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Gianmaria Testa, il cantautore che sognava di cambiare il mondo

Nel maggio 2015, il cantante italiano Gianmaria Testa ha annunciato che era affetto da un tumore incurabile. La notizia della sua morte, all'età di 57 anni, è arrivata sulla pagina Facebook del musicista.

di Monica Straniero

Nel maggio 2015, il cantante italiano Gianmaria Testa ha annunciato che era affetto da un tumore incurabile. La notizia della sua morte, all'età di 57 anni, è arrivata sulla pagina Facebook del musicista. “Gianmaria se n'è andato senza fare rumore. Restano le sue canzoni, le sue parole. Resta il suo essere stato uomo dritto, padre, figlio, marito, fratello, amico”.

Nato in provincia di Cuneo da una famiglia di agricoltori, il cantautore “ferroviere”, perché fino al 2007 ha fatto il capostazione di mestiere, ricordava che il pianeta terra sta morendo, “lo stiamo distruggendo selvaggiamente, e nonostante ciò, continua a donarci generosamente la vita”.

Eppure è dovuto partire all’estero per incidere i suoi primi dischi: Montgolfières" (1995), "Extra-Muros" (1996), "Lampo" (1999) e diventa in breve tempo uno dei cantanti italiani più preziosi e apprezzati all’estero. Ma come spesso accade, nessuno è profeta in patria. Solo alcun anni dopo le sue canzoni che attraversano jazz, folk e tradizioni sudamericane, sempre guidate da una bella voce calda e profonda, riescono a fare breccia nel pubblico italiano.

Ma non ci mette molto Gianmaria Testa a comprendere l’assurdità, l’ingiustizia del sistema che ci governa che garantisce benessere a pochi e quasi nulla alla restante popolazione mondiale. Con il suo amico scrittore Erri De Luca, sognava di cambiare il mondo. Ed insieme portano in giro "Che storia è questa", un progetto di canzoni e poesie che affrontano temi come le migrazioni, le guerre, la prigionia. «Raccontiamo il 1900, secolo tragico e visionario, che ha offerto ai suoi contemporanei il cinema e lo sterminio, l’antibiotico e il più vasto sistema carcerario della storia umana. Raccontiamo i viaggi di fortuna nel guscio di battelli sgangherati e il cammino dei piedi nei centimetri dei cortili all’ora d’aria».

Nel 1991 il cantautore piemontese assiste in Puglia ad un tragico episodio. Due africani sbarcano da un gommone. Uno muore sulla spiaggia, l’altro si salva perché c’è un medico tra i bagnanti, e così racconta che entrambi si sono imbarcati da un porto del Nordafrica clandestini su un cargo. Ma quando l’equipaggio li scopre, vengono buttati a mare. «Ho sentito, lancinante come una pugnalata, lo stridore, la distanza infinita fra la loro tragedia e il mio costume da bagno», dichiarerà Testa nel 2006 all’indomani dell’uscita di “Da questa parte del mare”, un concept album che affronta in undici canzoni il dramma dei migranti. «Dei viaggi disperati di chi si imbarca verso il nostro paese senza neanche sapere se mai arriverà a destinazione».

Un’esperienza quella migratoria spesso di portata catastrofica che marca indelebilmente un ‘prima’ e un ‘dopo’ nell’esistenza. «È una cosa che nessuna legge, nessun muro, potrà fermare. E questo noi italiani dovremmo saperlo bene ma mi sembra che abbiamo dimenticato che tra il 1860 e il 1950 oltre 35 milioni di italiani sono emigrati all’estero», ripeteva nelle interviste.

Un’amnesia collettiva che per Gianmaria Testa è il motivo per cui in Italia c’è ancora una legge che prevede il reato di immigrazione clandestina. «L'Europa si sta dimostrando non all'altezza della situazione, è diventato il luogo dove il disagio materiale di alcuni si confronta con la miseria spirituale degli altri».

Tra le canzoni dell’album, premiato nel 2007 con la Targa Tenco come miglior disco dell'anno c’è “Ritals”. Il termine, insieme al più celebre macaronis, era l’espressione dispregiativa con cui venivano chiamati in Francia gli immigrati provenienti dall’Italia, per l’incapacità di pronunciare correttamente la “r” francese. Un modo per discriminare il diverso che ha condizionato il processo di integrazione di tanti italiani andati in Francia per cercare lavoro. E anche se dagli anni ottanta “rital” in Francia sembra aver perso quel suo senso dispregiativo, il termine rivive né più né meno nel nostro vuocumprà e in altri nomignoli creati per identificare alcune classi di immigrati oggi in Italia.

«Ma è dalle storie di quando gli albanesi eravamo noi che dobbiamo imparare a valorizzare tutto ciò che di buono e di creativo possono portare gli immigrati che vivono oggi qui», sottolinea la regista italo-francese Sophie Chiarello, che ha scelto il brano Ritals come colonna sonora dell’omonimo documentario dove racconta l’esperienza dei genitori che a metà degli anni ‘50 decidono di lasciare un piccolo paesino del Salento, Corsano, per emigrare temporaneamente a Parigi, dove invece resteranno per 25 anni. «Gianmaria Testa era adorato dal pubblico francese perché in Francia non è impossibile partire dal basso per sognare grandi cose. Purtroppo l’Italia non è un paese uguale per tutti e le differenze sono enormi», dice Chiarello.

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