Non profit

Gheddafi, la morsa si stringe

Blocco dei beni, ultimatum dei ribelli, ora voci di fuga

di Franco Bomprezzi

Continua la pressione delle potenze mondiali su Gheddafi, e la crisi libica non si sblocca. I ribelli pongono un ultimatum al rais, che non ha alcuna intenzione di arrendersi. I giornali dedicano anche oggi molte pagine alle notizie e alle conseguenze economiche. Mentre chiudiamo la rassegna circolano notizie di tre aerei partiti da Tripoli, e si parla di una possibile fuga di Gheddafi dalla Libia, ma non ci sono ancora conferme.

“I ribelli a Gheddafi: hai 72 ore”, titolo di centro pagina in prima del CORRIERE DELLA SERA che dedica il sommario al siparietto leghista: “Il Rais cita la Padania. Bossi: armi da lui? No, abbiamo le nostre”. I servizi da pagina 5 a pagina 9. “I ribelli intimano a Gheddafi di andarsene subito” è il titolo a tutta pagina 5 del pezzo di Fabrizio Caccia, inviato a Tripoli: “In Libia si spara e si tratta, ma nessuno al momento sembra avere la forza per imporre niente. Non si capisce ancora bene chi sia il gatto e chi il topo in questo gioco di tatticismi, se il regime o i ribelli, alzano tutti la voce ma intanto cominciano anche a farsi reciproche concessioni”. Insomma una situazione assai complessa, come conferma, a pagina 6, il pezzo di Farid Adly e Guido Olimpio: “Pressioni sul Rais dalla cerchia ristretta. Ma i figli si dividono”. Leggiamo l’inizio: “La possibile uscita di scena di Gheddafi è forse anche una questione di famiglia. Alcuni dirigenti libici e una parte dei figli si sarebbero convinti che il colonnello dovrebbe farsi da parte lasciando il posto ad un governo di tecnocrati”. Intanto una curiosità: i dubbi sulla sorte delle guardie fedelissime: “Le amazzoni scomparse. Nascoste o «licenziate»?”. Già, perché nelle uscite pubbliche di Gheddafi sono scomparse le sue fedelissime amazzoni, a dire il vero la cosa non ci appassiona particolarmente. Risvolto in chiave padana in apertura di pagina 8: “Bossi: «Armi da Tripoli alla Lega? Ne abbiamo già tante in Lombardia». All’origine della battuta del senatur, un passaggio di un’intervista di Gheddafi alla tv France 24: “Non sono intervenuto in Italia per favorire la secessione, come chiese Bossi, perché era illegale”. Bossi replica che Gheddafi “è un gatto che sta affogando e che si arrampica sui vetri”. Insomma, tanto basta per un titolo forte. Intanto il ministro degli Esteri Frattini frena: “Per la no-fly zone servirà il via libera delle Nazioni Unite”. Interessante l’intervista a Giuseppe Pisanu, attuale capo dell’Antimafia, che incontrò Gheddafi e gli strinse la mano. Questo il suo pensiero: “L’errore più grave sarebbe lasciar andare a una sanguinosa deriva la guerra civile. Penso che il nostro Governo si atterrà alle decisioni dell’Onu e della Nato e che abbia già messo in conto, realisticamente, anche l’opzione militare. Finora la protesta popolare libica si è aggregata soprattutto nelle moschee, senza però concedere nulla al fondamentalismo islamico”.

LA REPUBBLICA  apre sulla politica interna (“Giustizia, ecco la riforma”) e riversa la foto notizia di spalla alla crisi libica: “L’ultimatum dei ribelli «Gheddafi salvo se se ne va»”. Ampi servizi all’interno: il raìs avrebbe avviato delle trattative con il solo scopo di dividere i ribelli, di confonderli, riferisce da Tripoli Vincenzo Nigro. Ufficialmente lui nega qualsiasi trattativa,ma Al Jazeera ha fatto vedere le immagini di un incontro fra alcuni suoi uomini e i ribelli che dal canto loro dicono: «non negozieremo con lui, non abbiamo nulla da trattare». Puntano insomma alla sua uscita di scena come ha confermato Mustafa Abdel Jalil, capo del Consiglio nazionale di Bengasi: «Se smette di bombardare gli insorti e lascia il Paese entro 72 ore, contro di lui non ci saranno né processi né ritorsioni». Anche se proseguono (con successo) le operazioni militari, di fatto il Raìs è sempre più solo. L’Ue ha raggiunto un accordo sul congelamento dei suoi beni, varando ieri le sanzioni contro il dittatore libico: bloccati gli investimenti (a partire dal Lybian Investment Authority, un fondo sovrano da  70 miliardi di dollari, e la Banca centrale libica: insieme detengono il 7% di Unicredit, che ha comunicato ieri che «i diritti di voto libici saranno congelati»). Da New York, Federico Rampini sottolinea che «le sanzioni mordono Gheddafi: 100 milioni di dollari al giorno è la perdita netta inflitta al dittatore». Le compagnie petrolifere non comprano più il petrolio libico (un “buco” da un milione di barili al giorno). Sul fronte arabo, Alberto Stabile nota come a Gheddafi non sia arrivata alcuna solidarietà e ne ricerca le ragioni nel passato: «per oltre 40 anni Gheddafi ha continuato  a pensare ad un mondo arabo popolato di “stupidi” come definì gli israeliani e i palestinesi o peggio di governanti al servizio di inglesi e americani». Non stupisce dunque l’ok della Conferenza islamica alla no-fly zone. Infine il commento di Roger Cohen (“La primavera araba e l’inverno occidentale”) in cui si sottolinea che da parte occidentale non c’è stata alcuna autocritica: da tempo si sapeva che i governanti arabi erano tiranni…

In prima IL GIORNALE, con un box, dedica spazio alle rivolte in nord Africa. “Se la Nato chiama non possiamo tirarci indietro” di Fiamma Nirenstein inizia all’attacco «Attenzione che la paura di appari­re come Bush non ci faccia diven­tare dei Chamberlain». La giornalista poi aggiunge «Nessuno può ignorare che là c’è un dittatore che vuole mantenere il potere costi quel costi. Come Saddam e Milosevic. Non è per moralismo che ricordiamo le stragi in Iraq e quelle in Bosnia, ma per non scordare che una serpe nutrita in seno ci ha morso e continuerà a morderci». Gian Micalessin poi valuta “Tutti gli scenari dal blitz all’embargo. Ma il più conveniente è aspettare” in cui valuta diverse strategie: No fly zone, Intervento armato, Trattativa ed esilio, Sanzioni, Laissez faire, La liquidazione e Aiuti ai ribelli. Luciano Gulli avanza un ipotesi suggestiva. Firma infatti “L’ultimo segreto del raìs? Il padre sarebbe un italiano”. Parla di Gheddafi come italiano e per giunta battezzato «una signora molto anziana, la signora Mary Pace, che in suo libro di imminente pubblicazione racconta i fatti». Chiude Angelo Allegri con il suo “La Ue congela i beni libici E con il caro petrolio a Mosca è di nuovo boom”. «L’Europa congela tutti i beni del governo libico e si lecca le ferite del caro petrolio; la Russia osserva compiaciuta l’inattesa fortuna che le è capitata (sempre del caro petrolio si tratta); la Cina cerca di uscire con meno danni possibile da una situazione per molti versi carica di incognite. La crisi di Tripoli ha colpito in maniera diversa le tre grandi aree economiche che contendono agli Stati Uniti la supremazia internazionale. E ieri a muoversi è stata l’Unione Europea che ha fatto un altro passo verso la sterilizzazione di tutte le proprietà dello Stato libico sul territorio dei 27: partecipazioni in società quotate, ma anche gruppi petroliferi (il marchio più noto è Tamoil), immobili prestigiosi come la sede dei LLoyd’s nella city londinese. In totale beni per un valore tra i 60 e gli 80 milioni di dollari di proprietà del fondo sovrano di Tripoli, la Libyan Investment Authority, della banca centrale, di alcune società collegate». A godere è solo la Russia «che dalla fiammata dei prezzi del greggio sta ricavando un inatteso bonus per le casse statali. La settimana scorsa i canali tv del Paese hanno trasmesso gli spezzoni di un vertice tra il premier Vladimir Putin e il ministro delle Finanze Aleksei Kudrin. I due hanno annunciato che se gli aumenti del prezzo del petrolio reggeranno ancora un po’, il governo potrà riprendere gli accantonamenti per il cosiddetto Fondo di riserva, una sorta di cuscinetto finanziario formato con i ricavi dell’industria petrolifera e utilizzato per grandi progetti assistenziali e infrastrutturali».

IL MANIFESTO dedica un richiamo in prima pagina alla Libia intitolato “Guerra sui cieli di Tripoli” e scrive: “Per la prima volta Gheddafi ricorre davvero al suo dominio dei cieli. Alcuni colpi cadono sulle case, notizie di morti (non si sa quanti) e di edifici distrutti. I ribelli costretti a ripiegare invocano la no fly zone, a Bruxelles il portavoce della rivolta Mahmud Jibril chiede che l’Occidente riconosca il Consiglio nazionale libico e liberi i cielidel Golfo della Sirte dallo strapotere del colonnello. Ma l’Occidente prende tempo, con una mano sulla pistola e l’altra sul portafogli. Nessuno sembra avere la voglia o l’autorità politica e morale per infilarsi nella forbice tra una giusta ribellione e una guerra civile”.

“Bloccati 45 miliardi libici – UniCredit pronta a congelare i diritti di voto di Tripoli nel cda”. Gli aspetti economici della crisi libica in primo piano ovviamente sulla prima de IL SOLE 24 ORE. A pagina 2 IL SOLE punta l’attenzione sui fondi sovrani arabi e del Nordafrica: «La Libia è solo il pesce piccolo. Il congelamento delle quote azionarie di Tripoli fa tanto scalpore, però ha un effetto tutto sommato limitato in Europa. Ma se alla Libyan Investment Authority, braccio finanziario di Gheddafi, si aggiungono gli altri fondi sovrani del Nord Africa e del Golfo Persico, allora il pesce diventa grosso. Enorme: tutti insieme, questi fondi nati e cresciuti grazie al petrolio hanno infatti un patrimonio di 1.500 miliardi di dollari. Solo 64 miliardi di questi sono libici. Il professor Bernardo Bortolotti, fondatore dell’osservatorio dei fondi sovrani, stima che ben 600 miliardi di dollari siano stati investiti in Europa e circa 300 in Nord America. Soldi che in passato hanno foraggiato banche in crisi (come Citigroup), case automobilistiche (come Porsche) e imprese di tutti i settori, ma che oggi iniziano a scottare: se turbolenze politiche simili a quelle che hanno colpito Tunisia, Egitto e Libia dovessero infatti estendersi a Stati come il Barhein, Abu Dhabi, Kuwait, Qatar e Oman, allora sì che le conseguenze nei paesi europei e nordamericani sarebbero gigantesche. Seicento miliardi in Europa, 300 in Nord America: questo è il conto potenziale, per l’occidente, dei tumulti arabi». Commento a pagina 14: «Soldi che in passato hanno foraggiato banche in crisi, case automobilistiche e imprese di tutti i settori, ma che oggi iniziano a scottare. Pecunia non olet, ma una riflessione sistemica prima o poi bisognerà farla».

Il pacifismo militante italiano è nutrito di antiamericanismo e quasi di nient’altro. Lo afferma Sergio Soave nel suo editoriale  su ITALIA OGGI “I pacifisti vanno in piazza solo contro gli americani” rispondendo alla domanda di Veltroni sul «perché nessuno scende in piazza al fianco dei patrioti libici». Ancora Soave: «Se Barack Obama adottasse misure militari contro il dittatore di Tripoli, forse quello spirito pacifista avrebbe il coraggio di manifestarsi, ma sempre contro l’ America, anche difendendo indirettamente un odioso tiranno, come già fece con Saddam Hussein». Mentre i pacifisti aspettano, gli americani pensano al da farsi. Le ipotesi sul tavolo della Casa Bianca non sono militari. Lo afferma il generale Adraino Santini intervistato da ITALIA OGGI. Nel pezzo “Libia, ci guadagna solo la Cina” Santini sostiene «che Obama non può attaccare la Libia direttamente, privo com’è del sostegno del Congresso nelle mani dei Repubblicani. Occorre dunque la farsa dell’intervento umanitario, con compagnucci italiani, a loro agio nelle vesti di escort di Obama». 
Sul  blocco dei beni di Gheddafi, ITALIA OGGI pubblica sono un breve box “Stretta sul colonnello”, con una nota di Unicredit:«Se questo (sanzioni contro la banca centrale libica) fosse confermato i diritti di voto degli azionisti libici in Unicredit verrebbero congelati».

La situazione in Libia è sintetizzata oggi da AVVENIRE nel titolo di apertura “Il diktat dei ribelli” . Da Bengasi gli insorti dettano le condizioni per la resa del Colonnello entro tre giorni offrendogli la possibilità di fuggire. A pagina 5 il “dietro le quinte” della trattativa. AVVENIRE scrive che «è mistero sui negoziati segreti tra il leader e i vertici dei dissidenti. L’opposizione ha ammesso contatti con uomini del Colonnello che, però, avrebbero agito di loro iniziativa. Ma il regime nega e attacca ancora Ras Lanuf». A dimostrazione che ora più che mai nelle due Libie “niente è come sembra” c’è anche un giallo a Bengasi sul presunto rapimento di un medico giordano che aveva dichiarato di lavorare per Medici senza frontiere. Ma l’Ong – che sta prestando assistenza sanitaria nelle aree di conflitto e solo a Bengasi ha curato 1.800 feriti in tre giorni – smentisce. A pagina 4 “le reazioni del mondo” con l’allargamento del consenso alla “No-fly zone”: «Corsa contro il tempo della diplomazia internazionale per trovare una soluzione alla crisi libica. La novità più importante è giunta dal leader dell’Organizzazione della Conferenza Islamica (Oci)» che sostiene l’imposizione di una no fly-zone sulla Libia «per proteggere i civili dai raid aerei». Anche la Cina non esclude l’appoggio per la stabilità. E dall’Unione Europea c’è accordo su nuove sanzioni: nel mirino anche la Banca centrale libica. Tra gli asset a rischio il fondo sovrano Lia, che controlla quote di Unicredit, Juventus e Finmeccanica. Un reportage da Lampedusa a pagina 6 racconta che “parte il piano” per liberare l’isola, dove comunque “nel centro strapieno regna la calma”. Taglio basso sull’Europa che prepara la svolta sugli sbarchi. La Commissione Ue lancia l’idea di un partenariato con il Sud del Mediterraneo e venerdì si terrà un vertice straordinario del Frontex.

Apertura in spalla per LA STAMPA dedicata agli ultimi eventi in Libia: “I ribelli a Gheddafi ‘Via entro 72 ore. Ma lui bombarda’”. La cronaca è affidata all’inviato Giordano Stabile a pagina 2. Mentre Maurizio Molinari, corrispondente da New York per il quotidiano torinese, intervista Frank Anderson, ex agente Cia a Tripoli: “Il regime è sotto scacco dei clan del deserto”. Da Strasburgo Marco Zatterin svela l’ennesimo retroscena dai palazzi europei. Qui la Ashton, alto rappresentante della politica estera dell’Ue, incontra alcuni rappresentanti dei ribelli libici. Intanto l’Italia, per mano del ministro degli Esteri Frattini porterà a Bruxelles un piano di “pattugliamento delle coste libiche”, mentre Unicredit, il colosso bancario in cui sono presenti interessi e quote di mercato libiche, è pronto a congelare il voto degli azionisti libici. Voltiamo pagina, ma rimaniamo nel BelPaese, altro retroscena: “Gheddafi: la Lega mi chiese aiuto. Bossi: ma no, abbiamo gli uomini e le armi si fanno in Lombardia”. Come a dire: il solito stile sobrio del Senatur. L’intervista a piede pagina è a Stefan Fuele, alla guida della task force d’urgenza sul Mediterraneo: «Almeno due elementi la distinguono dalle iniziative precedenti. Il primo è una più ampia differenziazione degli interventi. Il secondo è una maggiore condizionalità (…) indicando delle soglie minime di riferimento per quanto concerne la libertà, il pluralismo, la partecipazione democratica».

E inoltre sui giornali di oggi:

SECONDE GENERAZIONI
CORRIERE DELLA SERA – Pagina 25: “Rimini, l’hotel di lusso rifiuta la stagista con il velo”. Storia di discriminazione nei confronti di una ragazza riminese di 17 anni, di origine marocchina, che, come scrive il CORRIERE, parla in romagnolo, e frequenta l’istituto alberghiero. Si è vista rifiutare uno stage di tre settimane allo Sporting Hotel di Rimini, 4 stelle, perché, secondo il direttore, il velo non è ammesso (come del resto il crocifisso al collo) dal regolamento aziendale sull’abbigliamento da usare in reception. La storia offre lo spunto per ragionare sull’uso del velo, da parte delle donne che vivono in Italia rispettando la tradizione islamica.

CARCERE
IL MANIFESTO – A pagina 3 un articolo parla di dieci detenute del carcere di massima sicurezza a Borgo San Nicola in provincia di Lecce “libere per una sera” l’8 marzo per  rappresentare una farsa ispirata alla storia di Giovanna d’Arco. Sono detenute per mafia, donne dela camorra o della sacra corona unita. Alcune fanno parte anche della cooperativa “Officina creativa”, che con stoffe e pelli di scarto produce borse con il marchio “Made in carcere”.

GIUSTIZIA
LA REPUBBLICA – Oggi il ministro Alfano sale al Quirinale per presentare a Napolitano la riforma che, scrive Liana Milella, non ha nulla di epocale: «l’azione penale non sarà più quella di oggi, libera, piena, “obbligatoria”… sarà esercitata “secondo le modalità stabilite dalla legge”. …Il dominus non sarà più il pubblico ministero, ma il ministro della Giustizia e il Parlamento. Sarà il primo che ogni anno farà una relazione alle Camere sullo stato della giustizia, in cui saranno contenute le priorità poi votate dal Parlamento. A quelle i pm dovranno attenersi. Il pm già si sposta sotto l’esecutivo». Di pari passo si spacca il Csm. Quello dei giudici sarà presieduto dal capo dello Stato, formato per metà dai togati e metà dai laici (oggi due terzi e un terzo), con i primi sorteggiati tra tutti gli eleggibili. A capo del Csm dei pm ci sarà il procuratore generale della Cassazione. Che non sarà più eletto, come oggi, dallo stesso Csm, ma dal Parlamento, scelto tra i procuratori generali.

ECONOMIA
LA REPUBBLICA –  “L’allarme di Bankitalia «Sale il debito delle famiglie»”. Dalla prima alla pagina economica. Aumentano i prestiti richiesti dalle famiglie (+5%), diminuiscono i depositi (l’intero comparto segna meno 1,7% sempre su base annua). In più i mutui sono diventati più cari mentre gli interessi bancari hanno subito una ulteriore limatura (ormai allo 0,35%). e la Bce non ha ancora ufficialmente alzato i tassi. Lo scorso anno, secondo un rapporto Cerved, sono fallite 11mila aziende.

AVVENIRE – Dedica la pagina 7 all’allarme Bankitalia, con le famiglie alle strette tra mutui e benzina. Crescono i prestiti, aumentano i tassi dei mutui e, come conseguenza calano le somme depositate sui conti correnti. Intanto la benzina ha raggiunto la cifra record di 1,61 euro al litro. Consumatori e sindacati invocano il taglio delle accise.

IL MANIFESTO – “Le pezze al conto” è il titolone di apertura, con foto emblematica del rischio povertà per gli italiani ridotti a contare gli spiccioli. Questo il sommario: «Meno soldi sul conto corrente, più richieste di prestiti, record di fallimenti (11mila in un anno, più 20%). La Banca d’Italia fotografa lo stato della crisi nelle tasche degli italiani. Che sono sempre più vuote, mentre aumentano i tassi d’interesse sui mutui e la benzina vola a prezzi record. Il governo “studia” cosa fare,  e nel frattempo non si muove». Secondo Adiconsum abbiamo la benzina più cara d’Europa e l’aumento del prezzo del carburante costerà alla famiglia da 500 a 1.000 euro in più all’anno. Le richieste dei consumatori, dell’opposizione e dei gestori degli impianti per bloccare gli aumenti vanno dalla sterilizzazione dell’Iva al taglio delle accise, fino all’abbassamento dei limiti di velocità sulle autostrade, come avvenuto in Spagna.

SUD SUDAN
AVVENIRE – Nel reportage di pagina 3 “Sud Sudan, anno zero per il nuovo Stato dopo l’indipendenza”  un quadro della situazione nel 193° Paese del mondo per cui “il difficile arriva adesso”. «Focolai di ribellione, disponibilità di petrolio ma non di raffinerie e oleodotti, soldati del Nord ancora presenti sul territorio, tratti di confine da definire, servizi pubblici da rendere efficienti. E la necessità di una guida politica solida e autorevole». Intervista al vicepresidente Machar.


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