Mondo

Gino Strada: «L’Onu fugge, noi restiamo»

Il chirurgo di Emergency è partito per una Kabul deserta. E spiega perché ha deciso di rischiare con gli afghani. «È la nuova globalizzazione, ora soffriamo un po’ anche noi»

di Gabriella Meroni

Sto cercando di rientrare a Kabul. Starò con gli afghani minacciati dalla reazione americana. L?Afghanistan è diventato un obiettivo sensibile. E io devo stare al fianco della popolazione in pericolo». Gino Strada, il chirurgo fondatore di Emergency, l?aveva annunciato per prima a Vita, la sua intenzione di tornare tra i Talebani mentre tutto il mondo si prepara a sparare loro addosso. Rispondendo così, da par suo, e sempre sfidando i saggi consigli di tutti, alle domande e ai dubbi sul futuro del lavoro delle ong in Medio Oriente. Ma Gino Strada è così: ruvido, irruento, incoercibile. Non avrebbe aperto, altrimenti, sette ospedali e 25 punti di soccorso nei punti più caldi del mondo, per curare le vittime delle guerre più canaglie: Rwanda, Kurdistan, Cambogia, Afghanistan. Lo incontriamo nel suo ufficio il giorno dopo la strage di New York, sommerso dalle telefonate, dai fax e dalle visite degli amici. E forse, quando questo numero sarà in edicola, lui sarà già a Kabul. Vita: Strada, lei di bombe e di guerre ne ha viste tante. Il primo pensiero, la prima reazione alle notizie di questi giorni. Gino Strada: Sgomento, orrore per le tante vittime civili. E subito dopo preoccupazione, perché questo avvenimento tragico pone anche problemi molto seri, sul tappeto non da oggi, che sono stati irresponsabilmente ignorati dalla comunità internazionale. Vita: Quali problemi? Strada: Ho l?impressione che esista una frattura, che va approfondendosi sempre più, tra mondo islamico e mondo occidentale. Una frattura antica, ma oggi così grave da chiudere il libro del dialogo, e lasciare aperto solo quello del terrorismo e dello scontro frontale. Vita: Come si è arrivati a questa situazione? Strada: Io non faccio il politico, sia chiaro. Parlo di ciò che conosco. Prendiamo l?Afghanistan: in quel Paese la politica estera degli Stati Uniti ha a lungo sostenuto prima i combattenti della Jihad, ai tempi dell?occupazione sovietica, e poi, per almeno due anni, i Talebani, sottovalutando i pericoli che avrebbero potuto derivarne. Gli americani non hanno capito che ai Talebani non interessava la sconfitta dell?Urss ma l?affermazione del loro modello di società. Con tutti i mezzi. Questi sono errori che si pagano, boomerang storici. Che pongono le premesse per scenari da incubo. Vita: Cosa succederà adesso? Strada: Posso dire quello che spero che succeda, e quello che temo succederà. Spero che si riapra il dialogo. Un dialogo non a senso unico, di chi pretende che i terroristi smettano di fare i terroristi, e gli islamici diventino più occidentali. Certo affermazioni tipo ?siamo tutti americani?, come se soltanto quella fosse la civiltà, non aiutano, e io le contesto. Non solo perché negli Stati Uniti c?è la pena di morte e si vendono più armi che lecca-lecca. Ma perché questa posizione è nemica del dialogo. Dialogare con i Talebani è difficile? Certo, lo so io per primo, che ho chiuso l?ospedale di Kabul perché i Talebani l?hanno attaccato. Ma bisogna provarci. Perché altrimenti? Vita: Cosa teme che succederà? Strada: Un ping pong mortale. Gli americani risponderanno all?attacco colpendo l?Afghanistan, provocheranno nuove vittime, faranno crescere gli odi e quella frattura tra i due mondi non si sanerà più. Vita: Altro che globalizzazione… Strada: Non è che non ci sia la globalizzazione, solo che si globalizza altro. Adesso New York soffre quello che Belgrado ha sofferto due anni fa. Non solo. La guerra ha colpito al cuore un simbolo, e cambieranno molte cose anche per noi: ci saranno più i controlli, sarà più difficile viaggiare, avremo meno libertà personale. Tutti elementi nuovi per l?Occidente, ma ampiamente presenti, da anni, nella vita di milioni di persone nel mondo. Perderemo un po? dei nostri privilegi, e allora? Speriamo sia l?occasione per riflettere e capire che siamo tutti nella stessa barca. È una frase che ripetiamo spesso, salvo poi andare al ristorante quando c?è qualcuno, sulla nostra stessa barca, che non sa se mangerà domani. Vita: Probabilmente tra poco lei sarà a Kabul. Come cambierà il lavoro di Emergency?Strada: Vede, le vittime hanno tutte la stessa faccia. Quelle americane e quelle afghane. Sono persone che non hanno mai fatto violenza, e soffrono le conseguenze di violenze altrui. Perciò credo che le ong debbano impegnarsi ancora di più a fare da ponte tra i due mondi, e non scappare come hanno fatto le Nazioni Unite, che rifiuto di considerare un?organizzazione umanitaria. Ma come? L?Afghanistan è sull?orlo di un disastro umanitario e l?Onu se ne va? No. Il nostro lavoro in Afghanistan sarà più duro, correremo dei rischi. Ma fuggire, quello no.


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