Famiglia
Giaccardi-Magatti: «La scommessa cattolica per dare speranza al nostro tempo»
«Il grande sistema tecno/economico, con la sua neutralità etica e le sue pretese di controllo, vorrebbe rendere superflua la questione religiosa, ingabbiando la vita e il suo rischio in gabbie e schemi». Ma, spiegano i sociologi Giaccardi e Magatti, «dobbiamo scommettere che vale la pena metterci in cammino senza già sapere dove arriviamo: è il modo per rendere la vita un’avventura e non semplicemente un ripetere degli schemi già consolidati»
di Marco Dotti
Duemila anni di storia, un miliardo e mezzo di fedeli. Ma dietro i numeri, qualcosa sembra incrinarsi nel grande edificio della cristianità. Nel suo rapporto spesso problematico con la modernità, vissuto ora come conflitto ora come nostalgia del premoderno, La Chiesa cattolica appare in difficoltà.
Ma che cosa significa, per un cattolico, stare davvero nel proprio tempo, accettandone le sfide? Significa confliggere con quel tempo o, piuttosto, «lasciar andare, accettando la forza rigeneratrice di un dialogo»? È il tema de La scommessa cattolica di Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, edito da Il mulino e giunto in poche settimane alla sua seconda ristampa.
Il filosofo Jan Patočka sosteneva che l'uomo contemporaneo deve temere soprattutto la tecnica, che lo disancora dal concreto e lo proietta in continue astrazioni . La scommessa di cui parlate nel libro può forse essere interpretata come un nuovo ancoraggio alla realtà?
Magatti: La scommessa è avere qualcosa da dire. Una scommessa che salva l'uomo contemporaneo. In quanto moderni siamo là fuori, proiettati nel mondo. Abbiamo chiesto di prendere in mano le cose. La scommessa è riuscire a trovare a trovare parole, accenti, esperienze che parlino all'uomo contemporaneo per far sorgere quel bisogna di relazione, di gratitudine, di corresponsabilità che faccia maturare questa modernità. Una modernità che non è vista come una deviazione, ma come un passaggio necessario che ancora deve liberarsi dalla sua pretesa di autodeterminazione, una pretesa che porta al capitalismo tecno nichilista.
La scommessa del vostro libro ha un attributo specifico: cattolica…
Giaccardi: Da una parte, noi scommettiamo che il cristianesimo e il cattolicesimo in particolare abbiano qualcosa da dire a questo nostro tempo. Non è una chiamata alle armi contro la secolarizzazione, ma è un'apertura di senso. La scommessa cattolica parla a tutti, si offre a tutti. È la scommessa sul fatto che modernità e religione non sono due termini incompatibili, ma sono due modi di rapportarsi con il mondo che trovano un reciproco vantaggio nell'incontrarsi. In un certo senso, modernità e religione hanno bisogno l'uno dell'altra per realizzare pienamente tutte le loro potenzialità che contengono.
In questo l'impasse in cui si trova il cattolicesimo, anche per via degli scandali che lo attraversano, può diventare un kairos per la sua rigenerazione.
Scommessa come rigenerazione, dunque?
Giaccardi: Una rigenerazione che passa dal dialogo, non dalla contrapposizione alla modernità. La modernità, da un lato, è figlia del Cristianesimo. Lo è perché l'autonomia del soggetto, la sfida della libertà, la dignità dell'umano, l rischio sono tutti temi del discernimento, ovvero di quali strade seguire nel nostro rapporto con la realtà, orientandosi senza seguire ricette preconfezionate. Il rapporto di filiazione fra Cristianesimo e modernità è controverso, perchè la modernità – il figlio – si è ribellata al padre – il Cristianesimo. Oggi questo rapporto va ridefinito su nuove basi di co-contribuzione ad affrontare le sfide che ci attendono.
In questo senso, la Chiesa come si può rapportare al moderno?
Giaccardi: Crediamo che debba rivedere il modo in cui ha trattato la questione. Se l'uomo è immagine di Dio, lo è perché è libero. Nel tema della libertà – che è tema del lasciar andare, della perdita, della "morte" – si vede la forza generativa del legame. Il padre che, a un certo punto non può far altro che pregare e aspettare, muore nel suo autoritarismo e nelle sue ansie di controllo. Se la Chiesa vuole rigenerarsi ed essere generativa deve fare i conti con la libertà e deve fare i conti con la questione della perdita, come morte necessaria per trovare la vita piena.
Se il messaggio del Vangelo, la buona notizia dell’amore che salva e vince la morte, è arrivato fino a noi è perché ha saputo parlare al profondo del cuore degli uomini e delle donne lungo i venti secoli che ci hanno preceduti. Riuscendo così a ispirare il modo di pensare e di vivere di intere società
La potenza del moderno ha davvero ancora bisogno di freni e legami?
Magatti: Nel libro giochiamo la questione con la coppia eccesso-eccedenza. La modernità, figlia della cristianità, ha messo a tema il desiderio prima sul piano soggettivo, poi sul piano sistemico con questa spinta inesausta alla crescita. Questa è una pulsione di morte sul piano macro, pensiamo a tutta la questione ambientale, ma è anche pulsione di morte sul piano micro. Il delirio di onnipotenza diventa pulsione di morte. Per noi è una questione che non si risolve unicamente sul piano etico – la misura, il limite, il controllo – perché la modernità non ha orecchie per questo. Il Cristianesimo gioca però un altro gioco: gioca quel passaggio verso l'eccesso, che è spinta alla crescita e pulsione di morte, in termini di eccedenza.
Che cosa significa eccedenza?
Magatti: Eccedenza significa imparare il movimento dell'immersione nella vita. Un movimento che non coincide con la nostra personale esistenza, al punto da arrivare ad attraversare la morte non in forma sacrificale, ma come via per la pienezza della propria esistenza oltre che della vita in generale. Usiamo l'immagine di quando impariamo a nuotare: abbiamo paura, perdiamo il controllo, ma se tentassimo di averlo irrigidendoci affogheremmo. Ecco, c'è un momento in cui bisogna lasciare andare e lasciarsi andare, per scoprire che la vita ci sta portando. Il movimento dell'eccedenza è lo stesso che fa la modernità, ma rovesciato. Il discorso che facciamo nel libro non è dunque incardinato sulla misura o il limite, ma sulla scommessa che trasforma l'eccesso in eccedenza. La modernità ha intuito, ma distorto il movimento proposto dal Vangelo. Sta a noi rimetterlo nel suo alveio giusto: non pulsione di morte, ma pulsione di vita che è disposta a incontrare la morte.
La tecnica ci propone di contenere il rischio e invece la vita è il rischio. Dobbiamo scommettere che vale la pena fare questo passo non garantito e metterci in cammino senza già sapere dove arriviamo: è il modo per rendere la vita un’avventura e non semplicemente un ripetere degli schemi già consolidati
Oggi, il fatto religioso è spesso svuotato e proiettato sulla scena politica. Che cosa ne pensate?
Magatti: L'abuso dei simboli religiosi fatto dai sovranisti non è un fatto superficiale. Tocca una questione rimossa nel dibattito pubblico e, soprattutto, nel pensiero progressista: dentro questa crisi c'è un'enorme questione spirituale. Non usciremo dalla crisi se non riconosceremo la dimensione spirituale della crisi. I sovranisti – Bannon e il suo gruppo, in particolare – e i fondamentalisti stanno dicendo: "la modernità ci ha portati qui, la soluzione è una nuova alleanza tra politica e religione". Ma non è questa la via. La modernità ha una questione spirituale e le religioni, il cristianesimo in particolare, devono accettare di riformarsi e provare a ripensare le sfide della questione spirituale che questo tempo ci consegna.
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