Mondo

Ginevra accusa l’Italia. Croce rossa d’imbarazzo

La Croce Rossa italiana è a Bagdad sotto la scorta dei carabinieri. Senza avvertire la casa madre, che insorge: "Un intervento inutile che mette in pericolo i volontari".

di Carlotta Jesi

Inutile, pericolosa, strumentale. Con milioni di iracheni che necessitano assistenza medica, sembra impossibile che qualcuno possa stroncare così l?apertura di un nuovo ospedale da campo a Bagdad. Invece è proprio ciò che è successo il 9 maggio, quando la Croce rossa italiana è entrata nella capitale irachena insieme ai carabinieri e ha allestito 20 tende attrezzate per interventi chirurgici destinate a diventare un ospedale da campo di 6mila metri quadrati in grado di assicurare 400 prestazioni ambulatoriali al giorno e di garantire 70 degenze. Invidie da concorrenti del circo umanitario? Volontari di Berlusconi No. A definire inutile (per i pazienti), pericoloso (per cooperanti e volontari) e strumentale (alla politica del governo Berlusconi) l?intervento della Croce rossa nostrana, è stata la sua casa madre. Cioè il Comitato internazionale della Croce rossa, l?agenzia di coordinamento per l?emergenza Iraq, che accusa i suoi colleghi italiani di aver violato tutti i principi dell?azione umanitaria. “Primi fra tutti, la neutralità e l?assenza di protezione militare”, spiega da Ginevra Antonella Notari. “Facendosi scortare dai carabinieri, la Croce rossa italiana rischia di compromettere 23 anni di azione in Iraq. Siamo riusciti a rimanere a Bagdad anche sotto le bombe perché tutti sapevano che siamo indipendenti da qualsiasi regime e da qualsiasi esercito. Entrare nella capitale coi carabinieri è stato un grosso errore”. E purtroppo non l?unico, aggiunge la Notari. “La Croce rossa italiana ha montato il suo ospedale nella zona della città con la più alta densità di strutture sanitarie. Un progetto che non avremmo mai approvato e che non abbiamo avuto il modo di bloccare perché, invece di chiederci come agire come prevedono le procedure, o di accordarsi con la Mezzaluna rossa, gli italiani ci hanno messo davanti al fatto compiuto”. Il motivo? “Assistere i civili iracheni, bisognosi di aiuto, il più velocemente possibile”, rispondono dal quartier generale della Croce rossa a Roma.Ma non tutti la pensano così. Il delegato del Comitato internazionale della Croce rossa in Iraq, Giuseppe Renda, dà un?altra versione dei fatti: “Tutta l?operazione è stata decisa dal governo italiano prima della guerra. La sezione nazionale, che ha fornito l?ospedale da campo, si è prestata alla strumentalizzazione”. Quale scorta? È un?accusa pesante, ma che a Roma minimizzano. “Strumentali al governo? Non direi proprio”, dichiara Marco Savini Nicci. “Sull?utilità o meno del nostro ospedale di Bagdad, poi, credo che bisognerebbe interrogare i pazienti che fanno la fila lì davanti per essere curati. Ce li mandano gli altri ospedali della capitale e noi eseguiamo più di ottanta interventi al giorno”. E la scorta armata dei carabinieri? Diventa una disputa semantica: “Ci hanno accompagnato, non scortato”, precisa Savini Nicci. E il rischio di mettere in difficoltà altri operatori umanitari? “Polemiche su cui sarebbe meglio passare un colpo di spugna”. Non fosse che, queste polemiche, potrebbero costare la vita agli oltre 400 operatori della Croce rossa già in Iraq e ai 45 volontari italiani che il 13 maggio si sono imbarcati su un aereo diretto nel Golfo. Il motivo? “Il nostro mandato prevede anche la protezione degli operatori umanitari. Ma per quelli della Croce rossa italiani decliniamo ogni responsabiltà”, dichiara la Notari.


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