita in vacanza de Lo Stato Sociale, resti lì un po’ così: “Perché non te ne vai?/Una vita in vacanza/Niente nuovo che avanza/Ma tutta la banda che suona e che canta/ Per un mondo diverso/Libertà e tempo perso/E nessuno che rompe i coglioni/”. Quando li ascoltavi a Sanremo, ridevi per la loro sfacciataggine; adesso quella loro sensazione di “vuoto-assenza” dilaga, evocando la sospensione che si è presa la vita feriale di prima. E certo, nessuno più ti rompe l’anima perché ti sta lontano, mentre si accendono cori improvvisati ai balconi dei condomini in un tempo perso in un flusso smarrito. “Vivere per lavorare. O lavorare per vivere?” cantavano quelli: se si ferma il lavoro per un virus, se tanti eventi, festival e summit internazionali sono stati cancellati, non avanza un dubbio sulla loro necessità?
Che fosse già tutto scritto nelle canzoni? Che le loro maglie siano così ampie da abbracciare tutto? O che si siano riaperte le nostre orecchie, la nostra capacità di ascolto?
“Siamo gli ultimi della fila – canta Levante – Siamo terre mai viste prima, solo noi”. Pure noi, quelli del mondo ricco e vaccinato siamo precipitati trai più vulnerabili. E ancora, sempre lei: “Ciao tu, animale stanco/Sei rimasto da solo”, il vuoto intorno, la separazione dagli altri per metterci al riparo.
Ma le onde radio sanno pure essere ottimiste quando passano J Ax e Annalisa: “Da zero dall'inizio/Nel cielo era già scritto che/Dopo aver visto tutto nero/Sopra di me l'arcobaleno/E se siamo forti e fragili/A schivare i colpi agili…”. Anzi, aggiungono, che noia sarebbe una vita in discesa: “Perché poi le cose facili non sanno di molto/E comunque te la immagini/una vita senza ostacoli”.
In tutto brucia la “mancanza”. Non sarà quella del verso assoluto di Mario Luzi (Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?), ma di cose ordinarie sì, quelle che davamo per scontate: “E mi manca aspettare l'estate/ Comprare le caramelle colorate/E mi manca la strada in due in bici/ Mi manco io, mi manchi tu”, cantano Bugo ed Ermal Meta.
Di questo nostro bisogno di avere qualcuno che abbia bisogno di noi è convinto anche Ligabue in Polvere di stelle. Chissà se è consapevole di citare il grande psicologo Erikson e i suoi saggi sullo sviluppo della personalità quando canta “Ho bisogno di te/Che hai bisogno di me/ Per cambiare il tuo mondo/Hai bisogno di me/Che ho bisogno di te/Per cambiare il mio mondo”.
Perché ognuno chiede a modo suo di essere “r-assicurato”, cerca qualcuno che gli garantisca cura speciale per sempre: “Ti proteggerò dalle paure/ E guarirai da tutte le malattie/Perché sei un essere speciale/ Ed io, avrò cura di te”, come sussurra Battiato in La Cura.
Basta accendere la radio e giocare con leggerezza, e si finisce a riconoscere (con Pieper il filosofo) quanto avere cura delle parole sia avere cura dell’uomo. Di noi.
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